Pignoramento dello stipendio: percentuali, limiti e come difendersi

Introduzione

Il pignoramento dello stipendio rappresenta una delle forme più invasive di esecuzione forzata, perché incide direttamente sulla retribuzione che il lavoratore percepisce ogni mese e dalla quale dipende il sostentamento personale e familiare. Comprendere quanto del proprio reddito può essere prelevato dai creditori, quali sono i limiti imposti dalla legge e quali tutele esistono è fondamentale per proteggere la propria dignità e programmare una strategia di difesa adeguata. L’ordinamento italiano, anche alla luce delle riforme in materia di riscossione e delle pronunce giurisprudenziali più recenti, tutela il cd. minimo vitale e prevede quote massime pignorabili, differenziate a seconda del tipo di debito e del soggetto creditore . Tali limiti sono la sintesi di un equilibrio delicato: da un lato, la necessità per il creditore di recuperare le somme dovute; dall’altro, il rispetto dei diritti fondamentali del debitore e della sua famiglia alla sopravvivenza.

L’argomento è di stretta attualità: il Codice della riscossione introdotto dal D.Lgs. 110/2024, la Legge di bilancio 2025 (L. 207/2024) e le modifiche apportate al DPR 602/1973 con l’introduzione delle nuove procedure esattoriali hanno riscritto i tempi e le modalità del pignoramento presso terzi, riducendo i termini per intervenire, introducendo controlli automatici sugli stipendi dei dipendenti pubblici e creando nuove opportunità di contestazione . In particolare, a partire dal 1° gennaio 2025, il termine per pagare o contestare una cartella esattoriale è passato da 30 a 60 giorni , mentre dal 2026 le pubbliche amministrazioni dovranno verificare se il dipendente ha debiti fiscali superiori a 5.000 euro prima di erogare stipendi mensili oltre 2.500 euro . Queste novità si affiancano alle regole generali contenute nell’art. 545 c.p.c. e nell’art. 72‑ter DPR 602/1973, che fissano le percentuali pignorabili della retribuzione .

Di seguito verranno illustrate in maniera sistematica le norme e la giurisprudenza di riferimento, le procedure operative del pignoramento dello stipendio, le difese possibili e gli strumenti alternativi (rottamazioni, rateazioni, piani di rientro, procedure di sovraindebitamento). Saranno inoltre presenti tabelle riassuntive, simulazioni numeriche e una sezione di domande e risposte basata sui dubbi più frequenti. L’obiettivo è fornire una guida pratica e aggiornata alle percentuali pignorabili, ai limiti e alle tutele legali per chi rischia o sta subendo un pignoramento, con uno sguardo attento alle novità normative e giurisprudenziali più recenti.

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Questo articolo è realizzato con il contributo professionale dell’Avv. Giuseppe Angelo Monardo, avvocato cassazionista, esperto in diritto bancario e tributario. L’avvocato coordina un team multidisciplinare di avvocati e commercialisti operativi su tutto il territorio nazionale, specializzati nella difesa dei debitori contro pignoramenti, cartelle esattoriali, iscrizioni ipotecarie e fermi amministrativi. Oltre ad essere iscritto all’albo speciale dei cassazionisti, l’Avv. Monardo è:

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Contesto normativo: leggi e giurisprudenza di riferimento

Le fonti principali

Il pignoramento dello stipendio è disciplinato da norme di natura civilistica e tributaria, integrate da numerose pronunce della Corte di cassazione e della Corte costituzionale. Le fonti principali sono:

  • Art. 545 c.p.c. – Disciplina il pignoramento presso terzi di stipendi, salari, pensioni e altre indennità collegate al rapporto di lavoro. Stabilisce che i salari e le pensioni sono pignorabili «nel limite di un quinto» per la generalità dei creditori e prevede eccezioni per i crediti alimentari e per i debiti fiscali.
  • Art. 72‑ter del DPR 602/1973 – Norma speciale che regola il pignoramento degli emolumenti per i debiti verso l’Agenzia delle Entrate‑Riscossione (AdER). Introduce una quota progressiva in base all’importo dello stipendio: un decimo per emolumenti fino a 2.500 euro, un settimo tra 2.501 e 5.000 euro e un quinto oltre 5.000 euro . La stessa disposizione stabilisce che l’ultima retribuzione accreditata prima dell’atto di pignoramento non può essere toccata .
  • Norme sul minimo vitale e soglie impignorabili – La Corte costituzionale, richiamando gli artt. 2, 3 e 36 della Costituzione, ha ribadito che il pignoramento non può compromettere la dignità e il sostentamento del lavoratore. Il legislatore ha quindi introdotto soglie di impignorabilità legate all’assegno sociale: per il 2025 l’assegno sociale mensile è pari a 548,69 euro, per cui la somma impignorabile sul conto corrente alla data di notifica dell’atto corrisponde a tre volte tale importo (circa 1.616,97 euro) . Per le pensioni, la somma non pignorabile è pari al doppio dell’assegno sociale (1.097,38 euro) .
  • Legge 3/2012 – Introduce le procedure di sovraindebitamento (piano del consumatore, accordo di ristrutturazione, liquidazione del patrimonio) che consentono al debitore civile di ottenere la sospensione delle azioni esecutive e, in caso di esito positivo, la cancellazione parziale o totale del debito .
  • D.L. 118/2021 e Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019)** – Riguardano le procedure di composizione negoziata per le imprese e forniscono ulteriori strumenti per prevenire l’insolvenza.
  • D.Lgs. 110/2024 (Riforma della riscossione) – Introduce il Codice della riscossione, estende i termini per contestare le cartelle e semplifica la rateizzazione; eleva da 30 a 60 giorni il termine per pagare o impugnare l’atto ; prevede la possibilità di cancellare i debiti non incassati dopo cinque anni (discarico) e riduce i tempi per l’esecuzione.
  • Legge di bilancio 2025 (L. 207/2024) – Prevede che dal 2026 le amministrazioni pubbliche e le società partecipate debbano verificare l’esistenza di debiti fiscali superiori a 5.000 euro prima di pagare stipendi oltre 2.500 euro; in tal caso, l’erogazione sarà sospesa e trasmessa all’AdER .

Giurisprudenza recente

L’evoluzione giurisprudenziale ha avuto un ruolo decisivo nel definire la portata dei limiti di pignoramento. Tra le decisioni più rilevanti degli ultimi anni si segnalano:

  • Cass. Civ., Sez. Unite, n. 26252/2022 – Ha affermato che i limiti alla pignorabilità previsti dall’art. 545 c.p.c. valgono non solo per l’esecuzione civile ma anche per le misure di sequestro e confisca penale, in quanto costituiscono attuazione dei principi costituzionali di dignità e solidarietà . La decisione ribadisce che il pignoramento non può annichilire il minimo vitale e che eventuali deroghe devono essere interpretate restrittivamente.
  • Cass. Civ., n. 18054/2024 – Ha precisato che la tutela della somma impignorabile sul conto corrente (triplo dell’assegno sociale) si applica una sola volta al momento dell’esecuzione: i prelievi successivi saranno soggetti alla quota pignorabile ordinaria .
  • Cass. Civ., n. 22361/2024 – In tema di cessione del quinto e concorso con pignoramento, ha stabilito che la somma complessiva trattenuta non può superare la metà dello stipendio netto; inoltre, eventuali costi amministrativi addebitati dal datore di lavoro devono essere provati e giustificati .
  • Cass. Civ., n. 28520/2025 – Ha riconosciuto il carattere dinamico del pignoramento esattoriale: la banca che riceve l’atto di pignoramento deve bloccare non solo la somma presente sul conto al momento della notifica ma anche tutte le somme che vi affluiranno entro 60 giorni, trasferendole all’AdER . La pronuncia ha chiarito che il pignoramento opera anche in caso di saldo negativo: qualsiasi accredito successivo sarà immediatamente vincolato .
  • Corte costituzionale, sent. 248/2015 – Ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma che permetteva di pignorare integralmente l’assegno sociale, sancendo che il debitore deve sempre conservare almeno 80% del proprio reddito.
  • Giurisprudenza di merito – Numerosi tribunali (tra cui Bergamo, Como, Milano) hanno applicato le regole sopra citate e spesso disposto la sospensione del pignoramento in presenza di irregolarità o di sopravvenuta procedura di sovraindebitamento.

