Sapere quando un debito fiscale si prescrive è fondamentale per capire se l’Agenzia delle Entrate o l’Agenzia delle Entrate Riscossione possono ancora pretendere il pagamento oppure no.
La prescrizione, infatti, fa estinguere il debito: se decorre il termine previsto dalla legge senza atti interruttivi, quel debito non è più dovuto.
I termini di prescrizione dei debiti fiscali
La prescrizione non è uguale per tutti i tipi di imposta. Ogni tributo segue una regola precisa:
IRPEF, IRES, IVA, IRAP
Si prescrivono in 10 anni, salvo atti interruttivi.
BOLLO AUTO
Si prescrive in 3 anni.
IMU, TARI, TASI e tributi locali
Anche qui il termine è normalmente di 5 anni.
Contributi INPS
Prescrizione di 5 anni.
Sanzioni e interessi
La prescrizione di sanzioni e interessi segue di norma quella del tributo principale.
Come si calcola la prescrizione
Il termine non decorre sempre dalla data di emissione del debito, ma:
- dalla notifica della cartella esattoriale, oppure
- dall’ultimo atto interruttivo valido (intimazione, pignoramento, sollecito, preavviso).
Ogni volta che l’Agenzia delle Entrate Riscossione invia un atto che rispetta la forma di legge, la prescrizione riparte da zero.
Se invece non ci sono atti per anni, la prescrizione matura e il debito si estingue.
Cosa interrompe la prescrizione
Gli atti che interrompono il decorso sono:
sollecito di pagamento
intimazione ad adempiere
preavviso di fermo o ipoteca
pignoramento
notifica di una nuova cartella
qualunque comunicazione formale che richiama un debito specifico
Se non ricevi alcun atto valido per tutto il periodo di prescrizione, il debito non è più esigibile.
Cosa fare per verificare se il debito è prescritto
Controllare da soli è difficile, perché occorre esaminare:
le date delle notifiche
gli atti inviati negli anni
la validità di ogni atto interruttivo
la tipologia del debito (perché cambia la durata)
Una verifica professionale può portare a cancellare totalmente debiti che in realtà non sono più dovuti.
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È inoltre Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012), iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia, professionista fiduciario presso un OCC (Organismo di Composizione della Crisi) ed Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021).
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Introduzione
Quando si ha un debito verso il Fisco (che sia per tasse non pagate, contributi previdenziali, multe o altre sanzioni), è fondamentale conoscerne la scadenza legale. In altre parole, occorre capire dopo quanto tempo quel debito non può più essere validamente richiesto dall’Agenzia delle Entrate o dagli enti creditori. Tale scadenza può dipendere da due concetti giuridici distinti ma complementari: la decadenza e la prescrizione. Dal punto di vista del debitore, sapere quando un debito “scade” significa poter far valere i propri diritti di fronte a richieste tardive del Fisco o dell’agente della riscossione. In questa guida approfondiremo in modo avanzato, ma con un linguaggio chiaro, i termini di decadenza e prescrizione dei debiti fiscali e non, aggiornati a ottobre 2025. Verranno trattate le varie tipologie di debito (imposte erariali, tributi locali, contributi previdenziali, multe stradali e altre sanzioni amministrative) con riferimenti normativi e giurisprudenziali recenti, esempi pratici, tabelle riepilogative e una sezione di domande e risposte frequenti. L’obiettivo è fornire un quadro completo rivolto sia a professionisti legali sia a privati cittadini o imprenditori che vogliano capire quando i debiti con l’Agenzia delle Entrate cessano di essere esigibili.
Prescrizione e decadenza: definizioni e differenze
Nel diritto tributario e amministrativo italiano è essenziale distinguere tra decadenza e prescrizione, in quanto incidono in modo diverso sulla vita di un debito. Di seguito ne diamo una definizione e vediamo come operano, poiché spesso i contribuenti confondono i due concetti:
- Decadenza: è il termine entro cui l’ente creditore (ad esempio l’Agenzia delle Entrate, un Comune, l’INPS, ecc.) deve compiere un determinato atto per formare o rendere esecutivo il credito. Nel contesto fiscale, la decadenza si riferisce tipicamente al limite di tempo entro cui deve essere notificato l’atto impositivo iniziale (ad esempio un avviso di accertamento per le imposte, o un avviso di addebito per contributi, o la cartella di pagamento per una sanzione). Se l’ente non notifica l’atto entro questo termine perentorio stabilito dalla legge, perde il potere di accertare o riscuotere quella determinata pretesa. L’effetto è la nullità insanabile dell’atto tardivo, ma è importante notare che tale nullità non è rilevata d’ufficio: il contribuente dovrà eccepirla impugnando l’atto oltre termine davanti all’autorità competente. In pratica, la decadenza tutela il debitore perché evita che il Fisco possa “farsi vivo” per un tributo dopo troppi anni dal periodo d’imposta di riferimento. Ad esempio, se la legge prevede che un avviso per l’IRPEF 2019 vada notificato entro il 31 dicembre 2025, un accertamento recapitato nel 2026 sarebbe decaduto, quindi illegittimo se il contribuente solleva l’eccezione in giudizio.
- Prescrizione: è il termine oltre il quale un diritto già accertato non può più essere fatto valere, a causa del decorso del tempo in assenza di atti interruttivi. Nel nostro contesto, la prescrizione indica il periodo entro cui l’ente creditore deve attivarsi per riscuotere un debito già formalizzato, ad esempio dopo la notifica di una cartella esattoriale o di un avviso di accertamento divenuto definitivo. Se il creditore resta inerte per tutto il periodo previsto, il debito si estingue per prescrizione (art. 2934 c.c.) . Ciò significa che il debitore, decorso tale lasso di tempo senza aver ricevuto intimazioni o altre richieste formali, può opporsi al pagamento perché il diritto di credito non può più essere legalmente esercitato. Anche la prescrizione non opera in automatico: il debitore deve eccepirla nelle opportune sedi (ad esempio, contestando l’atto di riscossione tardivo dinanzi al giudice tributario o civile) affinché il debito venga dichiarato non dovuto. In termini semplici, se l’Agenzia delle Entrate-Riscossione “si dimentica” di riscuotere per troppi anni, perde il diritto di esigere quei soldi – condizione però che va fatta valere dal contribuente .
In sintesi, la decadenza attiene alla tempestività dell’iscrizione a ruolo o dell’accertamento (il debito potrebbe non sorgere affatto se l’atto impositivo arriva tardi), mentre la prescrizione attiene alla fase di riscossione del debito già iscritto (il debito esiste ma non è più esigibile dopo un certo tempo di silenzio). Entrambi i termini sono stabiliti da norme precise: alcuni sono comuni (ad es. molti sono quinquennali) ma con eccezioni significative. Nelle sezioni seguenti esamineremo dettagliatamente i termini di decadenza per le diverse categorie di entrate e i termini di prescrizione dei relativi debiti, evidenziando le differenze per tipologia di tributo o sanzione e per tipologia di soggetto (privato, professionista, imprenditore) quando rilevanti. Anticipiamo subito che non esiste un unico termine valido per tutti i debiti, ma occorre distinguere in base alla natura del credito. Ad esempio, un debito IRPEF può seguire regole diverse da una multa stradale o da un contributo INPS sia in fase di accertamento sia in fase di prescrizione.
Termini di decadenza per l’accertamento e la notifica dei debiti fiscali
Come visto, la decadenza fissa il limite massimo entro cui un credito deve essere reso noto al contribuente tramite notifica di un atto. Trascorso questo termine, l’ente impositore decade dal potere di esigere quella somma. Vediamo i termini di decadenza per le principali categorie di entrate.
Imposte erariali (IRPEF, IRES, IVA, IRAP) – contribuenti privati e imprese
Per le imposte dirette (come l’IRPEF per le persone fisiche e l’IRES per le società) e per l’IVA e l’IRAP, i termini di decadenza sono disciplinati in modo unificato dal d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 43 (per le imposte sui redditi) e dal d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 57 (per l’IVA), richiamato per l’IRAP dall’art. 25 d.lgs. 446/1997 . Tali termini sono stati modificati nel tempo: le regole attuali distinguono a seconda del periodo d’imposta di riferimento e dell’eventuale dichiarazione omessa:
- Fino all’annualità 2015 (cioè per i redditi 2015 dichiarati nel 2016 e anni precedenti): l’avviso di accertamento doveva essere notificato entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (ad esempio, per la dichiarazione dei redditi 2015 presentata nel 2016, l’accertamento andava notificato entro il 31/12/2020) . In caso di omessa dichiarazione, fino al 2015 il termine saliva al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata .
- Dal periodo d’imposta 2016 in poi (dichiarazioni presentate dal 2017 in avanti): la legge di stabilità 2016 (L. 208/2015) ha esteso di un anno i termini. L’avviso di accertamento deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione . Se il contribuente non ha presentato la dichiarazione, il termine diventa il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui andava presentata . Ad esempio, per l’anno d’imposta 2018 con dichiarazione regolarmente inviata nel 2019, l’accertamento può arrivare fino al 31/12/2024; se la dichiarazione 2018 era omessa, il Fisco ha tempo fino al 31/12/2026.
- Dichiarazione integrativa: se il contribuente presenta una dichiarazione integrativa (correttiva di errori o omissioni), i termini di decadenza ripartono dalla presentazione dell’integrativa, ma solo per gli elementi integrati (art. 1, c. 640 L. 190/2014) . Ad esempio, se nel 2023 si invia un’integrativa per il 2020, il Fisco avrà tempo fino al 31/12/2028 per accertare i soli aspetti modificati.
