Finanziamento Non Pagato: Cosa Succede, Cosa Fare E Come Difendersi

Hai smesso di pagare le rate di un finanziamento, prestito personale o cessione del quinto e temi le conseguenze? È una situazione più comune di quanto si pensi, spesso causata da difficoltà economiche temporanee. Tuttavia, non pagare un finanziamento può avere effetti gravi: dalla segnalazione nelle banche dati fino al pignoramento dei beni. La buona notizia è che esistono soluzioni legali per difendersi, rateizzare o ridurre il debito, evitando le azioni esecutive.

Cosa succede quando non si paga un finanziamento

Dopo il mancato pagamento di una o più rate, la banca o la finanziaria può:

  1. Inviare solleciti di pagamento o diffide tramite raccomandata o PEC.
  2. Addebitare interessi di mora e penali contrattuali.
  3. Segnalare il nominativo nelle banche dati creditizie (CRIF, Experian, CTC, Centrale Rischi Banca d’Italia).
  4. Affidare la pratica a una società di recupero crediti o cedere il credito a un’altra società.
  5. Agire legalmente richiedendo un decreto ingiuntivo o, nei casi più gravi, procedendo con pignoramenti e sequestri.

La reazione del creditore dipende dal tipo di finanziamento, dall’importo e dal numero di rate non pagate.

Le conseguenze del mancato pagamento

  • Segnalazione al CRIF: la posizione risulta “negativa” e non sarà possibile ottenere altri prestiti per diversi anni.
  • Revoca del contratto: la banca può chiedere il pagamento immediato dell’intero debito residuo.
  • Procedura legale: dopo un decreto ingiuntivo o una sentenza, il creditore può pignorare conti, stipendi o beni mobili.
  • Cessione del credito: il debito può essere venduto a una società di recupero (spesso per una cifra inferiore), che continuerà le richieste di pagamento.
  • Aumento del debito: tra interessi, penali e spese legali, l’importo complessivo può crescere rapidamente.

Cosa fare subito se non riesci a pagare un finanziamento

  1. Non ignorare le comunicazioni della banca o della finanziaria. Prima si interviene, maggiori sono le possibilità di trovare una soluzione.
  2. Verifica l’importo effettivo del debito. Controlla il contratto e chiedi un estratto conto aggiornato: spesso gli importi richiesti includono penali non dovute o calcoli errati.
  3. Contatta un avvocato esperto in diritto bancario e del credito.
    Un professionista può analizzare il contratto, verificare eventuali clausole abusive o tassi usurari, e consigliarti la strategia più adatta per sospendere o ridurre il debito.
  4. Evita accordi telefonici con recupero crediti. Le società di recupero spesso esercitano pressioni indebite. È meglio comunicare solo tramite il proprio legale.
  5. Valuta la possibilità di un piano di rientro o di un saldo e stralcio.
    È spesso possibile chiudere la posizione pagando una cifra ridotta o concordando nuove rate più sostenibili.

Le strategie difensive più efficaci se non paghi un finanziamento

Un avvocato esperto può adottare diverse strategie, a seconda del tipo di credito e della situazione economica:

  • Verificare la validità del contratto di finanziamento.
    Molti contratti contengono errori, costi occulti o tassi superiori alla soglia di usura, che rendono il debito contestabile o nullo.
  • Contestare gli interessi e le spese non dovute.
    Le finanziarie spesso applicano penali o interessi di mora illegittimi, che possono essere eliminati.
  • Opporsi al decreto ingiuntivo.
    Se la banca ottiene un decreto ingiuntivo, hai 40 giorni di tempo per presentare opposizione e bloccare il pignoramento.
  • Richiedere la sospensione o la rateizzazione del debito.
    In caso di difficoltà economica, è possibile chiedere la moratoria o la rinegoziazione del prestito.
  • Proporre un saldo e stralcio.
    Se il credito è stato ceduto a una società di recupero, puoi trattare il pagamento a una cifra molto inferiore rispetto al debito originario.
  • Accedere alla procedura di esdebitazione.
    Se i debiti sono eccessivi e non più sostenibili, puoi ricorrere alla legge sul sovraindebitamento (D.Lgs. 14/2019) per ottenere la cancellazione parziale o totale dei debiti residui.