Percentuali e limiti del pignoramento dello stipendio

La regola generale: un quinto della retribuzione netta

Per i debiti di natura privata (es. prestiti bancari, finanziamenti, crediti commerciali) il pignoramento dello stipendio è regolato dall’art. 545 c.p.c. e non può superare un quinto (20%) della retribuzione netta mensile . La quota trattenuta viene calcolata sul netto in busta paga al momento dell’esecuzione e non tiene conto di eventuali premi o bonus futuri, salvo patto contrario.

Il datore di lavoro che riceve l’ordine di pignoramento deve quindi trattenere la somma indicata nell’ordinanza e versarla periodicamente (di solito mensilmente) sul conto vincolato intestato al creditore o al tribunale. In assenza di ulteriori pignoramenti o cessioni del quinto, il lavoratore conserverà l’80% della retribuzione netta. Se successivamente intervengono altri creditori, il secondo pignoramento può cumularsi fino al limite massimo della metà dello stipendio netto, tenuto conto anche di eventuali cessioni .

Debiti per alimenti e assegni di mantenimento

Quando il credito ha natura alimentare (es. assegni di mantenimento per coniuge o figli), la legge consente un prelievo più elevato. L’art. 545 c.p.c. stabilisce che, per i crediti alimentari, può essere pignorata una quota maggiore: fino ad un terzo e, in casi eccezionali, oltre, purché non venga compromessa la sopravvivenza del debitore. La determinazione della quota avviene caso per caso e tiene conto delle esigenze concrete delle parti e delle capacità economiche di chi versa e di chi riceve l’assegno.

Debiti fiscali: percentuali progressive dell’art. 72‑ter DPR 602/1973

Se il debitore ha debiti fiscali con l’Agenzia delle Entrate‑Riscossione, il pignoramento dello stipendio segue le regole speciali dell’art. 72‑ter DPR 602/1973. La disposizione introduce un sistema progressivo a scaglioni in base all’importo del reddito mensile:

  • Fino a 2.500 €: pignorabile un decimo (10%) ;
  • Tra 2.501 e 5.000 €: pignorabile un settimo (14,28%) ;
  • Oltre 5.000 €: pignorabile un quinto (20%), cioè si applica la disciplina ordinaria .

Per i dipendenti pubblici, la legge di bilancio 2025 ha introdotto un meccanismo di verifica preventiva: a partire dal 2026, prima di pagare stipendi superiori a 2.500 euro lordi, le amministrazioni dovranno controllare se il dipendente ha debiti fiscali superiori a 5.000 euro; in caso affermativo, sarà attivato il pignoramento nella misura prevista (un settimo per gli stipendi abituali, un decimo per le tredicesime) . Tale controllo avrà la funzione di prelevare in automatico parte dello stipendio e versarla all’AdER.

Impignorabilità del minimo vitale e soglie per salari e pensioni

Per evitare che il pignoramento assorba l’intero reddito del lavoratore, il legislatore ha stabilito che una quota minima impignorabile non possa essere toccata. Questa soglia è ancorata all’importo dell’assegno sociale:

  • Stipendi e somme accreditate sul conto: la somma depositata in banca alla data di notifica dell’atto è impignorabile fino a tre volte l’assegno sociale (1.616,97 euro per il 2025) . Ciò significa che se il conto presenta un saldo pari o inferiore a tale limite, la banca non può bloccarlo; per importi superiori, il pignoramento colpisce solo l’eccedenza .
  • Pensioni: sono impignorabili fino a due volte l’assegno sociale, quindi 1.097,38 euro nel 2025 . La pensione mensile che eccede questo importo può essere pignorata nella misura di un quinto o secondo i criteri fiscali per i debiti erariali.

Questi limiti derivano dalla combinazione dell’art. 545 c.p.c. e delle interpretazioni costituzionali e mirano a garantire il minimo vitale. La Corte di cassazione ha più volte ribadito che tali soglie sono inderogabili e devono essere rispettate in ogni tipo di esecuzione .

Il pignoramento della pensione

Le regole illustrate finora si applicano, con alcune peculiarità, anche al pignoramento della pensione. Il legislatore tutela i redditi da pensione in modo più rigoroso rispetto agli stipendi, perché sono destinati al sostentamento di persone spesso anziane e con capacità lavorativa ridotta. La normativa vigente prevede che:

  • La pensione, al pari dello stipendio, è pignorabile nel limite di un quinto del suo ammontare netto quando il credito è di natura ordinaria;
  • Per i debiti fiscali si applicano le stesse percentuali previste dall’art. 72‑ter (un decimo, un settimo o un quinto), ma solo sulla parte di pensione eccedente due volte l’assegno sociale. Pertanto, nel 2025 la quota di pensione impignorabile è pari a 1.097,38 euro : solo l’importo eccedente potrà essere pignorato e applicando le percentuali ridotte;
  • La pensione di invalidità, l’assegno di accompagnamento, l’assegno di maternità e analoghe prestazioni assistenziali sono impignorabili perché riconosciute come strumenti di sostentamento; lo ha ribadito la giurisprudenza costante.

È importante sottolineare che il pignoramento della pensione avviene presso l’ente pensionistico (INPS o altro istituto) che diventa terzo pignorato. L’ente è tenuto a calcolare la quota pignorabile sulla pensione al netto delle ritenute fiscali e previdenziali, a garantire l’impignorabilità di due volte l’assegno sociale e a versare al creditore la parte stabilita. In caso di pensioni multiple (es. pensione di vecchiaia e pensione di reversibilità), il calcolo viene effettuato cumulando le prestazioni. L’ente pensionistico deve rispondere al giudice con dichiarazione scritta e, in caso di errore, può essere chiamato a risarcire le somme illegittimamente trattenute o non trattenute.

Per proteggere la pensione, il pensionato può avvalersi delle stesse difese previste per il pignoramento dello stipendio: opposizione all’esecuzione, opposizione agli atti, rateizzazione, adesione a sanatorie fiscali o avvio di una procedura di sovraindebitamento.

Emolumenti particolari: premi, bonus, tredicesima, TFR e indennità

Il panorama retributivo è vario: oltre allo stipendio base, i lavoratori percepiscono premi di produttività, indennità per straordinario, tredicesima, quattordicesima, bonus aziendali e, alla fine del rapporto, il Trattamento di fine rapporto (TFR). Tutti questi emolumenti sono potenzialmente pignorabili, ma con alcune specificazioni:

  • Premi e bonus variabili: se erogati in busta paga, entrano nel calcolo della retribuzione mensile e, quindi, della quota pignorabile. Se sono corrisposti una tantum, possono essere pignorati alla stessa percentuale dello stipendio. Il datore di lavoro deve specificare nella dichiarazione al giudice l’esistenza di tali emolumenti.
  • Tredicesima e quattordicesima: sono trattate come retribuzione e soggette alle percentuali ordinarie. Per i debiti fiscali dei dipendenti pubblici è previsto, a partire dal 2026, un pignoramento del 10% anche se lo stipendio rientra in una fascia superiore .
  • Indennità di licenziamento e incentivi all’esodo: la Cassazione ha riconosciuto che possono essere pignorati nelle stesse percentuali dello stipendio ordinario, considerandole compensi connessi al rapporto di lavoro. Tuttavia, l’eventuale quota destinata a fondi pensione complementari o a polizze assicurative risulta impignorabile fino all’erogazione.
  • Trattamento di fine rapporto (TFR): viene calcolato sulle ultime retribuzioni e maturato durante gli anni di servizio. Il TFR può essere pignorato solo al momento della sua liquidazione e sempre nel limite di un quinto. Se il lavoratore anticipa il TFR per ottenere un prestito (cedendo il TFR alla banca), questo accordo può impedire al creditore successivo di pignorare la stessa somma: il principio di priorità temporale favorisce il primo atto.

Calcolare correttamente la quota pignorabile in presenza di questi emolumenti richiede attenzione e, spesso, l’assistenza di un professionista; errori nel calcolo possono determinare trattenute illecite che il lavoratore può recuperare.