- Proroghe e sospensioni straordinarie: in casi eccezionali i termini sono stati prorogati. Ad esempio, a causa dell’emergenza COVID-19, gli atti impositivi relativi ai termini in scadenza tra l’8 marzo e il 31 dicembre 2020 sono stati sospesi e prorogati di alcuni mesi (di fatto posticipando le decadenze del 2020 di 85 giorni, come da art. 157 D.L. 34/2020) . Questo significa che, per le annualità 2015 e seguenti, le scadenze degli accertamenti fiscali sono slittate oltre il 31 dicembre standard. Ad esempio, per l’anno 2015 la scadenza di accertamento (31/12/2020) è stata di fatto estesa a metà marzo 2021. Analoghe proroghe hanno riguardato l’adesione a sanatorie: la L. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023) ha previsto un “ravvedimento speciale” che, per chi vi aderisce, comporta l’estensione di un anno dei termini di accertamento per le annualità condonate . Inoltre, sono previste riduzioni dei termini per contribuenti virtuosi: ad esempio, se un soggetto ottiene un alto punteggio di affidabilità fiscale ISA (almeno 8 su 10) o utilizza esclusivamente mezzi di pagamento tracciabili, la legge prevede la riduzione di un anno dei termini di accertamento (iniziativa volta a premiare la compliance).
Nota: La decadenza dell’accertamento si calcola in base alla data di spedizione/affidamento dell’atto al notificatore, non alla data di ricezione da parte del contribuente . Dunque, un avviso consegnato al servizio postale il 31 dicembre è tempestivo anche se il contribuente lo riceve a gennaio. L’inosservanza dei termini di decadenza rende l’atto nullo, ma il contribuente deve far valere questa nullità impugnando l’atto davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (ex Commissione Tributaria) entro i termini per il ricorso .
Tributi locali (IMU, TARI, altri tributi comunali/regionali)
Anche gli enti locali (Comuni, Province, Regioni) hanno termini di decadenza per accertare e iscrivere a ruolo i tributi di loro competenza. La disciplina unitaria è stata dettata dalla L. 27 dicembre 2006 n. 296 (Finanziaria 2007), art. 1, comma 161, la quale stabilisce che gli enti locali devono notificare gli avvisi di accertamento per i tributi propri entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il tributo doveva essere versato o dichiarato . In pratica, per IMU, TASI, TARI e altre imposte locali il Comune ha cinque anni di tempo dall’anno in cui è sorto l’obbligo per accertare eventuali omissioni o insufficienze. Ad esempio, l’IMU 2020 non pagata dovrà essere accertata entro il 31/12/2025; se l’avviso arriva dopo tale data, il Comune è decaduto dalla potestà impositiva su quella annualità, e l’atto (sebbene vada impugnato) risulterà nullo. Questa regola si applica sia in caso di tributi locali con dichiarazione del contribuente (es. la dichiarazione di occupazione ai fini TARI) sia in caso di tributi pagati senza dichiarazione annuale (IMU viene autodeterminata dal contribuente). In caso di dichiarazione omessa (quando prevista, ad esempio omessa denuncia TARI), alcuni enti hanno ritenuto di poter applicare un termine più lungo, ma la norma del 2006 ha unificato in 5 anni la decadenza anche per omesso pagamento o omessa denuncia dei tributi locali .
Un caso particolare è costituito dalle addizionali IRPEF regionali/comunali: esse seguono in linea di massima lo stesso termine quinquennale, poiché il presupposto (il reddito dichiarato) è annuale e continuativo. Va ricordato però che, a differenza dello Stato, molti enti locali in passato non si avvalevano di Equitalia/Agenzia Entrate Riscossione per la riscossione coattiva, ma utilizzavano lo strumento dell’ingiunzione fiscale (R.D. 639/1910) in alternativa alla cartella. La Finanziaria 2007 ha parificato i termini anche per le ingiunzioni: l’atto di ingiunzione per tributi locali deve rispettare gli stessi limiti quinquennali dell’accertamento . Dal 2020, inoltre, è stato introdotto l’accertamento esecutivo tributario locale (art. 1 commi 792-796 L. 160/2019): gli avvisi di accertamento emessi dai Comuni per IMU, TARI, etc. valgono anche come titolo esecutivo trascorsi 30 giorni dalla notifica. Questa riforma ha equiparato la riscossione locale a quella nazionale (eliminando il doppio passaggio avviso + cartella), ma non ha modificato i termini di decadenza quinquennali per la notifica degli avvisi .
Bollo auto (tassa automobilistica): la tassa automobilistica, pur essendo un tributo regionale, merita una menzione separata per via del termine di decadenza più breve. La legge prevede infatti che il bollo auto evaso sia accertato entro 3 anni. Precisamente, l’art. 5, co. 51, D.L. 953/1982 (conv. in L. 53/1983), modificato dall’art. 3 D.L. 2/1986 (conv. in L. 60/1986), dispone che “l’azione dell’Amministrazione finanziaria per il recupero delle tasse automobilistiche si prescrive con il decorso del terzo anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento” . Questo termine triennale di fatto coincide con una decadenza: se entro il 31 dicembre del terzo anno successivo la Regione (o l’ente riscossore per essa) non ha notificato alcun atto (avviso di accertamento del bollo o ingiunzione/cartella), il diritto di riscuotere il bollo per quell’anno si estingue . Ad esempio, il bollo dovuto per l’anno 2022 doveva essere pagato entro il 31/01/2023 (a seconda della scadenza dell’auto); in caso di mancato pagamento, la Regione deve attivarsi entro il 31/12/2025. Se non notifica nulla entro quella data, dal 2026 il bollo 2022 non potrà più essere preteso. Attenzione: ogni atto notificato entro il triennio interrompe il termine e fa decorrere un nuovo triennio da quella data . Ad esempio, se nel settembre 2024 viene notificato un avviso di accertamento per il bollo 2022, l’atto è tempestivo (entro il 3° anno) e da quel momento iniziano a decorrere i termini di prescrizione (sempre triennali) del bollo, come vedremo in seguito. In passato vi era incertezza se il termine del bollo fosse 3 o 5 anni (alcune interpretazioni estendevano analogicamente a 5), ma la giurisprudenza ha chiarito la regola del triennio, rendendola oggi pacifica .
Contributi previdenziali (INPS, INAIL) e altri contributi obbligatori
Nel campo dei contributi previdenziali obbligatori vige una disciplina peculiare: più che di decadenza per l’accertamento, si parla direttamente di prescrizione quinquennale del credito contributivo (vedremo oltre). La distinzione tra decadenza e prescrizione in ambito contributivo è meno marcata perché, di norma, se un contributo non è richiesto dall’ente entro 5 anni, è già prescritto. Storicamente, prima del 1995 i contributi previdenziali si prescrivevano in 10 anni, ma la riforma Dini (L. 8 agosto 1995 n. 335) ha ridotto a 5 anni il termine di prescrizione per la generalità dei contributi dovuti agli enti previdenziali, a decorrere dal 1° gennaio 1996 . Di conseguenza, oggi l’INPS, l’INAIL e le Casse previdenziali professionali devono notificare eventuali avvisi di addebito o cartelle per omissioni contributive entro 5 anni dal momento in cui il contributo era esigibile. Se ciò non avviene, l’ente perde il diritto di riscuotere, salvo che il termine sia stato interrotto (si applicano le regole della prescrizione, essendo un termine di natura sostanziale). Non esiste un “avviso di accertamento” in senso classico per i contributi dei lavoratori dipendenti, poiché le aziende denunciano mensilmente le retribuzioni (Uniemens) e l’INPS iscrive a ruolo eventuali omissioni. Tuttavia, per i lavoratori autonomi e altre gestioni, l’INPS emette l’Avviso di Addebito con valore di titolo esecutivo (introdotto dal 2011 in sostituzione della cartella) che deve anch’esso rispettare il quinquennio dal momento in cui il contributo doveva essere pagato. Ad esempio, i contributi artigiani 2019 non versati devono risultare in un avviso di addebito inviato entro il 31/12/2024, altrimenti il credito è ormai caduto in prescrizione (salvo eventi interruttivi nel frattempo).
Contributi e premi dovuti da datori di lavoro (es. premi INAIL) seguono lo stesso regime: 5 anni dall’omissione contributiva per il recupero. In sintesi, la “decadenza” in ambito previdenziale coincide con il termine di prescrizione quinquennale fissato per legge: oltre 5 anni, l’ente non può più pretendere i contributi non pagati. Anche qui vale l’eccezione del titolo giudiziale: se l’ente ottiene un decreto ingiuntivo o una sentenza per quei contributi, allora si applicherà la prescrizione decennale ordinaria sul titolo giudiziario, ma in assenza di ciò non basta che la cartella non sia stata opposta per avere 10 anni (vedi sezione prescrizione infra).
Eccezioni: Un’eccezione riguarda i contributi dovuti alla gestione separata dei dipendenti pubblici, dove interventi normativi recenti (D.L. 101/2019 e D.L. 150/2023) hanno sospeso o allungato i termini di prescrizione per consentire alla PA di regolarizzare omissioni pregresse (ad es. prescrizioni sospese fino al 31/12/2025 per alcuni contributi pubblici, come da D.L. 198/2022 “Milleproroghe” ). Si tratta però di situazioni specifiche di diritto del lavoro pubblico che esulano dalla generalità dei contribuenti privati e imprenditori.