Quando il finanziamento è prescritto o illegittimo

Il credito derivante da un finanziamento si prescrive in 10 anni (5 per alcune tipologie). Se il creditore non ha mai notificato atti interruttivi in questo periodo, il debito è estinto e non più esigibile.
Inoltre, se il contratto presenta tassi usurari, mancanza di chiarezza o costi occulti, può essere impugnato e dichiarato nullo, con restituzione delle somme indebitamente versate.

Cosa succede se non ti difendi

Ignorare il problema può portare a conseguenze gravi:

  • iscrizione nei registri dei cattivi pagatori per diversi anni;
  • pignoramento di conti, stipendi, pensioni o beni immobili;
  • aumento del debito per spese legali e interessi;
  • impossibilità di accedere a nuovi finanziamenti o mutui.

Agire subito è l’unico modo per evitare l’escalation legale e mantenere il controllo della situazione.

Quando rivolgersi a un avvocato esperto

Devi contattare un avvocato se:

  • hai ricevuto diffide o solleciti di pagamento;
  • ti è stato notificato un decreto ingiuntivo o un atto di pignoramento;
  • non riesci più a sostenere le rate del prestito;
  • vuoi verificare la legittimità del contratto o negoziare un accordo.

Un avvocato esperto in diritto bancario e del credito può:

  • analizzare il contratto di finanziamento e verificare la presenza di tassi usurari o anatocistici;
  • bloccare azioni esecutive come decreti ingiuntivi o pignoramenti;
  • trattare un accordo con la banca o la società di recupero;
  • guidarti nella procedura di sovraindebitamento per liberarti definitivamente dai debiti.

⚠️ Attenzione: più a lungo ignori la situazione, più cresce il debito e più il creditore rafforza la sua posizione. Agire subito, invece, può consentirti di ridurre drasticamente l’importo dovuto o chiudere la posizione con una soluzione sostenibile.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario, riscossione e tutela dei debitori – spiega cosa succede quando non si paga un finanziamento, quali sono le mosse legali immediate da fare e come difendersi efficacemente da banche, finanziarie e società di recupero crediti.

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Introduzione

Un finanziamento non pagato – sia esso un prestito personale, un mutuo ipotecario, un leasing, credito al consumo o un finanziamento aziendale – comporta conseguenze legali ed economiche significative per il debitore. Dal momento in cui si verifica l’inadempimento di una o più rate, il debito residuo può aumentare a causa di interessi moratori e penali, e il debitore rischia di subire segnalazioni come cattivo pagatore nelle banche dati creditizie . In questa guida, aggiornata a ottobre 2025, esamineremo in dettaglio cosa succede quando non si paga un finanziamento, cosa fare per gestire la situazione e come difendersi legalmente, dal punto di vista del debitore. Adotteremo un linguaggio giuridico ma accessibile, adatto sia a professionisti (avvocati, consulenti) sia a privati e imprenditori. Troverete inoltre domande e risposte frequenti, tabelle riepilogative e simulazioni pratiche riferite all’ordinamento italiano, per comprendere al meglio i propri diritti e le strategie difensive possibili.

Tipologie di finanziamento e implicazioni del mancato pagamento

Non tutti i finanziamenti sono uguali: a seconda del tipo di credito e delle garanzie previste, il mancato pagamento può avere dinamiche leggermente diverse. Ecco una panoramica delle principali categorie:

Prestiti personali (senza garanzie reali)

I prestiti personali e altre forme di credito al consumo non finalizzate (come prestiti personali bancari, finanziamenti di liquidità, scoperti di conto non garantiti) sono generalmente chirografari, ossia privi di garanzie reali specifiche. In caso di mancato pagamento delle rate, la banca o finanziaria attiverà le procedure di recupero sul patrimonio generale del debitore, senza un bene preciso da escutere in via preferenziale. Ciò significa che, dopo i necessari solleciti e comunicazioni, il creditore potrà richiedere un decreto ingiuntivo e procedere con il pignoramento dei beni disponibili (conti correnti, stipendio, auto, ecc.) .