Rapporti di lavoro atipici, part‑time e redditi variabili

Il mercato del lavoro contemporaneo è caratterizzato da un’ampia gamma di contratti flessibili: part‑time, contratti a progetto, collaborazioni coordinate e continuative (co.co.co.), lavoro intermittente e voucher. Ogni tipologia presenta peculiarità nella determinazione dello stipendio e, quindi, nella quota pignorabile.

Nel lavoro part‑time, la base di calcolo è la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore. La quota pignorabile viene calcolata sul netto mensile; ciò significa che, in caso di part‑time a 20 ore settimanali con retribuzione di 800 euro netti, la quota massima sarà di 160 euro (un quinto). Se il debitore percepisce altri redditi (ad esempio, un secondo lavoro part‑time), occorrerà considerare la somma totale dei redditi: il creditore potrebbe pignorare entrambe le retribuzioni, ma sempre nel rispetto del limite complessivo del quinto.

Per i co.co.co. e i lavoratori autonomi occasionali, l’assenza di una busta paga in senso stretto comporta che il pignoramento avvenga presso il committente. La remunerazione è spesso variabile; il giudice dell’esecuzione potrà fissare una percentuale diversa, valutando la necessità di preservare il minimo vitale. La giurisprudenza ha riconosciuto che, in assenza di retribuzione mensile regolare, l’applicazione rigida del quinto può risultare eccessiva: il giudice può graduare la trattenuta.

Anche il lavoro intermittente pone questioni particolari: la retribuzione è discontinua e legata alle chiamate del datore. In questi casi il pignoramento può essere inefficace perché il lavoratore percepisce redditi sporadici; per questo motivo il creditore può preferire il pignoramento del conto corrente.

L’emergere di contratti a tempo determinato di breve durata rende più complesso il pignoramento: se il rapporto termina prima dell’estinzione del debito, il creditore dovrà notificare il pignoramento al nuovo datore. La prassi consiglia al creditore di valutare la convenienza economica della procedura.

Responsabilità del datore di lavoro e sanzioni

Il datore di lavoro, in qualità di terzo pignorato, svolge un ruolo centrale nella corretta esecuzione del pignoramento. Le sue principali responsabilità sono:

  1. Rendere la dichiarazione prescritta dall’art. 547 c.p.c., indicando l’ammontare delle somme dovute al debitore e l’eventuale presenza di altri pignoramenti o cessioni. Se il datore non rende la dichiarazione o la rende infedele, può essere condannato a pagare al creditore il dovuto in via diretta.
  2. Trattenere e versare la quota stabilita dal giudice o indicata dall’AdER. Le trattenute devono essere effettuate mensilmente; eventuali ritardi o omissioni comportano l’obbligo per il datore di corrispondere le somme non trattenute, oltre agli interessi.
  3. Applicare correttamente i limiti di pignorabilità: il datore deve assicurarsi che la quota trattenuta non superi un quinto dello stipendio o la percentuale prevista per i debiti fiscali e che sia salvaguardata la soglia impignorabile. Trattenute eccessive possono esporre il datore a richieste di risarcimento.
  4. Comunicare eventuali variazioni: se il rapporto di lavoro cessa o cambia, il datore deve comunicarlo al creditore e al tribunale. In caso contrario potrebbe essere ritenuto responsabile per le somme non più recuperabili.

Il mancato rispetto di questi obblighi comporta sanzioni civili e fiscali. Ad esempio, l’art. 547 c.p.c. prevede che il giudice possa condannare il terzo inadempiente a pagare quanto dovuto al posto del debitore. Nel pignoramento fiscale, l’AdER può emettere un avviso di responsabilità solidale. Per questo motivo i datori di lavoro solitamente si avvalgono della consulenza di professionisti o dell’ufficio paghe per gestire correttamente la procedura.

Differenze tra pignoramento dello stipendio e pignoramento del conto corrente

Sebbene i due istituti siano simili (entrambi sono pignoramenti presso terzi), presentano differenze significative:

  • Oggetto del pignoramento: lo stipendio è un credito periodico, mentre il saldo del conto corrente è un credito certo ed esistente al momento dell’atto. Il pignoramento del conto blocca la somma presente al giorno della notifica e, nel caso di pignoramento fiscale, anche gli accrediti che arrivano nei 60 giorni successivi . Lo stipendio, invece, è trattenuto mensilmente alla fonte.
  • Soggetti coinvolti: nel pignoramento dello stipendio il terzo è il datore di lavoro; nel pignoramento del conto è la banca. Le banche devono rispettare le soglie del triplo assegno sociale e verificare se la somma è riferibile all’ultima retribuzione .
  • Procedura: il pignoramento dello stipendio prevede l’ordinanza del giudice (salvo l’esattoriale), mentre il pignoramento del conto corrente può essere eseguito dall’AdER senza passare dal tribunale.
  • Tempistiche: il pignoramento del conto produce effetti immediati; quello dello stipendio entra a regime dopo la prima trattenuta e si protrae nel tempo.

Conoscere queste differenze permette di capire perché, spesso, i creditori preferiscono pignorare il conto (soprattutto se c’è un saldo elevato) e, se non sufficiente, procedere sullo stipendio.

Altre pronunce giurisprudenziali rilevanti

Oltre alle sentenze già citate, merita menzione una serie di pronunce che hanno contribuito a chiarire ulteriori aspetti del pignoramento dello stipendio:

  • Cass. Civ., n. 29400/2019 – Ha stabilito che la dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c. non ha valore di confessione ma di prova testimoniale: in caso di contestazione, il giudice può acquisire ulteriori elementi e non è vincolato a quanto dichiarato dal datore.
  • Cass. Civ., n. 8580/2019 – Ha affermato che i crediti alimentari non possono essere pignorati nella stessa procedura dei crediti ordinari: occorre un pignoramento separato e la quota trattenuta è determinata caso per caso.
  • Cass. Civ., n. 17400/2021 – Ha precisato che il limite del quinto si applica anche in caso di pignoramenti multipli originati da uno stesso creditore: non è possibile superare la soglia sommando più crediti appartenenti allo stesso creditore.
  • Cass. Civ., n. 9041/2023 – Ha riconosciuto l’impignorabilità dell’indennità di maternità, considerandola prestazione assistenziale diretta alla protezione della madre e del nascituro.
  • Trib. Milano, ord. 12 aprile 2024 – Ha sospeso un pignoramento dello stipendio in favore di un debitore che aveva avviato un piano del consumatore, ribadendo che la presentazione della proposta determina la sospensione automatica delle esecuzioni.
  • Trib. Roma, sent. n. 8035/2025 – Ha dichiarato nullo un pignoramento perché il datore di lavoro non aveva rispettato il limite del quinto sul TFR, ordinando la restituzione delle somme illegittimamente trattenute e riconoscendo al lavoratore il danno da ritardato pagamento.

Queste decisioni testimoniano l’attenzione dei giudici per la tutela del lavoratore e invitano i creditori e i terzi a rispettare rigorosamente le percentuali e le procedure previste dalla legge.

Il trattamento dell’ultima mensilità accreditata

L’art. 72‑ter DPR 602/1973 contiene una tutela specifica per il salario appena accreditato: l’ultima mensilità depositata sul conto corrente è esclusa dal pignoramento, indipendentemente dall’importo . Questa norma nasce per garantire che il debitore possa disporre almeno di una mensilità integra al momento dell’esecuzione. Tuttavia, come chiarito dalla Cassazione n. 18054/2024, la protezione vale una sola volta: le mensilità successive versate dopo la notifica del pignoramento saranno soggette alle quote pignorabili stabilite dalle norme .

Cumulo di pignoramenti e cessione del quinto

È possibile che sullo stesso stipendio gravino più prelievi: ad esempio, un pignoramento per debiti bancari, una cessione del quinto e un pignoramento fiscale. In questi casi si applicano regole di cumulo:

  • Se sono presenti più pignoramenti di creditori ordinari, essi si sommano fino al limite massimo di un quinto cumulativo; se viene notificato un pignoramento fiscale, esso si aggiunge secondo le percentuali previste dal DPR 602/1973, tenendo conto dell’ordine di arrivo.
  • La cessione del quinto è un contratto tra il lavoratore e la finanziaria che consente di prelevare stabilmente fino al 20% dello stipendio. La Cassazione ha precisato che, in caso di cessione e pignoramento, la somma complessiva trattenuta non può superare la metà della retribuzione; eventuali costi amministrativi trattenuti dal datore di lavoro sono legittimi solo se proporzionati e provati .