Multe stradali e altre sanzioni amministrative
Per le sanzioni amministrative, la normativa prevede differenti termini di decadenza per la formazione del titolo esecutivo, a seconda del tipo di violazione:
- Multe stradali (violazioni del Codice della Strada): il procedimento inizia con un verbale di accertamento della violazione (es. multa per eccesso di velocità). Qui il Codice della Strada prevede un primo termine di decadenza breve: la multa deve essere notificata entro 90 giorni dall’infrazione (art. 201 D.Lgs. 285/1992), pena la nullità del verbale. Una volta che la contravvenzione diventa definitiva (trascorsi 60 giorni senza pagamento né ricorso, oppure confermata da rigetto del ricorso), l’ente (Comune o altro) iscrive a ruolo la somma da riscuotere. Entra in gioco un secondo termine di decadenza: la cartella di pagamento per la sanzione CdS deve essere notificata entro 2 anni dalla data in cui il ruolo è stato reso esecutivo . In pratica, dal momento in cui l’ente creditore “affida” il credito della multa all’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione), quest’ultimo ha al massimo due anni per notificare la cartella al trasgressore. Questo termine è stato introdotto dalla legge 244/2007 (Finanziaria 2008, art. 1 comma 153) per le sanzioni del Codice della Strada a decorrere dal 2008 . Ad esempio, per una multa elevata nel 2020, notificata al destinatario entro i 90 gg e non pagata, se il ruolo è stato reso esecutivo nel marzo 2021, la cartella andrà notificata non oltre marzo 2023 (per sicurezza, la norma parla di entro il secondo anno successivo all’affidamento). Se la cartella viene notificata oltre tale termine biennale, il debitore potrà eccepirne la decadenza in sede di opposizione, ottenendone l’annullamento . È bene precisare che questo termine dei 2 anni riguarda specificamente le sanzioni amministrative per violazioni stradali; per altre sanzioni amministrative normalmente non c’è un termine analogo di notifica della cartella fissato per legge.
- Altre sanzioni amministrative (non Codice della Strada): la legge generale di riferimento è la L. 24 novembre 1981 n. 689. Essa non prevede un termine di decadenza per la formazione dell’ordinanza-ingiunzione (il provvedimento con cui l’autorità competente, ad esempio la Prefettura o un altro ente, ingiunge il pagamento della sanzione in caso di mancato pagamento del verbale). Tuttavia, la giurisprudenza ha introdotto principi di ragionevolezza amministrativa: si ritiene che il procedimento sanzionatorio debba concludersi entro un tempo congruo, e comunque l’ente deve attivarsi entro il termine di prescrizione quinquennale (vedi paragrafo sulla prescrizione) per rendere esecutiva la sanzione . Pertanto, pur mancando un termine perentorio esplicito come i 2 anni delle multe stradali, di fatto l’autorità che non emetta alcun provvedimento entro 5 anni dall’illecito si troverà con il diritto ormai prescritto. In sintesi: notificato il verbale di violazione (che interrompe la prescrizione), l’ente deve emanare l’ordinanza-ingiunzione e poi attivare la riscossione coattiva entro il quinquennio, altrimenti la pretesa non potrà più essere legalmente riscossa. Alcune normative settoriali fissano termini specifici – ad es. in materia di lavoro vi è un termine di 90 giorni per adottare l’ordinanza ingiunzione dopo il rapporto ispettivo – ma al di fuori di questi casi speciali, la regola generale è l’assenza di un termine decadenziale fisso e l’operatività del termine di prescrizione come limite sostanziale.
Di seguito presentiamo una tabella riepilogativa dei principali termini di decadenza per l’accertamento o la notifica iniziale dei vari tipi di debiti:
Tabella 1 – Termini di decadenza per la notifica degli atti impositivi
| Tipo di entrata | Termine di decadenza per notifica atto |
|---|---|
| IRPEF – IRES – IVA – IRAP (dichiarazione presentata) | 31 dicembre del 5º anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (era 4º anno fino all’annualità 2015) . |
| IRPEF – IRES – IVA – IRAP (dichiarazione omessa) | 31 dicembre del 7º anno successivo a quello in cui andava presentata la dichiarazione (era 5º anno fino all’annualità 2015) . |
| Tributi locali (IMU, TARI, ecc.) | 31 dicembre del 5º anno successivo all’anno in cui il tributo doveva essere versato/dichiarato (L. 296/2006, art. 1 c.161) . |
| Bollo auto (tassa auto) | 31 dicembre del 3º anno successivo all’anno di scadenza del bollo non pagato (D.L. 953/1982 conv. L.53/1983, come mod. L.60/1986) . |
| Contributi previdenziali (INPS, INAIL) | Termine sostanziale di 5 anni dall’omissione contributiva (L. 335/1995, art. 3 commi 9-10) – decorso il quale il credito è prescritto e non più esigibile . (Non è previsto un termine di decadenza distinto dall’ordinario termine di prescrizione quinquennale). |
| Multe Codice della Strada – Notifica verbale | 90 giorni dall’infrazione per notificare il verbale (art. 201 CdS). Se oltre, il verbale è nullo. |
| Multe Codice della Strada – Cartella di pagamento | 2 anni dall’affidamento del ruolo all’Agente Riscossione per notificare la cartella (art. 1 c.153 L. 244/2007) . Se oltre, la cartella è nulla per decadenza. |
| Altre sanzioni amm.ve (L. 689/1981) | Nessun termine fisso di legge per l’ordinanza-ingiunzione; comunque la pretesa va resa esecutiva entro ~5 anni dall’illecito (prima della prescrizione). |
Nota: i termini sopra indicati possono essere soggetti a sospensioni legali (ad es. emergenza Covid) o a proroghe normative straordinarie. Inoltre, alcuni contribuenti possono beneficiare di riduzioni dei termini (ad es. ISA elevati o pagamenti tracciabili, con riduzione di un anno) . In caso di incertezza, è sempre opportuno verificare la normativa vigente per l’anno d’imposta in esame o consultare un esperto.
Termini di prescrizione dei debiti iscritti a ruolo (Agenzia Entrate-Riscossione)
Una volta che il debito è stato validamente accertato e iscritto a ruolo (ossia formalizzato in una cartella di pagamento o in un avviso esecutivo), inizia la fase della riscossione. Da questo momento decorre il termine di prescrizione entro cui l’Agente della Riscossione o l’ente creditore devono compiere atti per recuperare il credito. Come anticipato, i termini di prescrizione variano a seconda della natura del debito: non c’è un unico periodo valido per tutti. La regola generale, se la legge non dispone diversamente, è quella della prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 cod. civ. . Tuttavia, molti crediti tributari o sanzioni hanno per legge (o per natura) un termine di prescrizione più breve, tipicamente quinquennale. La Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito definitivamente che la semplice mancata impugnazione di una cartella non “trasforma” automaticamente la prescrizione breve in decennale . Solo la presenza di un titolo giudiziale definitivo (una sentenza passata in giudicato) permette di applicare il termine decennale in luogo di quello breve originario, ai sensi dell’art. 2953 c.c. . Dunque, se un contribuente non fa ricorso contro una cartella, il credito diventa “irretrattabile” (ossia definitivo nell’an e nel quantum) ma continua a prescriversi in base alla sua natura . Questo principio (espresso da Cass. Sez. Unite n. 23397/2016) vale per tutti i crediti riscossi a mezzo ruolo: tributari, previdenziali, sanzioni amministrative, ecc. . Riassumendo: in assenza di un giudicato, si applica la prescrizione propria di ciascun credito; con un giudicato di condanna, scatta il termine decennale ex art. 2953 c.c..
Ecco dunque quali sono i termini di prescrizione (in mancanza di atti interruttivi) per le varie tipologie di debito verso l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER):
- Tributi erariali (IRPEF, IRES, IVA, IRAP): 10 anni. Le imposte statali si prescrivono in dieci anni, salvo il caso in cui la legge stessa preveda termini più brevi. La motivazione giuridica è che non sono considerate “obbligazioni periodiche” ai fini civilistici, pur avendo cadenza annuale. La Cassazione ha più volte affermato che “la prestazione tributaria, pur essendo a cadenza annuale, ha carattere autonomo e non può considerarsi periodica” . Ciò significa che, ad esempio, l’IRPEF dovuta per l’anno X è un’obbligazione a sé stante riferita a quel periodo d’imposta, non assimilabile a una rendita o a una somministrazione periodica continuativa. In assenza di specifiche previsioni, quindi, si applica l’art. 2946 c.c. e il Fisco ha dieci anni di tempo per riscuotere il tributo definitivamente accertato . Il dies a quo (inizio del conteggio) è il momento in cui il credito diviene esigibile: tipicamente, il giorno successivo alla scadenza dei 60 giorni dalla notifica della cartella o dell’avviso di accertamento esecutivo. Ad esempio, se una cartella IRPEF viene notificata il 10 marzo 2025, il contribuente ha 60 giorni per pagare (fino al 9 maggio 2025); dal 10 maggio 2025 inizia a decorrere la prescrizione decennale, sicché – in assenza di interruzioni – il debito si prescriverà il 10 maggio 2035 . Questo vale sia per le persone fisiche sia per le imprese relativamente alle imposte statali (notiamo che anche imposte indirette come imposta di registro, di successione, ecc., una volta liqudate, seguono la regola decennale, non essendo rate di prestazioni periodiche) .
- Tributi locali (IMU, TASI, TARI, ecc.): 5 anni. Le entrate fiscali locali – come l’imposta sulla casa (IMU), i tributi sui rifiuti (TARI/TARSU) e simili – sono considerati crediti a carattere periodico/continuativo, legati al possesso di un immobile o all’erogazione di un servizio ripetitivo . Di conseguenza la loro prescrizione si ritiene soggetta al termine breve di cui all’art. 2948 comma 1 n. 4 c.c., ossia quinquennale . La giurisprudenza ha confermato ad esempio che IMU e ICI sono tributi di durata per i quali vale la prescrizione di 5 anni . Lo stesso dicasi per la TARSU/TARI (tassa rifiuti) considerata legata a un servizio di raccolta continuo, e per le addizionali regionali/comunali IRPEF (che pur variando in base al reddito, sono ricorrenti annualmente). Dunque, se un Comune notifica una cartella o un’ingiunzione per IMU, il credito ivi contenuto si estinguerà per prescrizione dopo cinque anni dall’ultimo atto interruttivo utile. Esempio: IMU 2017 accertata con avviso nel 2021 (entro i 5 anni); l’avviso diviene esecutivo e viene notificata una cartella nel 2022. Se poi per 5 anni non arriva alcuna intimazione o atto esecutivo (dunque ultimo atto nel 2022), dal 2027 il contribuente potrà eccepire la prescrizione del debito IMU 2017. Al contrario, se l’ente notifica nel 2025 un sollecito o un’intimazione, quel atto interrompe la prescrizione e il termine di 5 anni ricomincia da capo dal 2025. – Nota: alcuni tributi locali minori in passato erano equiparati ai tributi erariali (ad esempio, vecchie imposte comunali su pubblicità o affissioni potevano avere controversie interpretative); tuttavia, l’orientamento attuale prevalente è di applicare i 5 anni ogniqualvolta l’obbligazione abbia natura periodica e nessuna legge speciale disponga espressamente un termine diverso .