  • Cessione del quinto: Una particolare forma di prestito personale è la cessione del quinto dello stipendio o della pensione, dove la rata viene trattenuta alla fonte. Se il debitore perde il lavoro o cessa di percepire la pensione e non riesce più a pagare, interviene di norma un’assicurazione a copertura del rischio. Tuttavia, l’assicuratore che paga le rate potrebbe poi rivalersi sul debitore per le somme anticipate. In genere, il TFR (trattamento di fine rapporto) maturato dal lavoratore viene vincolato a garanzia: in caso di licenziamento, la finanziaria può pretendere il TFR fino a concorrenza del debito residuo. Il vantaggio per il creditore è che, fintanto che il debitore ha uno stipendio/pensione, il pagamento avviene automaticamente; lo svantaggio per il debitore è che lo spazio di manovra in caso di difficoltà è ridotto (non può “saltare” una rata, perché verrebbe comunque trattenuta). Se la copertura assicurativa non basta, il residuo può essere richiesto al debitore, seguendo le stesse vie legali degli altri prestiti personali.

Mutui ipotecari (mutuo fondiario)

Il mutuo immobiliare – tipicamente il mutuo prima casa – è garantito da un’ipoteca su un immobile. In caso di rate non pagate, il creditore (banca) ha la possibilità di risolvere il contratto e chiedere il pagamento di tutto il debito residuo (capital + interessi) in una soluzione unica, facendo valere la garanzia ipotecaria mediante esecuzione forzata sull’immobile (espropriazione immobiliare). Tuttavia, esistono tutele normative specifiche per il mutuatario: l’art. 40 comma 2 del Testo Unico Bancario (TUB) stabilisce che la banca può invocare la risoluzione del mutuo per ritardato pagamento solo dopo almeno 7 rate pagate in ritardo (anche non consecutive), intendendosi per “ritardo” il pagamento avvenuto tra 30 e 180 giorni dalla scadenza di ciascuna rata . In altre parole:

  • Un pagamento effettuato con un ritardo inferiore a 30 giorni non produce conseguenze risolutive (non è nemmeno considerato ritardo ai fini di legge) .
  • Se il ritardo supera i 30 giorni ma la rata viene pagata entro 180 giorni dalla scadenza, la rata è considerata “pagata in ritardo”. Tali ritardi rimangono annotati: al verificarsi di sette ritardi complessivi, anche non consecutivi, la banca può invocare la decadenza dal beneficio del termine, ossia la possibilità di esigere immediatamente l’intero debito residuo . È irrilevante che nel frattempo il mutuatario abbia saldato alcune rate: contano le sette occorrenze di ritardo oltre 30 giorni.
  • Se una rata rimane insoluta per oltre 180 giorni dalla scadenza, la banca acquisisce (già dal 181° giorno) la facoltà di risolvere il contratto per inadempimento grave, senza dover attendere il conteggio dei sette ritardi . Superata questa soglia di 6 mesi di morosità su una rata, la gravità dell’inadempimento è presunta ex lege (ai sensi dell’art. 40 TUB) .

Trascorsi tali limiti, la banca generalmente invia una lettera di decadenza dal termine e di risoluzione del mutuo, notificando al debitore la richiesta di pagamento integrale del residuo. Seguirà, in mancanza di adempimento spontaneo, l’avvio del pignoramento immobiliare con esecuzione forzata sull’immobile ipotecato (vendita all’asta). Va segnalato che la legge tutela il mutuatario anche in fase esecutiva: prima di ottenere la risoluzione anticipata per le 7 rate o la rata scaduta da oltre 180 giorni, il creditore deve rispettare i parametri di legge; diversamente, l’azione esecutiva potrebbe essere contestata per inesistenza di un inadempimento “sufficientemente grave” entro quei termini . Al di fuori di queste ipotesi tipiche, la banca potrebbe comunque tentare la risoluzione anticipata invocando clausole risolutive espresse o l’art. 1186 c.c. (decadenza dal termine per insolvenza del debitore), ma deve provarne le condizioni. Ad esempio, la Cassazione 14702/2024 ha confermato che, se il mutuatario non è in ritardo 7 volte, la banca può accelerare il mutuo solo dimostrando che il debitore è divenuto insolvente o ha diminuito le garanzie ex art. 1186 c.c. . In mancanza di tale prova, la risoluzione anticipata non è legittima.