Aggiornamenti 2025 e riforme della riscossione

Il 2025 è un anno di transizione verso il nuovo Codice della riscossione. Il D.Lgs. 110/2024 ha introdotto importanti novità:

  1. Estensione dei termini di pagamento e contestazione – Dal 1° gennaio 2025 i contribuenti hanno 60 giorni (anziché 30) per pagare o presentare opposizione a una cartella esattoriale . Questo tempo maggiore consente di analizzare l’atto, valutare la legittimità delle somme e, se del caso, ricorrere.
  2. Riduzione dei tempi per l’esecuzione – Le procedure di pignoramento vengono accelerate; l’AdER potrà intervenire più velocemente su stipendi e conti correnti, ma dovrà rispettare i nuovi limiti di protezione. La durata della sospensione cautelare concessa in fase di opposizione è ridotta, richiedendo difese tempestive.
  3. Discarico automatico – Dal 2030 i debiti esattoriali saranno automaticamente cancellati dopo cinque anni se l’AdER non avrà concluso l’esecuzione . Questa misura riduce il numero di cartelle “antiche” e incentiva l’esattore a procedere velocemente; per i debitori rappresenta una prospettiva di liberazione, ma solo se non vi sono altri atti interruttivi.
  4. Controlli sui dipendenti pubblici – La legge di bilancio 2025 impone alle pubbliche amministrazioni di verificare la posizione fiscale dei dipendenti con stipendi superiori a 2.500 euro lordi. Se il lavoratore ha debiti fiscali sopra 5.000 euro, lo stipendio verrà bloccato e pignorato secondo la scala un settimo/un decimo . Questa misura entrerà in vigore nel 2026, lasciando il tempo necessario per l’adeguamento dei sistemi informatici.
  5. Rateizzazione semplificata e soglia minima di 50 euro – Il nuovo sistema esattoriale consente di accedere a piani di rateizzazione anche con importi minimi di 50 euro per rata . Pagando la prima rata si sospendono le azioni esecutive, compreso il pignoramento dello stipendio; il mancato pagamento di cinque rate, anche non consecutive, determina la revoca della rateizzazione.

Queste riforme, unitamente alle varie sanatorie (rottamazioni, stralci, definizione agevolata), consentono al debitore di intervenire prima che il pignoramento abbia effetto e di ottenere la sospensione della procedura.

Evoluzione normativa e ratio della disciplina del pignoramento

Per comprendere le attuali percentuali e i limiti del pignoramento dello stipendio è utile ripercorrere l’evoluzione normativa. In origine, il codice di procedura civile del 1940 prevedeva la possibilità per i creditori di pignorare l’intero stipendio del debitore. Nel secondo dopoguerra, con l’affermarsi dei principi costituzionali di solidarietà e tutela della dignità (artt. 2, 3 e 36 Cost.), il legislatore ha progressivamente limitato il pignoramento per evitare che l’esecuzione forzata compromettesse il sostentamento della famiglia. Negli anni ’70 il limite è stato fissato al quinto della retribuzione per i crediti ordinari; negli anni successivi la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di norme che consentivano di pignorare integralmente alcuni emolumenti, affermando che ogni debitore deve conservare un reddito sufficiente per vivere.

Con l’aumento dei debiti fiscali e contributivi è stata introdotta una disciplina speciale per l’AdER con l’art. 72‑ter DPR 602/1973, che ha introdotto percentuali progressive in base al reddito per tutelare i lavoratori con stipendi medio‑bassi . Negli ultimi anni il legislatore ha cercato di conciliare l’efficacia della riscossione con la tutela dei debitori introducendo sanzioni più severe per l’evasione ma anche procedure di rottamazione e possibilità di rateizzazione. Il D.Lgs. 110/2024 rappresenta l’ultimo tassello di questa evoluzione: oltre ad allungare i termini per contestare le cartelle , ha semplificato le procedure e ha previsto lo stralcio automatico dei debiti non recuperati dopo cinque anni , riconoscendo implicitamente che l’accanimento esecutivo oltre un certo limite è inefficiente e contrario al principio di equità.

Sul piano giurisprudenziale, la Corte di cassazione ha progressivamente ampliato la tutela del debitore: ha esteso i limiti del pignoramento anche alle misure penali (sequestri e confische) , ha sancito l’obbligo di applicare il limite del triplo assegno sociale ai depositi bancari e ha affermato il carattere dinamico del pignoramento esattoriale . La ratio comune è che il pignoramento deve essere proporzionato e non può annichilire la capacità del debitore di provvedere a se stesso e alla sua famiglia.

Aspetti fiscali e contributivi: come si calcola il netto pignorabile

Un tema spesso trascurato riguarda il calcolo dello stipendio netto su cui applicare il pignoramento. La retribuzione lorda comprende stipendio base, indennità, contributi previdenziali, trattenute fiscali (IRPEF e addizionali regionali/comunali) e altre trattenute (quote sindacali, cessioni del quinto). Per determinare la base pignorabile, occorre seguire alcuni passaggi:

  1. Determinare il reddito lordo mensile, sommando tutte le voci fisse e variabili maturate nel mese (paga base, scatti di anzianità, indennità di posizione, straordinari, bonus).
  2. Sottrarre i contributi previdenziali a carico del lavoratore. Questi contributi (INPS o altri enti) sono obbligatori per legge e non rappresentano un reddito disponibile.
  3. Sottrarre le imposte (IRPEF e addizionali). La base pignorabile è il netto in busta paga, cioè l’importo che il lavoratore riceve effettivamente dopo le detrazioni.
  4. Considerare eventuali altre trattenute (es. cessione del quinto, quote sindacali, rate di prestiti aziendali). Queste voci vengono dedotte dallo stipendio prima del pignoramento. La legge, infatti, impone che la somma pignorata sia calcolata sul reddito al netto delle trattenute obbligatorie e contrattuali. Se una cessione del quinto è già in essere, il pignoramento si calcola sulla retribuzione residua, tenendo conto del limite massimo di metà dello stipendio .

È essenziale distinguere tra imponibile fiscale e base pignorabile. L’imponibile fiscale è il reddito lordo sul quale si calcola l’IRPEF; la base pignorabile è il reddito effettivamente disponibile dopo le deduzioni. Ad esempio, un lavoratore con un lordo mensile di 2.000 euro potrebbe ricevere un netto di 1.500 euro; il quinto pignorabile sarà calcolato su 1.500 euro e non su 2.000 euro. Se vi è una cessione del quinto di 300 euro, lo stipendio netto residuo è 1.200 euro; il pignoramento non può superare 300 euro (1/5 di 1.500), ma la somma totale trattenuta (300 + 300) non potrà superare 600 euro, pari al 40% dello stipendio netto.

Nella prassi, il datore di lavoro (o il consulente del lavoro) calcola mensilmente il netto pignorabile e applica la percentuale stabilita nell’ordinanza. Variazioni nel reddito (per straordinari, premi, assenze) comportano variazioni nella quota pignorata. Il lavoratore deve controllare la busta paga e richiedere chiarimenti se la trattenuta non corrisponde alla percentuale prevista.

Per i pensionati, l’ente erogatore (INPS o altro) applica un calcolo analogo: la pensione lorda viene ridotta dei contributi e delle imposte; la quota pignorabile si calcola sul netto residuo che eccede la soglia impignorabile di due volte l’assegno sociale . Nel caso di più pensioni, il calcolo viene effettuato cumulando gli importi netti.

L’applicazione di questi criteri richiede competenze tecniche e conoscenza delle norme fiscali e previdenziali. Un’errata determinazione del netto pignorabile può comportare sia danni per il debitore (se la trattenuta è eccessiva) sia per il datore di lavoro (se la trattenuta è insufficiente). Rivolgersi a un consulente del lavoro o a un avvocato è quindi consigliabile per evitare contestazioni.

Procedura passo‑passo del pignoramento dello stipendio

La procedura di pignoramento presso terzi si articola in diverse fasi: notifica dell’atto, dichiarazione del terzo, udienza di assegnazione e versamento delle somme. Comprendere i passaggi è essenziale per individuare tempestivamente eventuali irregolarità e per predisporre una strategia difensiva.