- Contributi previdenziali (INPS, INAIL, ecc.): 5 anni. Come già accennato, la legge prevede un termine di prescrizione sostanziale quinquennale per i contributi obbligatori . L’art. 3 commi 9 e 10 della L. 335/1995 stabilisce che “a decorrere dal 1º gennaio 1996 i contributi previdenziali e assistenziali si prescrivono in 5 anni”, salvo che “sia intervenuto accertamento giudiziale passato in giudicato”, in cui caso il termine diventa decennale ex art. 2953 c.c. . In pratica, trascorsi cinque anni senza atti interruttivi, cade l’obbligo di versare i contributi dovuti . Questo vale indipendentemente dal fatto che il debitore abbia o meno impugnato la cartella o l’avviso di addebito: la Cassazione ha chiarito (sent. n. 14690/2021) che la mancata opposizione non “allunga” la prescrizione da 5 a 10 anni . Dunque, ad esempio, un avviso di addebito INPS notificato e non opposto continuerà a prescriversi in 5 anni come il contributo sottostante. Solo se l’INPS ottiene un decreto ingiuntivo o una sentenza di condanna per quei contributi, allora da quel provvedimento decorre la prescrizione decennale (actio iudicati) . In assenza di giudizio, invece, il credito contributivo resta a prescrizione breve. La Suprema Corte ha motivato ciò sottolineando che la cartella esattoriale o l’avviso INPS hanno natura di atti amministrativi, non equiparabili a una sentenza, e quindi “non possono produrre lo stesso effetto di un titolo giudiziario definitivo” ai fini dell’art. 2953 . Conclusione: per tutti i contributi previdenziali e assistenziali il termine da tenere a mente è 5 anni (salvo giudizio), come confermato anche da Cass. SU 23397/2016 e successive pronunce .
- Sanzioni amministrative tributarie: 5 anni. Le sanzioni pecuniarie irrogate per violazioni fiscali (es. omessa fatturazione IVA, infedele dichiarazione, omesso versamento tributi) seguono una disciplina speciale: l’art. 20, comma 3, d.lgs. 18/12/1997 n. 472 prevede che “il diritto alla riscossione della sanzione tributaria si prescrive nel termine di cinque anni” . Dunque ogni sanzione amministrativa tributaria si estingue dopo 5 anni dal giorno in cui la violazione si è consumata o dal giorno in cui l’atto di irrogazione è divenuto definitivo. Anche qui vale la regola generale: la sanzione seguirà il termine di 10 anni solo se c’è una sentenza di condanna definitiva; altrimenti, anche se il contribuente non ha impugnato l’atto di irrogazione o la cartella, la sanzione resta quinquennale . Ad esempio, se un avviso di accertamento IRPEF contiene anche una sanzione per infedele dichiarazione, quest’ultima – una volta definitiva – si prescriverà in 5 anni, indipendentemente dal fatto che l’IRPEF (imposta) sottostante si prescriva in 10 anni. Infatti, in un unico atto possono coesistere parti con prescrizioni diverse: imposta a 10 anni, sanzione e interessi a 5 anni . Il contribuente dovrà prestare attenzione a far decorrere i termini per ciascuna componente. Le sanzioni amministrative non tributarie (es. multe stradali, sanzioni per violazioni amministrative varie) hanno anch’esse termine quinquennale: ciò è stabilito dall’art. 28 della L. 689/1981, che recita “Il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni […] si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione” . Quindi, ad esempio, una multa stradale si prescrive in 5 anni dalla violazione (o dall’ultimo atto interruttivo notificato nel frattempo) . Come visto, per le multe c’è anche il termine di decadenza biennale per la cartella, ma se – poniamo – la cartella viene comunque notificata in tempo, poi il credito della multa si estingue se passano 5 anni senza ulteriori atti (solleciti, pignoramenti, ecc.). Se invece nessuna cartella è stata mai notificata e sono trascorsi 5 anni dall’infrazione, la multa è prescritta e non è più dovuta.
- Interessi: 5 anni. Gli interessi (moratori o compensativi) calcolati sui tributi o sulle sanzioni si prescrivono in cinque anni, in quanto considerati obbligazioni periodiche ai sensi dell’art. 2948 n.4 c.c. . Questo vale per qualsiasi interesse sul credito fiscale, salvo sia parte di un titolo giudiziale. Ad esempio, gli interessi di mora su una cartella decorrono giorno per giorno: se non vengono riscossi o interrotti entro 5 anni, non sono più esigibili per la parte maturata oltre il quinquennio. In pratica, dal momento in cui un tributo va a ruolo, gli interessi su di esso seguono un decorso autonomo quinquennale, rinnovabile da eventuali intimazioni. È importante notare che spesso gli interessi (e le sanzioni) hanno un destino diverso dall’imposta principale: come spiegato, può accadere che l’imposta si possa riscuotere per 10 anni, ma gli interessi relativi vengano reclamati solo per gli ultimi 5 anni non caduti in prescrizione . Questo scenario si verifica, ad esempio, quando l’Agente Riscossione resta inattivo per oltre 5 anni: l’imposta erariale potrebbe sopravvivere (perché decennale) ma interessi e sanzioni su di essa sarebbero comunque decaduti dopo 5 anni di inerzia.
- Altri debiti vari: esistono ulteriori entrate minori che possono presentarsi nelle cartelle esattoriali:
- Diritti camerali dovuti annualmente alle Camere di Commercio: sono ritenuti analoghi a tributi periodici, quindi prescritti in 5 anni (Cass. li ha assimilati a tributi con causa debendi continuativa).
- Canoni, tasse o tariffe patrimoniali di enti locali (es. COSAP, tasse occupazione suolo pubblico): in mancanza di norme ad hoc, prevale il termine di 5 anni se legati ad obblighi annuali.
- Sanzioni civili (es. penali per tardivo pagamento di contributi): queste in genere seguono il destino del credito principale o comunque si prescrivono in 5 anni se assimilabili ad interessi o sovrattasse periodiche.
- Debiti contrattuali verso lo Stato o enti pubblici (non tributari, es. restituzione di incentivi, indennità, ecc. iscritti a ruolo): se di natura riconosciuta da sentenza possono avere 10 anni (actio iudicati), altrimenti spesso seguono 5 anni (se assimilabili a rate o prestazioni periodiche) o altri termini civilistici specifici (es. 2947 c.c. per danni). È sempre necessario valutare la causa del credito.
Presentiamo anche qui una tabella riepilogativa dei termini di prescrizione per tipologia di debito, per maggiore chiarezza:
Tabella 2 – Termini di prescrizione dei debiti esattoriali per tipo di credito
| Natura del debito | Termine di prescrizione |
|---|---|
| Imposte erariali (IRPEF, IRES, IVA, IRAP, imposta di registro, successione, ecc.) | 10 anni (prescrizione ordinaria ex art. 2946 c.c., in quanto non soggette a termine breve) . |
| Tributi locali (IMU, TASI, TARI, ecc.) | 5 anni (obbligazioni a carattere periodico continuativo ex art. 2948 c.c. n.4) . |
| Contributi previdenziali (INPS, INAIL, casse professionali) | 5 anni (termine di legge, L. 335/1995) . Eccezione: 10 anni solo se c’è sentenza giudiziale definitiva sui contributi . |
| Sanzioni tributarie (es. sanzioni da avvisi di accertamento) | 5 anni (art. 20 co.3 D.Lgs. 472/1997) . Eccezione: 10 anni solo se la sanzione è confermata da sentenza passata in giudicato . |
| Multe stradali (CdS) e altre sanzioni amm.ve | 5 anni (art. 28 L. 689/1981) . Il termine decorre dalla violazione oppure dall’atto interruttivo più recente notificato. |
| Interessi (moratori su tributi, sanzioni, contributi) | 5 anni (obbligazioni periodiche ex art. 2948 c.c.) . |
| Bollo auto | 3 anni (come da normativa speciale del 1982/1986, coincidente di fatto col termine di decadenza) . |
Esempio illustrativo: se in una cartella di pagamento notificata nel 2018 sono inclusi €10.000 di IVA evasa 2014, €2.000 di sanzioni e €1.000 di interessi, ciascuna di queste componenti avrà una propria prescrizione: l’IVA (tributo erariale) si prescriverà nel 2028 (10 anni dal 2018) salvo interruzioni; le sanzioni collegate e gli interessi maturati si prescriveranno invece nel 2023 (5 anni) se nel frattempo l’Agente della Riscossione non avrà notificato atti interruttivi . Dunque nel 2024 il contribuente potrebbe ancora vedersi chiedere l’imposta, ma non più sanzioni e interessi, potendo eccepirne la prescrizione. Questo esempio mostra l’importanza di analizzare nel dettaglio la natura delle somme richieste.