Nota: L’ipoteca offre al creditore un diritto di prelazione sul ricavato dell’asta, ma non impedisce al debitore di rispondere con altri beni se la vendita dell’immobile non copre l’intero importo. Ad esempio, se dalla vendita all’asta si ricava meno del debito, la banca potrà agire sul restante patrimonio (stipendi, altri immobili) per il debito residuo non soddisfatto. Viceversa, se l’asta produce un ricavato superiore al dovuto (evento raro), l’eccedenza va restituita al debitore. Da ricordare inoltre che l’espropriazione immobiliare non conosce, in ambito di crediti bancari privati, il limite dell’“impignorabilità della prima casa”: la casa di abitazione può essere pignorata dal creditore ipotecario o da altri creditori, a differenza di quanto avviene per alcuni crediti fiscali (dove l’Agente della Riscossione non può pignorare l’unico immobile di residenza in certe condizioni).

Leasing finanziario (locazione finanziaria)

Il leasing è un contratto in cui un intermediario (concedente) mette a disposizione di un utilizzatore un bene (ad es. un’auto, un macchinario o un immobile) dietro pagamento di canoni periodici, con facoltà per l’utilizzatore di acquistare il bene a fine contratto pagando un importo finale (riscatto). In caso di mancato pagamento dei canoni, il leasing prevede tipicamente una clausola risolutiva espressa. La disciplina è stata uniformata dalla Legge n. 124/2017 (commi 136-140) per i contratti recenti: la legge definisce “grave inadempimento” il mancato pagamento di un certo numero di canoni, superato il quale il contratto si può risolvere di diritto . In particolare, la soglia è fissata in almeno 6 canoni mensili (o 2 trimestrali) non pagati per i leasing immobiliari, ovvero almeno 4 canoni mensili non pagati (anche non consecutivi) per i leasing di beni mobili . Solo oltre tali soglie il concedente può attivare la risoluzione per inadempimento grave; in caso di morosità inferiori, la risoluzione immediata non è automatica (servirebbe una valutazione caso per caso della gravità, oppure attendere il superamento della soglia di legge). Questa previsione uniforma la tutela minima del debitore nel leasing, impedendo risoluzioni per inadempimenti di scarsa entità (ad es. saltare una o due rate non basta più, dopo la riforma, per perdere immediatamente il bene).

Una volta che il contratto di leasing è risolto per inadempimento, il concedente restituisce il bene e si procede al ricalcolo dei rapporti di dare-avere tra le parti secondo un meccanismo di legge ispirato al patto marciano. In pratica, si fa il saldo tra:

  • Credito del concedente: somma dei canoni scaduti e non pagati, + importo dei canoni residui a scadere (solo quota capitale) + eventuale prezzo pattuito per l’opzione finale di acquisto + spese sostenute (es. spese di recupero e vendita del bene) .
  • Ricavato della vendita o ricollocazione del bene sul mercato da parte del concedente, al valore di mercato (post-risoluzione).