1. Notifica dell’atto di pignoramento

Il procedimento si avvia con la notifica dell’atto di pignoramento presso terzi al debitore, al terzo (datore di lavoro) e al tribunale. L’atto deve contenere:

  1. L’indicazione del titolo esecutivo (es. sentenza, decreto ingiuntivo, cartella esattoriale) e del credito vantato;
  2. L’avvertimento che, dal momento della notifica, il debitore non può più disporre delle somme dovute dal terzo e che il terzo è obbligato a versare al creditore quanto dovuto nei limiti di legge;
  3. La citazione a comparire davanti al giudice dell’esecuzione (G.E.) in una determinata udienza, con l’invito al terzo a rendere la dichiarazione.

Per i pignoramenti fiscali, l’atto è emesso dall’Agenzia delle Entrate‑Riscossione e può essere notificato a mezzo pec o raccomandata. In caso di pignoramento esattoriale, l’AdER ha 60 giorni per agire dopo la notifica della cartella e, se il debito non viene saldato o rateizzato, può procedere senza necessità di passare dal tribunale: il terzo deve versare direttamente le somme entro 60 giorni .

2. Obblighi del datore di lavoro e dichiarazione del terzo

Il datore di lavoro assume il ruolo di terzo pignorato e, ai sensi dell’art. 547 c.p.c., deve rendere una dichiarazione scritta o orale al G.E., indicando:

  • L’esistenza e l’ammontare del credito del lavoratore (stipendio, tredicesima, TFR);
  • Eventuali altri pignoramenti o cessioni del quinto in corso;
  • L’importo già eventualmente trattenuto.

La dichiarazione deve essere resa entro 10 giorni dalla notifica dell’atto, salvo il termine diverso fissato dal giudice. La mancata dichiarazione può comportare la condanna del datore di lavoro al pagamento del debito in via solidale.

Dopo aver ricevuto l’ordine del giudice, il datore di lavoro procede a trattenere la quota pignorata sulla busta paga del dipendente e la versa periodicamente sul conto indicato dal creditore o al tesoriere del tribunale. È importante che le ritenute vengano effettuate correttamente: somme eccedenti possono essere recuperate dal lavoratore mediante opposizione.

3. Udienza di assegnazione e ordinanza del giudice

Nel procedimento civile, l’udienza di comparizione davanti al giudice dell’esecuzione è il momento in cui si forma la prova dell’esistenza del credito del lavoratore e si definiscono le modalità di pagamento. Il giudice:

  1. Accerta la correttezza della notifica dell’atto e l’esistenza del titolo esecutivo;
  2. Ascolta la dichiarazione del terzo;
  3. Determina la quota da trattenere, applicando le percentuali di legge e tenendo conto di eventuali altri pignoramenti o cessioni;
  4. Emette l’ordinanza di assegnazione, con cui dispone il pagamento periodico al creditore fino a concorrenza del credito.

Nel pignoramento esattoriale, invece, la procedura è più snella: l’AdER invia l’atto al datore di lavoro; se quest’ultimo non paga nei 60 giorni, può essere sanzionato e può essere chiamato a rispondere personalmente per le somme non trattenute. La Cassazione n. 28520/2025 ha riconosciuto che tale pignoramento ha natura dinamica: si estende a tutte le somme che affluiscono sul conto del lavoratore nei 60 giorni successivi alla notifica . Pertanto, la posizione del terzo è particolarmente delicata.

4. Pagamento e chiusura della procedura

Il pignoramento dello stipendio continua fino al soddisfacimento del credito oppure fino a quando intervengono cause di estinzione: pagamento integrale, accordo di saldo e stralcio, annullamento del titolo, prescrizione o decadenza. Al termine, il giudice pronuncia ordinanza di estinzione e ordina la restituzione delle somme eventualmente eccedenti.

Per i debiti fiscali, la procedura può cessare se il debitore chiede ed ottiene la rateizzazione e paga regolarmente le rate; il versamento della prima rata sospende l’esecuzione . Nel caso di procedure di sovraindebitamento, l’omologazione del piano del consumatore o dell’accordo di ristrutturazione comporta la sospensione e, in alcuni casi, la revoca del pignoramento .

Difese e strategie legali

Affrontare un pignoramento dello stipendio richiede non solo una conoscenza delle norme ma soprattutto un’attenta analisi delle circostanze concrete. Le strategie difensive possono essere giudiziali o stragiudiziali e vanno calibrate in base alla tipologia di debito, al titolo esecutivo, alle possibilità economiche del debitore e all’eventuale concorrenza di altri creditori.

1. Opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi

L’opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) può essere proposta quando il debitore contesta il diritto del creditore di procedere all’esecuzione: ad esempio, se ritiene che il titolo esecutivo sia invalido o estinto (pagamento già effettuato, prescrizione, inesistenza del titolo). L’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), invece, contesta irregolarità formali della procedura (mancata notifica, errori di calcolo, violazione dei limiti di pignorabilità). In entrambi i casi occorre proporre il ricorso entro termini rigorosi (normalmente 20 giorni dalla conoscenza dell’atto), depositando ricorso al giudice dell’esecuzione e chiedendo la sospensione.

È fondamentale verificare:

  • La validità della notifica della cartella o del titolo esecutivo: irregolarità nella notifica possono comportare la nullità dell’atto;
  • La prescrizione del credito: molti crediti fiscali e contributivi si prescrivono in 5 o 10 anni; il termine decorre dalla notifica dell’atto o dalla data dell’ultima interruzione;
  • La legittimità della misura: se l’importo pignorato supera il quinto o i limiti dell’art. 72‑ter, l’esecuzione può essere ridotta o annullata .

Un’opposizione ben argomentata può portare all’annullamento della procedura o alla riduzione della quota trattenuta. Il giudice può concedere una sospensione cautelare dell’esecuzione se ritiene sussistenti i motivi di opposizione; in tal modo il pignoramento viene bloccato in attesa della decisione.

2. Rateizzazione e accordo con il creditore

Una strategia efficace per evitare il pignoramento o per sospenderlo è la rateizzazione del debito. L’AdER consente piani fino a 10 anni e, dopo il D.Lgs. 110/2024, è sufficiente il pagamento della prima rata per bloccare l’esecuzione . Per i debiti bancari o commerciali, è possibile negoziare con il creditore una transazione stragiudiziale o un saldo e stralcio: il creditore potrebbe accettare un importo inferiore o un pagamento a rate pur di evitare i tempi lunghi della procedura. L’intervento di un professionista consente di valutare la fattibilità e di redigere un accordo che protegga il debitore (ad es. sospensione del pignoramento a fronte di pagamenti regolari).

3. Rottamazione, definizione agevolata e stralcio

Negli ultimi anni il legislatore ha introdotto numerose rottamazioni e definizioni agevolate che permettono di estinguere i debiti fiscali pagando solo l’imposta e gli interessi legali, con l’azzeramento di sanzioni e interessi di mora. La rottamazione quater e la definizione agevolata delle liti pendenti (art. 1, commi 231 ss. L. 197/2022 e successive proroghe) consentono di definire in modo agevolato le cartelle e sospendono le procedure esecutive pendenti; l’adesione deve avvenire entro termini fissati dal governo. Chi aderisce e paga la prima rata ottiene la sospensione del pignoramento.

Un’altra misura è lo stralcio automatico dei debiti di importo ridotto (fino a 1.000 euro per le cartelle affidate alla riscossione dal 2000 al 2015), previsto dalla L. 197/2022 e attuato con successivi provvedimenti. Anche lo stralcio automatico dopo cinque anni introdotto dal D.Lgs. 110/2024 consente, dal 2030, di cancellare i carichi non riscossi . Approfittare di questi strumenti può evitare il pignoramento.