Interruzione e sospensione della prescrizione: atti che “azzerano” o congelano il termine
Come evidenziato, i termini di prescrizione sopra indicati (5 anni, 10 anni, 3 anni per il bollo, ecc.) decorrono in assenza di eventi che ne interrompano o sospendano il corso. La prescrizione, disciplinata dal codice civile, può infatti essere interrotta o sospesa da determinati atti o situazioni. Vediamo cosa ciò significa e quali sono gli effetti:
- Interruzione della prescrizione: è prevista dall’art. 2943 c.c. e comporta che, a seguito di un atto interruttivo idoneo, il termine di prescrizione ricomincia da zero (ex novo) dal giorno successivo all’atto . Un atto è interruttivo se manifesta la volontà del creditore di ottenere il pagamento e viene comunicato formalmente al debitore (costituzione in mora) . Nel campo dei debiti fiscali, gli atti interruttivi tipici sono:
- La notifica di una cartella di pagamento o di un avviso di accertamento esecutivo. La notifica stessa della cartella è un atto che riconosce e ingiunge il pagamento, dunque interrompe la prescrizione del credito in essa contenuto e fa decorrere il nuovo termine dal giorno successivo . (In realtà la cartella di pagamento dà inizio al conteggio, più che interrompere, perché prima di essa il debito non era ancora esigibile; ma ogni eventuale nuova cartella – ad esempio per ruoli diversi sullo stesso tributo – sarebbe interruttiva). Da notare: la semplice iscrizione a ruolo interna o il trasferimento del carico all’Agente della Riscossione non hanno effetto interruttivo, poiché sono attività interne non portate a conoscenza del debitore .
- L’avviso di intimazione di pagamento (art. 50 d.P.R. 602/1973). Questo è un atto con cui, se dalla notifica della cartella sono passati più di 12 mesi senza che sia stato avviato il pignoramento, l’Agente deve intimare il pagamento entro 5 giorni, prima di poter procedere a esecuzione forzata. L’intimazione – atto formale e notificato – interrompe la prescrizione esattamente come la cartella . Essa prende il posto del vecchio “avviso di mora” ed è impugnabile dal contribuente; la Cassazione ha confermato che l’intimazione è equiparabile a un atto di costituzione in mora ai fini interruttivi .
- Gli atti dell’esecuzione forzata: ad esempio il pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi), l’atto di precetto (nelle giurisdizioni dove applicabile), il fermo amministrativo di beni mobili registrati (previa notifica del preavviso di fermo), l’ipoteca esattoriale su immobili (preceduta da comunicazione preventiva). Tutti questi sono atti con cui l’Agente della Riscossione manifesta ufficialmente la volontà di riscuotere coattivamente e dunque interrompono la prescrizione ai sensi dell’art. 2943 c.c. (costituzione in mora) . Ad esempio, la notifica di un preavviso di fermo amministrativo per una cartella non pagata è considerata atto interruttivo (oltre che impugnabile).
- Qualsiasi intimazione o sollecito scritto proveniente dall’ente creditore o dal riscossore, purché chiaro e riferito al debito, può avere valore interruttivo. Non è necessario che assuma forme particolari di legge, sebbene di norma l’Agente usi modelli formali (intimazioni, solleciti) riconosciuti dalla giurisprudenza come idonei. Ad esempio, anche una comunicazione via PEC in cui AdER intima il pagamento entro tot giorni, riferita a cartelle elencate, costituisce atto interruttivo se regolarmente notificata. L’importante è che l’atto sia recettizio, cioè portato a conoscenza effettiva del debitore .
Una volta avvenuta l’interruzione, il termine ricomincia interamente: se un tributo ha prescrizione quinquennale e dopo 4 anni arriva un’intimazione, da quest’ultima data ripartono altri 5 anni (e così via per eventuali interruzioni successive). Non esiste un limite al numero di volte in cui la prescrizione può essere interrotta – in teoria il credito potrebbe rimanere indefinitamente esigibile se l’ente notificasse con regolarità atti prima dello scadere del termine. In pratica, però, possono intervenire sanatorie o discarichi amministrativi (vedi oltre) a porre fine ai crediti vetusti.
- Sospensione della prescrizione: la sospensione è diversa dall’interruzione perché congela il decorso per un certo periodo, che non viene conteggiato, ma una volta cessata la causa di sospensione il termine riprende a decorrere dal punto in cui era stato sospeso. Le cause di sospensione sono tassative e possono essere previste da norme speciali. Un esempio importante è stata la sospensione legale dovuta all’emergenza COVID-19: l’art. 68 D.L. 18/2020 ha disposto che per i carichi affidati all’Agente della Riscossione tra l’8 marzo 2020 e il 31 dicembre 2021, il decorso della prescrizione fosse sospeso per l’intero 2020 e 2021 . In sostanza, 24 mesi di stop nel conteggio della prescrizione per quei debiti. Ciò ha avuto l’effetto di allungare di due anni i termini di prescrizione: ad esempio un debito locale affidato nel 2019 che si sarebbe prescritto nel 2024 (5 anni) si prescriverà invece nel 2026, aggiungendo i 24 mesi sospesi. Analoghe sospensioni sono state previste in passato per eventi eccezionali o per particolari categorie: es., la legge ha sospeso i termini durante procedure di composizione della crisi, o – come visto – per contributi pubblici fino al 2025. Un’altra ipotesi di sospensione frequente è legata alle procedure di definizione agevolata o di rateizzazione: molti provvedimenti di “rottamazione” delle cartelle stabiliscono che dalla presentazione dell’istanza e per tutta la durata del pagamento rateale i termini di prescrizione e decadenza rimangono sospesi . Ad esempio, il DL 193/2016 (rottamazione 2016) e i successivi hanno previsto che in caso di domanda di definizione dei ruoli, fino all’esito della domanda e per i pagamenti concordati la riscossione fosse sospesa e così i termini. Allo stesso modo, l’adesione a una dilazione ordinaria con AdER comporta, in base all’art. 19 D.P.R. 602/1973, la sospensione delle azioni esecutive e implicitamente interrompe la prescrizione (la richiesta di rateazione può essere vista come riconoscimento di debito, atto interruttivo ex art. 2944 c.c.). In ogni caso, durante la rateazione in corso l’ente non notificherà altri atti, ma il termine non corre finché i pagamenti sono regolari; se però la rateazione decade (per mancato pagamento di rate), allora gli effetti sospensivi cessano e il termine riprende (o si considera interrotto alla data di concessione della dilazione, a seconda delle interpretazioni).
Riassumendo: per evitare che un debito cada in prescrizione, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione deve notificare un qualche atto al debitore entro la scadenza del termine (5 o 10 anni, ecc.) e così via periodicamente. Dal lato del debitore, quindi, un periodo prolungato di silenzio (nessuna cartella, nessuna intimazione, nessun atto) dall’ultimo evento noto può significare che il diritto di credito si sta prescrivendo o si è già prescritto. Ma attenzione: se l’ente invia un atto e questo viene consegnato validamente (anche se il contribuente magari non lo vede subito perché spedito ad una vecchia residenza non aggiornata negli registri, ad esempio), la prescrizione è interrotta comunque. È onere del contribuente tenere traccia degli atti ricevuti e, in caso di dubbio, richiedere all’Agente della Riscossione un estratto di ruolo per verificare la situazione del proprio debito (in esso potrebbero risultare intimazioni o altre notifiche nel frattempo). L’estratto di ruolo è impugnabile dal contribuente proprio per far accertare l’eventuale prescrizione sopravvenuta di cartelle di cui non ha avuto notizia.
Novità 2025: il discarico automatico delle cartelle dopo 5 anni
Una recente e importante novità in tema di riscossione – sebbene procedurale e non sostanziale – è il discarico automatico delle cartelle inesigibili dopo 5 anni dall’affidamento, introdotto dal Decreto Legislativo 29 luglio 2024 n. 110 (attuativo della delega fiscale, cosiddetto “Decreto Riscossione”). In vigore dal 1° gennaio 2025, esso stabilisce che i carichi affidati ad Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER) che non siano riusciti a riscuotere entro il 31 dicembre del quinto anno successivo all’anno di affidamento vengano automaticamente “discaricati”, ovvero restituiti all’ente creditore . Ciò significa che l’Agente della Riscossione, trascorsi 5 anni, è sollevato dall’incarico di riscuotere quelle somme, le quali escono dal suo magazzino dei crediti.
Facciamo un esempio: un ruolo viene affidato ad AdER a marzo 2025; se al 31 dicembre 2030 quel debito non è stato ancora incassato, nel 2021 (dopo il quinto anno completato) scatta il discarico d’ufficio e AdER restituisce la pratica all’ente creditore (Ministero, Comune, INPS…) . Questo non equivale a un condono: il debito non viene automaticamente cancellato, ma rimane teoricamente dovuto al creditore originario . L’ente creditore, una volta riottenuto il carico, potrebbe eventualmente intraprendere altre azioni (come affidarlo a società di recupero private, oppure procedere con ingiunzione fiscale se ente locale) . Tuttavia, in mancanza di diverse disposizioni, è plausibile che molti enti, una volta fallita la riscossione entro 5 anni, difficilmente riescano a recuperare il dovuto e finiscano col considerare il credito di fatto inesigibile. Lo scopo della norma, infatti, è quello di sgombrare il magazzino della riscossione dai crediti vecchi e di importo modesto, concentrando gli sforzi sulle somme realmente recuperabili . In parallelo, il legislatore ha infatti previsto piani di rateizzazione più lunghi (fino a 120 rate, ossia 10 anni) per dare maggiori chance di incasso entro quel quinquennio di attesa .
Dal punto di vista del debitore, il discarico automatico può tradursi in un beneficio: se sono passati 5 anni senza che AdER sia riuscita a riscuotere (ad esempio non ha trovato beni da pignorare), il debitore non riceverà più richieste da AdER su quel debito dopo l’anno di discarico. Bisogna però capire il rapporto con la prescrizione legale: spesso i 5 anni di mancata riscossione coincideranno con il maturare della prescrizione per molte tipologie di debito (tributi locali, contributi, sanzioni, interessi). In tali casi, allo scadere del quinto anno il debitore potrebbe eccepire comunque la prescrizione compiuta e ottenere l’annullamento definitivo del debito. Se invece il debito aveva prescrizione decennale (come le imposte erariali) o comunque non è ancora prescritta per via di atti interruttivi nel frattempo, l’ente creditore – riottenuto il carico – potrebbe ipoteticamente riattivare la riscossione entro il residuo termine di prescrizione. Ad esempio, un debito IRPEF affidato nel 2025 ha prescrizione sostanziale decennale fino al 2035; se viene discaricato nel 2031, l’Agenzia delle Entrate (creditore) ha ancora fino al 2035 per eventualmente tentare un recupero (ad esempio, se emergessero “nuovi elementi patrimoniali” del debitore, la legge consente la reiscrizione a ruolo purché entro il termine di prescrizione decennale ). Dunque il discarico non impedisce all’ente di riaffidare il credito entro i limiti di legge – scenario che però nella prassi avverrà solo per importi significativi o casi particolari, dato il costo delle operazioni.
In conclusione, dal 2025 in poi chi ha debiti iscritti a ruolo può aspettarsi che, trascorsi 5 anni senza esito, non riceverà ulteriori solleciti da AdER su quelle somme. È però prudente non confondere questo con una cancellazione automatica del debito: finché non interviene la prescrizione (o una legge di stralcio), il debito esiste ancora, pur se in uno stato “ibernato”. Il consiglio per i debitori rimane quello di valutare, caso per caso, se convenga attendere tale termine (rischiando però azioni esecutive nel frattempo) oppure cercare soluzioni come la rateazione, la definizione agevolata se disponibile, o il contenzioso. Il nuovo approccio mira a un “recupera il recuperabile, sgrava il resto” , superando il precedente principio del “recuperare tutto a ogni costo”. Da un lato, offre respiro ai debitori in difficoltà per debiti di lunga data; dall’altro, lascia aperta la necessità di far valere la prescrizione, ove maturata, per ottenere la certezza dell’annullamento del debito.
Come far valere la prescrizione o la decadenza: strumenti di tutela del debitore
Abbiamo visto che sia la decadenza sia la prescrizione non operano automaticamente a favore del debitore, ma richiedono un’azione o un’eccezione da parte sua. Vediamo dunque cosa deve fare un contribuente che ritenga di aver ricevuto una richiesta tardiva o relativa a un debito ormai prescritto:
- Impugnare l’atto nei termini: se si riceve un avviso di accertamento oltre i termini di decadenza, o una cartella di pagamento per un tributo già prescritto, è fondamentale non ignorare l’atto. Occorre presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria (CGT) competente (ex Commissione Tributaria) entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, sollevando tra le motivazioni l’intervenuta decadenza/prescrizione. Ad esempio, se arriva nel 2025 un accertamento IRPEF 2017 notificato oltre il 31/12/2023, il ricorso in Commissione dovrà eccepire la decadenza dell’azione accertatrice. Oppure, se si riceve un’intimazione di pagamento per una cartella del 2010 su imposta comunale, si eccepirà la prescrizione quinquennale maturata. Sarà il giudice a dichiarare nullo l’atto (per decadenza) o estinto il debito (per prescrizione). Ricordiamo che la decadenza va eccepita nel ricorso contro l’atto impositivo stesso, mentre la prescrizione può essere eccepita anche con ricorso contro un atto successivo (es. contro un’intimazione di pagamento) oppure tramite opposizione all’esecuzione davanti al giudice ordinario, se si è già in fase esecutiva (pignoramento). L’importante è rispettare i termini processuali: 60 giorni per gli atti tributari, 30 giorni per alcune opposizioni (es. sanzioni CdS al Giudice di Pace), ecc.
- Istanza di sgravio/sospensione in autotutela: dal 2013 esiste una procedura (art. 1, commi 537-543, L. 228/2012) che consente al contribuente di segnalare direttamente all’Agenzia Entrate-Riscossione alcune cause di inesigibilità, tra cui la prescrizione o decadenza già maturate prima della formazione del ruolo . In pratica, se si riceve una cartella e si ritiene che il credito fosse già decaduto/prescritto al momento dell’iscrizione a ruolo (ad esempio: cartella del 2025 per IRPEF 2015, quando l’accertamento non era stato notificato entro il 2021, quindi credito inesistente per decadenza), si può inviare entro 60 giorni all’Agente della Riscossione un’istanza in autotutela chiedendo la sospensione della riscossione e l’annullamento, allegando le prove. L’Agente è tenuto a girare la richiesta all’ente creditore e sospendere le azioni esecutive ; se l’ente conferma l’errore (ad es. riconosce la decadenza), dispone lo sgravio. Questo strumento è utile in casi lampanti di errore dell’ente impositore. Attenzione: la norma si riferisce a decadenza/prescrizione antecedenti al ruolo (quindi ad esempio cartella emessa fuori termine). Non copre la prescrizione sopravvenuta dopo la cartella: se una cartella era valida all’origine ma poi si è prescritta negli anni per mancanza di atti, difficilmente l’ente annullerà in autotutela. In tal caso, il debitore dovrà attivarsi giudizialmente come detto sopra.
- Opposizione all’esecuzione/agli atti esecutivi: se il contribuente scopre la prescrizione solo quando è già iniziata l’esecuzione forzata (pignoramento in corso), può rivolgersi al Giudice dell’esecuzione (Tribunale civile) con un’opposizione ex art. 615 c.p.c. (opposizione all’esecuzione per fatto estintivo sopravvenuto). Ad esempio, arriva un pignoramento presso terzi per una cartella del 2012 su cui non arrivavano atti dal 2013: si può eccepire davanti al giudice civile la prescrizione del 2018. Analogamente, se l’esecuzione è già avviata ma si vuole contestare la cartella per decadenza, va proposta opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (entro 20 giorni). Queste azioni sono complesse e richiedono assistenza legale specializzata. Spesso è preferibile prevenire arrivando prima in Commissione Tributaria, se possibile.
- Eccepire sempre la prescrizione: infine, un consiglio pratico al debitore (specie nei casi in cui interagisce senza giudice, ad esempio in un dialogo con l’ente): è quello di non ammettere mai spontaneamente un debito prescritto. Se l’ente lo invita a pagare bonariamente, il debitore può rispondere con una lettera raccomandata/PEC affermando di ritenere il debito prescritto e diffidando da ulteriori pretese: ciò mette a verbale la sua eccezione. Ricordiamo che pagare un debito anche se prescritto lo riattiva irrimediabilmente (essendo un atto volontario di adempimento). Dunque mai versare se si ha un dubbio di prescrizione senza prima aver chiarito la situazione. Meglio consultare un avvocato o un esperto tributario per valutare le mosse.
- Assistenza professionale: dati gli intrecci normativi e procedurali (giudice tributario vs giudice ordinario, termini, eccezioni da sollevare), il ruolo di un professionista legale esperto è spesso decisivo. Un avvocato tributarista, ad esempio, potrà individuare la strategia corretta (ricorso tributario o opposizione civile) e i vizi da far valere. Agire in maniera impropria – ad esempio contestare la prescrizione fuori tempo – può far perdere definitivamente il beneficio. Quindi, specie per importi elevati, è raccomandabile farsi assistere.
Domande frequenti (FAQ) su prescrizione e decadenza dei debiti con il Fisco
- D: Che differenza c’è, in parole semplici, tra prescrizione e decadenza?
R: La decadenza è il termine entro cui il Fisco deve accorgersi del debito ed emettere l’atto (ad esempio controllare la dichiarazione e notificare un avviso). Se non lo fa in tempo, perde il diritto di far nascere la pretesa tributaria. La prescrizione invece è il termine entro cui il Fisco deve riscuotere un debito già accertato: se passa troppo tempo senza che siano compiuti atti di riscossione, il debito si estingue. In breve: la decadenza “blocca sul nascere” un accertamento tardivo; la prescrizione cancella un debito su cui c’è stato silenzio per anni. Entrambe vanno fatte valere dal contribuente attraverso ricorso o opposizione. - D: Quali sono i termini di prescrizione per i debiti fiscali?
R: Dipende dal tipo di debito. In generale, le imposte statali come IRPEF, IRES, IVA si prescrivono in 10 anni (salvo eccezioni), mentre la maggior parte degli altri debiti si prescrive in 5 anni . Ad esempio: tributi locali (IMU, TARI), contributi INPS, sanzioni amministrative e interessi si prescrivono in 5 anni . Un caso a parte è il bollo auto, che si prescrive in 3 anni. Ricorda che se c’è di mezzo una sentenza, il debito diventa da 10 anni per effetto del giudicato. - D: I debiti con l’INPS cadono in prescrizione dopo 5 o 10 anni?
R: Cinque anni, in assenza di giudizio. Tutti i contributi previdenziali (sia dei lavoratori dipendenti che di artigiani, commercianti, gestione separata, ecc.) hanno termine di prescrizione quinquennale per disposizione di legge . Il fatto di non aver impugnato la cartella o l’avviso di addebito non li trasforma in decennali . Diventerebbero decennali solo se l’INPS ottenesse un decreto ingiuntivo o sentenza di condanna sul credito (cosa in pratica rara, perché l’INPS di norma si avvale delle cartelle). Dunque, ad esempio, contributi INPS 2016 non richiesti o interrotti entro il 2021 sono prescritti. - D: Le multe stradali dopo quanti anni non si pagano più?