4. Procedure di sovraindebitamento e composizione della crisi

La Legge 3/2012 offre tre strumenti per le persone fisiche sovraindebitate che non possono accedere alla procedura fallimentare:

  1. Piano del consumatore: destinato ai debitori non imprenditori (lavoratori dipendenti, pensionati). Prevede la ristrutturazione dei debiti con un piano di pagamento sostenibile, che viene omologato dal tribunale. Durante la procedura le azioni esecutive sono sospese e, una volta eseguito il piano, i crediti residui vengono cancellati .
  2. Accordo di ristrutturazione dei debiti: rivolto a imprenditori minori, professionisti e società semplici. Prevede l’accordo con i creditori e l’omologazione del tribunale. Anche in questo caso si ottiene la sospensione delle azioni esecutive.
  3. Liquidazione del patrimonio: consiste nella vendita dei beni del debitore con la nomina di un liquidatore; al termine, il debitore può ottenere l’esdebitazione, cioè la cancellazione di tutti i debiti residui. Anche qui le azioni esecutive vengono sospese.

Per accedere a queste procedure occorrono determinati requisiti (stato di sovraindebitamento, meritevolezza, buona fede) e l’assistenza di un Gestore della crisi come l’Avv. Monardo, che redige la proposta e la sottopone al tribunale. L’avvio della procedura sospende automaticamente il pignoramento dello stipendio .

5. Revisione della busta paga e verifica degli importi

È essenziale controllare attentamente la busta paga dopo l’avvio del pignoramento. Errori nel calcolo della quota pignorata sono frequenti: il datore potrebbe trattenere più del dovuto o non considerare correttamente la deduzione della cessione del quinto. Confronta sempre la quota trattenuta con la percentuale che ti spetta e, in caso di discrepanze, richiedi chiarimenti al datore di lavoro e valuta un’azione di recupero. Nel dubbio, rivolgiti a un professionista.

6. Cambio di lavoro o di banca

Se il lavoratore cambia lavoro, il pignoramento non cessa automaticamente: il creditore deve notificare il pignoramento al nuovo datore di lavoro. Per questo potrebbe verificarsi un periodo di mancata trattenuta; tuttavia, se il debitore non comunica il cambio di datore di lavoro, rischia di essere considerato responsabile. Analogamente, se gli accrediti dello stipendio passano su un nuovo conto corrente, la banca precedentemente pignorata dovrà sbloccare le somme dopo aver ricevuto l’ordinanza di estinzione o la revoca.

7. Combinazione con altre misure: ipoteca e fermo amministrativo

Il pignoramento dello stipendio può essere accompagnato da altre misure, come l’ipoteca sull’immobile o il fermo amministrativo del veicolo. Questi strumenti non si escludono a vicenda e possono coesistere. Tuttavia, la scelta degli atti da intraprendere è discrezionale del creditore e deve rispettare il principio di proporzionalità. La presenza di un pignoramento già in corso può ridurre l’urgenza di attivare ulteriori misure; una trattativa ben condotta può portare alla rinuncia all’ipoteca in cambio del pagamento rateale.

Strumenti alternativi e soluzioni operative

Rottamazione e definizione agevolata delle cartelle

La rottamazione consente di estinguere cartelle esattoriali pagando solo il capitale e gli interessi legali, con l’azzeramento di sanzioni e interessi moratori. Negli ultimi anni si sono succedute varie edizioni (rottamazione ter, quater, ecc.), ognuna con termini e requisiti diversi. La più recente, la rottamazione quater introdotta dalla L. 197/2022 e prorogata nei successivi decreti, permette di ripartire il debito fino a 18 rate in cinque anni. Chi presenta la domanda entro il termine stabilito e versa la prima rata ottiene la sospensione delle procedure esecutive, compreso il pignoramento dello stipendio.

La definizione agevolata delle liti pendenti permette di chiudere i contenziosi tributari pagando il solo tributo senza sanzioni; la domanda va presentata entro il termine fissato annualmente dal legislatore. L’adesione sospende automaticamente le azioni esecutive relative alle cartelle oggetto di controversia.

Rateizzazione e sospensione della riscossione

Per i debiti iscritti a ruolo, l’AdER consente piani di rateizzazione ordinaria (fino a 72 rate) o straordinaria (fino a 120 rate) a fronte di comprovate difficoltà economiche. Il D.Lgs. 110/2024 ha introdotto la possibilità di richiedere la rateizzazione per importi minimi, con rate anche da 50 euro . Il versamento della prima rata sospende la procedura di pignoramento e impedisce l’iscrizione di nuove misure cautelari. È possibile richiedere un nuovo piano anche in presenza di un precedente decaduto, purché si saldi la quota arretrata.

Saldo e stralcio

Lo saldo e stralcio è un accordo con il quale il creditore accetta di incassare solo una parte del proprio credito, rinunciando alla restante quota. Questo strumento è particolarmente utilizzato con banche e finanziarie, che preferiscono recuperare immediatamente una somma piuttosto che attendere anni di rate. Per le cartelle esattoriali esistono misure simili (c.d. saldo e stralcio dei ruoli), riservate a contribuenti con ISEE basso e debiti di importo limitato; il debitore versa una percentuale compresa tra il 16% e il 35% a seconda del reddito e ottiene la cancellazione della differenza.

Piani del consumatore e accordi di ristrutturazione

Come già illustrato, le procedure di sovraindebitamento permettono di risanare la posizione debitoria mediante un piano omologato dal tribunale. Il debitore propone un piano di rimborso sostenibile in base al proprio reddito e patrimonio; se i creditori e il tribunale approvano, le azioni esecutive vengono sospese e, alla fine del piano, i debiti residui sono cancellati. Questa procedura consente al lavoratore di salvaguardare lo stipendio limitando la trattenuta a quanto concordato nel piano.

Esdebitazione e tutela del debitore incapiente

Al termine della procedura di liquidazione del patrimonio, il debitore può chiedere l’esdebitazione, cioè la cancellazione di tutti i debiti residui non pagati; per ottenerla occorre dimostrare la buona fede e l’adempimento degli obblighi previsti nel procedimento. Vi è inoltre la possibilità di accedere alla c.d. esdebitazione del debitore incapiente (art. 282‑bis CCI), destinata a chi non possiede beni da liquidare e dispone di un reddito modestissimo: il debitore, dopo aver depositato un’istanza e aver fornito la prova della sua incapienza, ottiene l’esdebitazione immediata con la sola condizione di non contrarre altri debiti per i quattro anni successivi.

Accordo di composizione negoziata della crisi d’impresa

Per imprenditori e società che si trovano in situazione di tensione finanziaria, il D.L. 118/2021 e il Codice della crisi prevedono la procedura di composizione negoziata. È un percorso assistito da un esperto indipendente (come l’Avv. Monardo, in quanto esperto negoziatore della crisi d’impresa) in cui il debitore e i creditori si incontrano per trovare un accordo di ristrutturazione del debito. Durante la negoziazione, le azioni esecutive, inclusi i pignoramenti, sono sospese; se l’accordo viene concluso, i pignoramenti pendenti vengono revocati.

Errori comuni e consigli pratici

  1. Ignorare l’atto di pignoramento – Spesso i debitori trascurano le notifiche per timore o scarsa comprensione. È un errore fatale: il tempo per opporsi è limitato e il mancato intervento comporta la perdita delle difese. Appena ricevi una cartella o un atto di pignoramento, verifica la correttezza dei dati e contatta un professionista.
  2. Non controllare la busta paga – Molti lavoratori scoprono solo dopo mesi che il datore ha trattenuto somme maggiori del dovuto. Controlla sempre che la quota trattenuta corrisponda al quinto o alla percentuale prevista e che siano rispettati i limiti del minimo vitale.
  3. Pensare che il pignoramento sia inevitabile – Esistono numerosi strumenti per evitare o ridurre il pignoramento: rateizzazione, rottamazione, piani del consumatore, saldo e stralcio. Non rassegnarti: informati sulle opportunità e valuta la procedura più adatta.
  4. Attendere l’ultimo momento per agire – Il D.Lgs. 110/2024 ha abbreviato i tempi della riscossione e ridotto la possibilità di intervento. Agisci subito: ogni giorno può fare la differenza tra il successo della difesa e l’esecuzione definitiva.
  5. Trascurare il confronto con il professionista – L’esperienza di un avvocato esperto consente di individuare vizi formali, prescrizioni, errori di calcolo e opportunità di sanatoria. Investire in una consulenza può far risparmiare migliaia di euro.

Tabelle riepilogative

Di seguito alcune tabelle sintetiche che riepilogano i principali limiti e percentuali del pignoramento dello stipendio. Le tabelle contengono solo parole chiave e numeri per garantire chiarezza e leggibilità.

Tabella 1 – Percentuali pignorabili in base al tipo di credito

Tipo di creditoPercentuale massimaNorma di riferimento
Credito ordinario (es. prestiti)1/5 (20%)Art. 545 c.p.c.
Credito alimentareFino a 1/3 o oltre caso per casoArt. 545 c.p.c.
Debito fiscale (stipendio ≤ 2.500 €)1/10 (10%)Art. 72‑ter DPR 602/1973
Debito fiscale (2.501‑5.000 €)1/7 (14,28%)Art. 72‑ter DPR 602/1973
Debito fiscale (> 5.000 €)1/5 (20%)Art. 72‑ter DPR 602/1973
Cessione del quinto1/5 (20%)T.U. previdenza privata

Tabella 2 – Soglie impignorabili per stipendi e pensioni (2025)

Reddito/creditoSoglia impignorabileNormativa
Somme sul conto corrente3 × assegno sociale (1.616,97 €)Art. 545 c.p.c., Cass. n. 18054/2024
Pensione mensile2 × assegno sociale (1.097,38 €)Art. 545 c.p.c., Cass. SU n. 26252/2022
Ultima mensilità accreditataImpignorabile interamenteArt. 72‑ter DPR 602/1973

Tabella 3 – Tempistiche e termini della procedura

Fase/adempimentoTermineRiferimento
Pagamento o contestazione cartella (dal 2025)60 giorniD.Lgs. 110/2024
Dichiarazione del terzo pignorato10 giorniArt. 547 c.p.c.
Blocco delle somme da parte della banca (pignoramento esattoriale)60 giorni dalla notificaCass. n. 28520/2025
Decadenza rateizzazione (AdER)Mancato pagamento di 5 rateDPR 602/1973
Discarico automatico dei debiti5 anni dal 2030D.Lgs. 110/2024

Domande frequenti (FAQ)

1. Cos’è il pignoramento dello stipendio?

Il pignoramento dello stipendio è una procedura esecutiva attraverso la quale il creditore recupera il proprio credito prelevando una quota della retribuzione mensile del debitore. L’atto è notificato al datore di lavoro, che diventa terzo pignorato e trattiene ogni mese la somma indicata nell’ordinanza per versarla al creditore. La procedura garantisce al debitore la conservazione di una parte del reddito (almeno l’80% o il minimo vitale).

2. Qual è la quota massima pignorabile del mio stipendio?

Se il debito è di natura privata, la legge prevede che la quota pignorabile non superi un quinto (20%) dello stipendio netto . Se si tratta di un debito alimentare, la quota può essere maggiore (fino a un terzo). Per i debiti fiscali valgono le percentuali progressive dell’art. 72‑ter DPR 602/1973 (un decimo, un settimo o un quinto a seconda del reddito) .

3. Posso subire contemporaneamente un pignoramento e una cessione del quinto?

Sì. La cessione del quinto è un contratto volontario con la banca o finanziaria che consente di trattenere fino al 20% dello stipendio. Se sopravviene un pignoramento, la quota trattenuta complessivamente non può superare la metà della retribuzione netta . Ad esempio, con una cessione del quinto in corso (20%) il pignoramento potrà essere al massimo del 30% per raggiungere il 50%. In ogni caso resta intatta la soglia del minimo vitale.

4. Se ho un debito con l’Agenzia delle Entrate, quanto mi verrà pignorato?

Per i debiti fiscali la quota pignorabile dipende dallo stipendio mensile: 10% fino a 2.500 euro, 14,28% tra 2.501 e 5.000 euro, 20% oltre 5.000 euro . Dal 2026 i dipendenti pubblici con stipendi sopra 2.500 euro e debiti superiori a 5.000 euro saranno soggetti in automatico a questo regime .

5. Il primo stipendio accreditato è pignorabile?

No. L’art. 72‑ter DPR 602/1973 stabilisce che l’ultima retribuzione accreditata prima della notifica non possa essere pignorata . Dopo la notifica, le mensilità successive saranno soggette alle percentuali di legge, ma il saldo presente sul conto al momento del pignoramento è protetto fino al triplo dell’assegno sociale .

6. Come posso oppormi a un pignoramento dello stipendio?

Puoi proporre un’opposizione all’esecuzione se il titolo è inesistente, nullo o prescritto, oppure un’opposizione agli atti esecutivi se ci sono vizi formali. Il ricorso va presentato al giudice dell’esecuzione entro 20 giorni dalla notifica dell’atto, allegando prove e motivazioni. È consigliabile rivolgersi a un avvocato per valutare la strategia migliore.

7. Che succede se cambio lavoro durante il pignoramento?

Il pignoramento non cessa: il creditore dovrà notificare l’atto al nuovo datore di lavoro. Nel periodo tra la cessazione e il nuovo rapporto potrebbero non essere effettuate trattenute, ma il debitore non deve sottrarsi: omettere di comunicare il nuovo datore può comportare responsabilità. Appena inizi il nuovo lavoro, informa l’ufficio legale del datore e segnala l’esistenza del pignoramento.

8. È possibile rateizzare un debito già sottoposto a pignoramento?

Sì. L’AdER consente di rateizzare anche dopo l’avvio del pignoramento. Il pagamento della prima rata sospende la procedura . Per i debiti privati, è possibile concordare un accordo transattivo con il creditore. In entrambi i casi occorre presentare la documentazione che dimostri la tua difficoltà economica.

9. Cosa succede se non pago le rate del piano concordato?

Nel caso di rateizzazione con l’AdER, il mancato pagamento di cinque rate, anche non consecutive, comporta la decadenza del piano e la riattivazione del pignoramento . Se il piano è stato concordato privatamente con un creditore, l’inadempimento può determinare la risoluzione dell’accordo e la ripresa dell’esecuzione.

10. Posso proteggere il mio stipendio aprendo un nuovo conto corrente?

No, non è sufficiente. Il pignoramento dello stipendio avviene presso il datore di lavoro: il terzo trattiene la quota e la versa al creditore. Aprire un nuovo conto non sottrae lo stipendio alla trattenuta. Inoltre, se il pignoramento si riferisce al conto corrente e non allo stipendio, la banca può bloccare le somme fino alla concorrenza del credito, salvo la soglia impignorabile .

11. È possibile impugnare la cessione del quinto?

La cessione del quinto è un contratto volontario, ma può essere impugnata se sussistono vizi (es. interesse usurario, clausole abusive). La Cassazione n. 22361/2024 ha stabilito che il datore di lavoro può trattenere costi amministrativi solo se proporzionati e provati . Un’analisi dell’accordo potrebbe portare all’annullamento o alla revisione delle condizioni.

12. Esistono termini di prescrizione per i pignoramenti?

Sì. La prescrizione dipende dalla natura del credito: per i debiti fiscali è di 10 anni; per i crediti contributivi dell’INPS 5 anni; per i crediti commerciali generalmente 10 anni; per i crediti alimentari e per sanzioni amministrative la prescrizione può essere di 5 anni. La prescrizione decorre dalla notifica del titolo; eventuali atti interruttivi fanno ripartire il termine. Se il creditore agisce dopo la prescrizione, l’esecuzione può essere annullata.

13. Il TFR può essere pignorato?

Il Trattamento di fine rapporto può essere pignorato al momento dell’erogazione, ma la percentuale varia: per i crediti ordinari si applica il limite di un quinto; per i debiti alimentari il giudice può aumentare la quota; per i debiti fiscali valgono le stesse soglie dello stipendio (un decimo, un settimo, un quinto). Tuttavia, se il TFR è destinato a un fondo pensione chiuso o aperto, esso è impignorabile fino al momento dell’erogazione.

14. I premi aziendali e la tredicesima sono pignorabili?

Sì. Premi, tredicesime e quattordicesime fanno parte della retribuzione e sono pignorabili secondo le stesse percentuali. Tuttavia, per i dipendenti pubblici con debiti fiscali la tredicesima è assoggettata al decimo (un decimo) anche se lo stipendio ordinario è superiore a 2.500 euro .