R: Anche le multe per violazioni del Codice della Strada si prescrivono in 5 anni dal giorno della violazione (o dall’ultimo atto notificato). Tuttavia, bisogna distinguere: la multa in sé va notificata entro 90 giorni (altrimenti è nulla per decadenza); una volta notificata, se non pagata viene iscritta a ruolo e la cartella va notificata entro 2 anni (decadenza) . Se tutti questi passi avvengono correttamente, dal momento della cartella il credito della multa dura 5 anni, estinguendosi poi se in quel lustro non arrivano solleciti o pignoramenti. Quindi, ad esempio, una multa definitiva nel 2018 avrà la cartella (se notificata nei 2 anni) e poi si prescriverà definitivamente nel 2025 se nel frattempo niente altro è successo. - D: Se non impugno una cartella esattoriale, il debito si prescrive in 10 anni?
R: No, non automaticamente. Questo è un equivoco comune. In passato si pensava che non facendo ricorso, la cartella “cristallizzasse” il debito rendendolo equiparabile a una sentenza (quindi 10 anni ex art. 2953 c.c.). La Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito che ciò vale solo se c’è un titolo giudiziale definitivo . La cartella non opposta diventa definitiva come importo, ma la prescrizione rimane quella propria del tributo: se era un tributo quinquennale, resta 5 anni; se era decennale, resta 10 . Ad esempio, una cartella per IMU (5 anni) non impugnata continuerà a prescriversi in 5 anni; una per IRPEF (10 anni) in 10. Ecco perché è importante conoscere la natura del proprio debito. - D: Come faccio a sapere se un mio vecchio debito con Agenzia delle Entrate è prescritto?
R: Devi considerare l’ultimo atto ricevuto relativo a quel debito e la tipologia del debito. Ad esempio, hai ricevuto una cartella per TARI nel 2015 e da allora non hai più avuto notizie né solleciti: la TARI è 5 anni, quindi nel 2020 sarebbe prescritta. Se però magari nel 2018 l’ente ti aveva inviato un sollecito (anche se tu non lo ricordi), quel sollecito ha interrotto la prescrizione. Quindi per esserne certo dovresti chiedere un estratto di ruolo ad Agenzia Entrate-Riscossione per vedere lo storico degli atti. In generale, se sono passati più di 5 anni (per i debiti a prescrizione breve) o più di 10 (per quelli a prescrizione ordinaria) dall’ultima comunicazione ufficiale di riscossione, è molto probabile che il debito sia prescritto. A quel punto, se ti notificano un nuovo atto (tipo un’intimazione di pagamento), dovrai eccepire la prescrizione nel modo opportuno (ricorso, opposizione, ecc.). - D: La prescrizione estingue davvero il debito? Posso considerarlo cancellato?
R: Giuridicamente, sì: un debito prescrittosi non è più dovuto e se il debitore solleva l’eccezione, il giudice non può che prenderne atto. Attenzione però: bisogna farla valere. Fino a quando non viene eccepita in sede legale, l’Agente della Riscossione potrebbe ancora provare a riscuoterlo. Inoltre, la prescrizione non cancella materialmente l’importo dai sistemi finché non c’è un annullamento formale. Questo significa che, ad esempio, anche se un debito è prescrittibile dal 2020, l’Agenzia potrebbe comunque inviarti un’intimazione nel 2023 sperando che tu non ti opponga. Se tu paghi senza eccepire nulla, paghi validamente (perché la prescrizione non è automatica). Quindi considera “cancellato” un debito solo dopo che hai ottenuto uno sgravio/annullamento o una sentenza favorevole. In assenza di ciò, il debito potrebbe risultare ancora a sistema, sebbene sia difendibile l’eccezione di prescrizione. - D: Ho un debito fiscale molto vecchio, mi conviene aspettare la prescrizione o aderire a una definizione agevolata?
R: Dipende. Se il debito è già vicino alla prescrizione (es. mancano pochi mesi o 1 anno) e nel frattempo non hai beni aggredibili (per cui l’Agente potrebbe intervenire), potresti valutare di attendere e poi eccepire la prescrizione. Tieni però presente che basta un atto interruttivo dell’ultimo momento per far ripartire tutto da capo. Le definizioni agevolate (rottamazioni, saldo e stralcio) offrono sconti su sanzioni e interessi, ma fanno rinunciare ai ricorsi e sospendono i termini: quindi se aderisci, rinunci a far valere la prescrizione durante la dilazione e ti impegni a pagare il dovuto (seppur ridotto). Se il tuo debito è molto datato e l’ente non si è fatto vivo, potresti essere in una situazione favorevole per la prescrizione; se invece l’ente è attivo, magari aderire a una rottamazione ti conviene per evitare pignoramenti. Ogni caso va valutato singolarmente, possibilmente con l’aiuto di un professionista. - D: Cos’è il discarico automatico dopo 5 anni introdotto nel 2025? Devo fare qualcosa per beneficiarne?
R: Il discarico automatico è un meccanismo interno tra Agenzia Riscossione ed ente creditore: tu come debitore non devi fare nulla, accade in automatico. In pratica, dal 2025 l’Agenzia delle Entrate-Riscossione terrà un carico per massimo 5 anni; se in quel periodo non riesce a riscuotere, lo toglierà dal suo magazzino restituendolo all’ente che aveva iscritto il ruolo . Per il debitore significa che dopo quel periodo non riceverà più solleciti da Agenzia Riscossione. Tuttavia, il debito non è giuridicamente annullato: rimane dovuto all’ente originale. Probabilmente molti enti lasceranno perdere crediti minori o non esigibili, ma in teoria potrebbero ancora cercare di riscuotere (ad esempio, affidandosi a recuperatori privati o attendendo una futura occasione). Il discarico non incide sulla prescrizione: se il debito era destinato a prescriversi in 5 anni, di fatto coinciderà; se aveva 10 anni di prescrizione, l’ente avrà comunque 5 anni residui per eventuali mosse dopo il discarico. In sintesi, per il debitore comune il discarico è una buona notizia perché libera da un incubo a tempo indeterminato (prima le cartelle potevano restare “pendenti” decenni); ma per chi vuole sicurezza al 100%, la prescrizione effettiva (o un provvedimento di annullamento) rimane la garanzia definitiva. - D: Ho scoperto di avere una cartella esattoriale di tanti anni fa di cui ignoravo l’esistenza: posso fare qualcosa ora?
R: Se la cartella è molto vecchia e non ti è mai stata notificata regolarmente, puoi contestarne la nullità della notifica (ma devi averne prova) o impugnarla appena ne vieni a conoscenza tramite estratto di ruolo, sollevando magari la prescrizione maturata nel frattempo. Questa è una situazione comune: il contribuente scopre da estratto di ruolo o da comunicazioni tardive di avere un debito di cui non sapeva nulla perché magari la notifica originaria era viziata. In tal caso, hai 60 giorni dalla conoscenza per impugnare in Commissione l’estratto di ruolo/cartella per far valere i vizi (nullità di notifica, prescrizione sopravvenuta). La giurisprudenza ammette il ricorso contro l’estratto se la cartella non fu notificata e nel frattempo è passato il tempo di prescrizione . È una materia tecnica: fatti seguire da un legale. In ogni caso, non ignorare la scoperta sperando che sparisca da sola: attivati per far valere i tuoi diritti. - D: Se un debito è prescritto, viene cancellato anche dal cassetto fiscale o dal DURC?
R: Purtroppo l’“anagrafe” dei debiti (cassetto fiscale, DURC, visure) non viene automaticamente aggiornata con le prescrizioni non dichiarate. Finché non c’è un provvedimento di sgravio, quel debito potrebbe risultare pendente. Ad esempio, ai fini DURC (documento di regolarità contributiva), l’INPS considera irregolare anche un debito a ruolo non pagato, a meno che tu non lo abbia impugnato e non sia stato annullato. Quindi, se hai un debito prescritto e ti serve un DURC pulito, è consigliabile presentare ricorso e ottenere l’annullamento formale oppure chiedere all’ente uno sgravio in autotutela presentando l’istanza di cui sopra. Solo dopo l’annullamento, il debito verrà rimosso dalle banche dati ufficiali. In futuro, con il discarico automatico dopo 5 anni, forse questi crediti prescritti verranno tolti più agilmente dalle liste attive, ma per ora serve un’azione formale.
Conclusioni
In questa guida abbiamo esaminato in dettaglio quando cadono in prescrizione i debiti con l’Agenzia delle Entrate, considerando anche i termini di decadenza degli accertamenti e le peculiarità per soggetti diversi. Dal punto di vista del debitore è fondamentale conoscere questi aspetti, per non subire passivamente richieste tardive o indebite. La normativa italiana offre strumenti di tutela potenti – la decadenza impedisce al Fisco di agire dopo un certo tempo, la prescrizione estingue i diritti per inerzia del creditore – ma spetta al contribuente attivarli correttamente. Un contribuente informato sui tempi di prescrizione del proprio debito può evitare pagamenti non dovuti e fare scelte consapevoli (ad esempio aderire o meno a una sanatoria, opporsi a un atto esecutivo, ecc.). D’altro canto, l’Amministrazione finanziaria negli ultimi anni ha cercato di bilanciare l’interesse erariale con la certezza del diritto: da qui la tendenza a chiudere i conti vecchi (vedi discarico automatico) e a indicare chiaramente nei modelli di cartella le date di esecutorietà, in modo che anche il contribuente possa calcolare il decorso del tempo. In ogni caso, se hai un debito con il Fisco, tieni monitorata la situazione, consulta un esperto se necessario e non esitare a far valere i tuoi diritti di fronte a pretese fuori tempo massimo. Il sistema tributario può essere complesso, ma le sentenze più recenti offrono interpretazioni univoche a favore della ragionevolezza: non c’è eterna persecuzione fiscale, trascorsi i termini di legge il contribuente ha il diritto di voltare pagina .