15. Cosa succede se il datore di lavoro non trattiene la quota pignorata?

Il datore di lavoro è responsabile come terzo pignorato. Se non effettua le trattenute, può essere condannato dal giudice a pagare al creditore l’intero importo dovuto. Per i pignoramenti fiscali, la legge prevede sanzioni pecuniarie e la possibilità di azione diretta contro il datore.

16. Posso chiedere la riduzione della quota pignorata per gravi difficoltà?

In situazioni eccezionali (malattie, handicap, carichi familiari elevati) è possibile chiedere al giudice la riduzione temporanea della quota pignorata, motivando la richiesta con documenti idonei (es. certificati medici, ISEE). Il giudice valuterà se l’esecuzione può essere alleggerita senza compromettere il diritto del creditore.

17. Che differenza c’è tra pignoramento dello stipendio e pignoramento del conto corrente?

Il pignoramento dello stipendio avviene presso il datore di lavoro; la trattenuta è applicata alla fonte. Il pignoramento del conto corrente blocca le somme presenti sul conto alla data di notifica e, nel pignoramento esattoriale, anche quelle che verranno accreditate nei 60 giorni successivi . Nel secondo caso la banca è il terzo pignorato.

18. Posso evitare il pignoramento aderendo a una procedura di sovraindebitamento?

Sì. La presentazione di un piano del consumatore o di un accordo di ristrutturazione determina la sospensione delle azioni esecutive . Se il piano viene omologato, il pignoramento viene revocato e le somme trattenute possono essere restituite ai creditori secondo il piano.

19. Dopo quanto tempo si estinguono i debiti fiscali se non vengono riscossi?

Con il nuovo Codice della riscossione, dal 1° gennaio 2030 i debiti fiscali saranno cancellati d’ufficio dopo cinque anni se l’AdER non sarà riuscita a riscuotere . L’estinzione avverrà automaticamente salvo atti interruttivi (notifica di nuovi avvisi, pignoramenti, sospensioni).

20. Quali competenze offre l’Avv. Monardo per la difesa dal pignoramento dello stipendio?

L’Avv. Giuseppe Angelo Monardo è cassazionista, Gestore della crisi da sovraindebitamento e professionista fiduciario di un OCC. Grazie al suo staff di avvocati e commercialisti, offre un servizio completo: analisi preliminare degli atti, impugnazione delle cartelle, richiesta di sospensione della riscossione, accesso a rottamazioni e rateizzazioni, predisposizione di piani del consumatore e accordi di ristrutturazione, negoziazioni con banche e finanziarie, assistenza giudiziale fino in Cassazione. La consulenza è personalizzata: il professionista valuta la situazione del cliente, calcola le quote pignorabili, individua i vizi formali e propone la strategia più efficace.

Simulazioni pratiche e casi numerici

Per comprendere meglio l’impatto delle percentuali pignorabili e dei limiti, proponiamo alcune simulazioni con cifre indicative. Le cifre sono esemplificative e possono variare in base alle circostanze. I calcoli si basano sulle regole vigenti nel 2025 e tengono conto del minimo vitale.

Simulazione 1 – Debito verso una banca

  • Reddito netto mensile: 1.500 €.
  • Tipo di debito: prestito personale non pagato.
  • Quota pignorabile: 1/5 dello stipendio = 300 € al mese.
  • Applicazione della cessione del quinto: se il lavoratore ha già una cessione del quinto (ad es. 20% = 300 €) e sopravviene un pignoramento, il giudice può disporre una trattenuta aggiuntiva fino a concorrenza del 50% dello stipendio, quindi ulteriori 300 €. Il lavoratore manterrà 750 € (50%) più eventuali quote di minimo vitale.

Simulazione 2 – Debito fiscale di fascia bassa

  • Reddito netto mensile: 2.400 €.
  • Debito: cartella esattoriale da 8.000 €.
  • Quota pignorabile: poiché il reddito è inferiore a 2.500 €, si applica la soglia del decimo (10%). Tuttavia, 2.400 € sono inferiori al limite massimo; il giudice può decidere di non prelevare nulla se la quota residua lasciata al lavoratore sarebbe insufficiente per la sopravvivenza. Se invece si decide per la trattenuta massima, sarà pari a 240 € al mese.

Simulazione 3 – Debito fiscale di fascia intermedia

  • Reddito netto mensile: 3.500 €.
  • Debito: cartelle per 20.000 €.
  • Quota pignorabile: rientrando nella fascia 2.501-5.000 €, la quota è 1/7 ≈ 14,28%, cioè 500 €. Dal 2026, se si tratta di un dipendente pubblico, il datore dovrà controllare la presenza di debiti e trattenere automaticamente questa quota . Eventuali tredicesime saranno pignorate al 10%.

Simulazione 4 – Debito fiscale di fascia alta e cessione del quinto

  • Reddito netto mensile: 6.000 €.
  • Debito: 50.000 € di imposte arretrate.
  • Quota pignorabile: si applica la quota del 20% (1/5), quindi 1.200 € al mese . Se sullo stesso stipendio grava una cessione del quinto (20% = 1.200 €), la trattenuta complessiva non può superare il 50%, quindi potrà essere pignorato un ulteriore 10% (600 €) per raggiungere il tetto massimo.

Simulazione 5 – Pignoramento del conto corrente

  • Saldo sul conto al momento della notifica: 2.000 €.
  • Assegno sociale: 548,69 €.
  • Triplo assegno sociale: 1.616,97 €.
  • Somma impignorabile: 1.616,97 € .
  • Somma pignorabile: 383,03 € (2.000 € – 1.616,97 €). La banca deve lasciare al debitore 1.616,97 € e bloccare solo l’eccedenza. .

Simulazione 6 – Piano del consumatore

  • Reddito netto mensile: 1.800 €.
  • Debiti complessivi: 60.000 € (finanziamenti, imposte, carte di credito).
  • Soluzione: il debitore si rivolge a un Gestore della crisi (OCC) e propone un piano del consumatore in 6 anni, offrendo 450 € al mese (25% del reddito), mantenendo per sé 1.350 € (75%). Durante la procedura le azioni esecutive, compreso il pignoramento in corso, sono sospese . Al termine, i debiti residui vengono cancellati.

Conclusione

Il pignoramento dello stipendio è uno strumento potente nelle mani dei creditori, ma la legge italiana tutela il lavoratore e il pensionato attraverso percentuali massime di trattenuta, soglie di impignorabilità e procedure di opposizione. Le normative recenti, come il D.Lgs. 110/2024 e la Legge di bilancio 2025, hanno modificato i termini della riscossione e introdotto meccanismi automatizzati di verifica per i dipendenti pubblici . La giurisprudenza della Cassazione ha rafforzato il principio del minimo vitale, estendendo i limiti anche a sequestri e confische penali e chiarendo questioni fondamentali quali la tutela del triplo assegno sociale sui conti correnti , la protezione dell’ultima mensilità e il cumulo tra pignoramento e cessione del quinto .

Per il debitore, la tempestività è essenziale: agire nei tempi previsti dalla legge consente di bloccare o ridurre il pignoramento, di impugnare eventuali vizi dell’atto e di accedere a strumenti alternativi come rottamazioni, rateizzazioni, piani del consumatore e accordi di ristrutturazione. L’intervento di un professionista specializzato, che conosca le norme e la prassi dei tribunali, è fondamentale per individuare la strategia migliore.

L’Avv. Giuseppe Angelo Monardo e il suo team multidisciplinare di avvocati e commercialisti offrono un supporto completo: analisi della cartella e del pignoramento, verifica della prescrizione e dei vizi formali, predisposizione di opposizioni, richiesta di sospensioni, accesso a sanatorie e rateizzazioni, elaborazione di piani di rientro e procedure di sovraindebitamento. Grazie alla sua esperienza come cassazionista, Gestore della crisi da sovraindebitamento e esperto negoziatore della crisi d’impresa, l’avvocato è in grado di assistere il debitore in ogni fase, fino alla risoluzione definitiva del debito.

Agire tempestivamente, conoscere i propri diritti e affidarsi a professionisti competenti sono i tre pilastri per proteggere lo stipendio e preservare la stabilità economica propria e della propria famiglia. Non ignorare i segnali d’allarme: un’analisi approfondita può portare a soluzioni efficaci e alla fine del percorso di indebitamento.

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