Fonti normative e giurisprudenziali (Riferimenti)
- Codice Civile: art. 2934 (estinzione per prescrizione); art. 2946 (prescrizione ordinaria decennale); art. 2948 comma 1 n.4 (prescrizione quinquennale per prestazioni periodiche); art. 2953 (diritti con prescrizione breve tramutati in decennale da giudicato) .
- D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 43: Termini di decadenza per gli accertamenti delle imposte sui redditi (4 anni, elevati a 5 dal 2016; omessa dichiarazione 5 anni, elevati a 7 dal 2016) .
- D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 57: Termini di decadenza accertamento IVA (rinvia ai termini analoghi a quelli delle imposte sui redditi).
- L. 27 dicembre 2006 n. 296, art. 1, comma 161: Termini di decadenza per accertamenti dei tributi locali (5 anni) .
- D.L. 30 dicembre 1982 n. 953, art. 5, co. 51 (conv. L. 53/1983, mod. da L. 60/1986): Termine di 3 anni per accertamento e prescrizione tassa automobilistica (bollo auto) .
- L. 24 novembre 1981 n. 689, art. 28: Prescrizione quinquennale delle sanzioni amministrative dal giorno della violazione .
- L. 8 agosto 1995 n. 335, art. 3 commi 9-10: Riduzione a 5 anni del termine di prescrizione dei contributi previdenziali dal 1º gennaio 1996 .
- D.Lgs. 26 febbraio 1999 n. 46, art. 24: Opposizione a cartella esattoriale entro 40 giorni per crediti previdenziali (decadenza dall’impugnazione) – rilevante per il calcolo degli effetti del giudicato (art. 2953 c.c.).
- D.Lgs. 13 aprile 1999 n. 112, art. 20 (come mod. da D.Lgs. 193/2001 e successivi): Procedura di discarico per inesigibilità ruoli e possibilità di re-iscrizione entro termini di prescrizione decennale .
- D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, art. 20, comma 3: Prescrizione quinquennale del diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative tributarie .
- L. 24 dicembre 2007 n. 244, art. 1, comma 153: Termine di decadenza biennale per notificare cartelle di pagamento relative a sanzioni CdS dal ruolo.
- D.L. 18/2020 (Cura Italia), art. 68: Sospensione termini di versamento e prescrizione durante emergenza Covid (riconosciuta sospensione dei termini di prescrizione dall’8/3/2020 al 31/12/2021 per carichi affidati in tale periodo) .
- D.Lgs. 29 luglio 2024 n. 110: Riforma della riscossione – introduzione discarico automatico carichi inesigibili dopo 5 anni .
- Cass., Sez. Unite, 17/11/2016 n. 23397: Principio di diritto – “la mancata impugnazione nei termini della cartella non comporta la conversione della prescrizione breve in decennale ex art. 2953 c.c., salvo titolo giudiziale; il credito resta soggetto al termine proprio della sua natura” . Caso deciso in materia di contributi INPS, esteso a tutti i ruoli erariali e non .
- Cass., Sez. V, 15/10/2020 n. 22351: Conferma orientamento SS.UU. 2016; applicazione ai tributi locali e interessi. L’IMU, i diritti camerali e gli interessi si prescrivono in 5 anni per natura periodica; l’art. 2953 c.c. si applica solo ai titoli giudiziali . Rigetto tesi Agenzia Entrate Riscossione sulla prescrizione decennale generalizzata dei ruoli .
- Cass., Sez. Lav., 26/05/2021 n. 14690: “La mancata opposizione alla cartella o avviso di addebito INPS non determina la conversione della prescrizione quinquennale in decennale”. La cartella ha natura amministrativa e non equivale a sentenza . (Conferma Cass. SU 2016 in ambito contributi, con riferimento a premi INAIL).
- Cass., Sez. V, 5/03/2020 n. 6245: In tema di sanzioni tributarie, conferma prescrizione quinquennale ex art. 20 d.lgs. 472/97, salvo giudicato (richiama art. 2948 c.c. per interessi e natura periodica).
- Cass., Sez. II, 13/01/2022 n. 787: In materia di sanzioni amministrative (L.689/81) ribadisce che ogni atto del procedimento sanzionatorio notificato (verbale, ordinanza) interrompe la prescrizione quinquennale, che decorre ex novo da tale atto .
- Cass., Sez. III, 10/12/2009 n. 25790: Interpretando l’art. 28 L.689/81, ha statuito che il termine di 5 anni decorre dalla definitività del titolo se successiva alla violazione (coordinando il dettato normativo con la durata del procedimento). Decisione rilevante per comprendere decorrenza prescrizione multe in caso di ricorso.
- Corte Costituzionale 17/03/2010 n. 94: Ha dichiarato illegittimo l’art. 2953 c.c. nella parte in cui avrebbe potuto applicarsi ai provvedimenti amministrativi divenuti inoppugnabili, escludendo quindi che un’ingiunzione amministrativa non opposta produca prescrizione decennale (pronuncia in ambito di sanzioni urbanistiche, con principi generali estensibili).
(Le fonti sopra citate includono estratti di normativa e pronunce giurisprudenziali chiave fino alle più recenti disponibili a ottobre 2025, raccolte da documenti ufficiali e pubblicazioni specialistiche. Si raccomanda in ogni caso di verificare eventuali ulteriori aggiornamenti normativi post-2025 che possano incidere sui termini indicati.)
Hai debiti con l’Agenzia delle Entrate o con l’Agenzia Entrate-Riscossione e vuoi sapere quando si prescrivono? Fatti Aiutare da Studio Monardo
Hai debiti con l’Agenzia delle Entrate o con l’Agenzia Entrate-Riscossione e vuoi sapere quando si prescrivono?
Ti stanno arrivando solleciti, intimazioni di pagamento, preavvisi di fermo, pignoramenti o nuove cartelle esattoriali e vuoi capire se quei debiti sono ancora validi o ormai prescritti?
La prescrizione dei debiti fiscali è reale, è prevista dalla legge, e in molti casi permette di non pagare più somme ormai scadute e non più esigibili.
Ma bisogna sapere quando decorre, quando si interrompe e quali termini valgono per ogni tipo di debito.
Prescrizione Debiti Agenzia delle Entrate: I Termini Reali (E Non Confondibili)
La prescrizione non è uguale per tutti i debiti.
Ecco i tempi ufficiali:
✔ 10 anni
Valgono solo se esiste una sentenza definitiva che ha accertato il debito fiscale.
👉 È il caso meno comune.
✔ 5 anni (il caso più frequente)
Si prescrive in 5 anni la maggior parte dei debiti con Agenzia Entrate e Agenzia Riscossione:
- IRPEF
- IVA
- IRES
- IRAP
- Ritenute
- Contributi previdenziali INPS
- Tributi locali dopo cartella esattoriale
È la prescrizione che riguarda quasi tutti i contribuenti e imprenditori.
✔ 3 anni
Si prescrivono in 3 anni:
- bollo auto
- tassa su rifiuti (TARI) prima della cartella
- canone TV
- alcuni tributi locali prima che diventino cartella esattoriale
✔ 1 anno
Prescrizione rapidissima per:
- multe stradali già notificate come verbale
- sanzioni amministrative
Se arriva una cartella dopo troppo tempo, può essere illegittima.
Prescrizione: Da Quando Inizia?
La prescrizione decorre dalla data in cui il debito è diventato esigibile:
- per una cartella esattoriale, dal giorno della sua notifica;
- per un avviso di accertamento, dalla sua notifica;
- per una multa, dal verbale notificato;
- per il bollo auto, dalla scadenza del pagamento.
Attenzione: La Prescrizione si Interrompe
Ogni volta che l’Agenzia Riscossione ti invia uno dei seguenti atti:
- intimazione di pagamento
- preavviso di fermo
- preavviso di ipoteca
- pignoramento
- sollecito scritto
👉 il termine di prescrizione riparte da zero.
Per questo molti debiti che sembrano “vecchi” in realtà sono ancora validi… e altri che sembrano validi sono in realtà prescritti da anni.
Come Verificare se un Debito è Prescritto
Serve controllare:
- data della notifica originale
- date di eventuali atti interruttivi
- la tipologia del tributo (che determina il termine)
- errori o irregolarità nella notifica
Molti contribuenti scoprono di avere debiti già prescritti, quindi non più dovuti.
Cosa Fare se Sospetti una Prescrizione
1️⃣ Richiedere l’estratto debitorio completo
Per verificare ogni atto inviato e le date.
2️⃣ Controllare i termini di prescrizione
Debito per debito, tributo per tributo.
3️⃣ Impugnare gli atti illegittimi
Se il debito è prescritto, si può:
- chiedere l’annullamento
- bloccare pignoramenti
- evitare pagamenti indebiti
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Per verificare correttamente la prescrizione serve un professionista esperto in diritto tributario e riscossione.
L’Avv. Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di un team di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012), negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Un profilo ideale per verificare prescrizioni, annullare debiti e difendere contribuenti e imprenditori.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- verifica completa delle date di notifica
- controllo tecnico della prescrizione per ogni tributo
- impugnazione degli atti illegittimi
- blocco urgente di pignoramenti e fermi
- annullamento dei debiti prescritti
- tutela totale del contribuente e dell’imprenditore
Conclusione
I debiti con l’Agenzia delle Entrate possono cadere in prescrizione, ma solo se conosci i tempi, gli atti interruttivi e i tuoi diritti.
Con una strategia professionale puoi:
- evitare pagamenti non dovuti
- annullare debiti prescritti
- bloccare azioni esecutive
- proteggere il tuo futuro finanziario
Il momento di verificare è adesso.
📞 Contatta l’Avv. Giuseppe Monardo per una consulenza riservata:
potresti scoprire che molti dei tuoi debiti sono già estinti per legge.