Il concedente deve quindi sottrarre dal proprio credito l’importo ricavato vendendo o riallocando il bene. Se il ricavato copre interamente il credito, il debitore nulla deve; se il ricavato è inferiore, l’utilizzatore debitore resta obbligato a pagare la differenza negativa; se invece il ricavato fosse superiore (caso raro, specie per beni mobili che si deprezzano), il concedente deve restituire l’eccedenza al debitore . In formula semplificata, Debito residuo = (canoni scaduti + capitale residuo + opzione + spese) – ricavato netto da vendita. Questo meccanismo evita che il concedente possa ottenere un arricchimento indebito dal cumulo di bene + canoni: il creditore recupera il bene ma deve accontentarsi del suo valore a mercato, e il debitore paga solo l’eventuale insufficienza. Prima della riforma del 2017, su tali questioni si litigava spesso (specie per i leasing traslativi, dove i giudici applicavano analogicamente l’art. 1526 c.c.); ora la legge fornisce una regola chiara e inderogabile. Si noti infine che se il bene in leasing è un bene strumentale essenziale (es. un macchinario chiave per l’azienda debitrice), in caso di risoluzione e pignoramento il debitore imprenditore può talvolta chiedere al giudice dell’esecuzione di continuare temporaneamente ad usarlo dietro corresponsione di un’indennità (istituto della continuazione d’uso nel nuovo Codice della crisi), ma ciò esula da questa trattazione focalizzata sul debitore civile.

Credito al consumo finalizzato (prestiti con beni acquistati a rate)

Nella categoria del credito al consumo rientrano anche i finanziamenti finalizzati all’acquisto di beni o servizi: ad esempio, l’acquisto di un’auto o di un elettrodomestico pagato a rate mediante finanziaria, oppure il pagamento dilazionato offerto da esercizi commerciali (anche tramite formule “buy now, pay later”). In questi casi, il bene acquistato funge spesso da garanzia indiretta: il venditore o la finanziaria può aver previsto il patto di riservato dominio (la proprietà del bene passa all’acquirente solo dopo l’ultima rata, ex art. 1523 c.c.), oppure il bene può essere oggetto di clausole risolutive (se non paghi, il contratto di vendita si risolve) e conseguente ritiro del bene. Ad esempio, per molte auto a rate o con leasing, il contratto prevede che il veicolo possa essere requisito in caso di insolvenza. Il meccanismo di tutela è simile al leasing: se il bene viene ripreso dal venditore/finanziatore per inadempimento, il suo valore di realizzo andrà detratto dal debito (per evitare arricchimenti indebiti). Il Codice del Consumo tutela il compratore: è nulla ogni clausola che permetta al finanziatore di trattenere sia le rate pagate che il bene, senza restituzioni – configurandosi ciò come una penale eccessiva. Se dunque acquistando un bene a rate smettete di pagare, potreste perdere il bene, ma non dover pagare tutto come se il bene valesse zero: il creditore dovrà valersi sul bene stesso per ridurre il suo credito.

Si tenga presente che, soprattutto per beni di largo consumo, le finanziarie preferiscono spesso recuperare il credito in denaro piuttosto che riprendersi beni usati dal valore incerto. Pertanto, anche in questi casi, se non pagate le rate potreste ricevere prima solleciti e poi decreti ingiuntivi, con pignoramenti su stipendio o conto, anziché vedervi sottrarre materialmente il televisore o l’auto (ciò accade più facilmente se il bene mantiene un alto valore e se c’è una chiara clausola contrattuale). Un discorso a parte meritano le carte di credito revolving: esse rappresentano credito al consumo, ma non finalizzato a un bene specifico. In caso di mancato pagamento delle rate minime mensili, la banca può revocare la carta e chiedere l’intero saldo dovuto; dopodiché procede come per un prestito personale (ingiunzione e pignoramenti). Le clausole delle revolving talvolta prevedono interessi molto elevati, e in passato alcuni di questi contratti sono stati oggetto di cause per usura o anatocismo (per via della capitalizzazione mensile degli interessi non pagati); vedremo oltre come tali pratiche possano essere contestate.

Prestiti bancari a imprese e fideiussioni

Nel caso di finanziamenti aziendali concessi a imprese (per esempio un fido di conto corrente, un mutuo chirografario all’azienda, anticipi su fatture, ecc.), il mancato pagamento porta solitamente all’estinzione/revoca del fido e alla richiesta di rientro immediato di tutte le somme. Spesso questi crediti sono garantiti da fideiussioni personali dei soci o degli amministratori, oppure da ipoteche su immobili aziendali o dei garanti. Pertanto, lo scenario tipico è il seguente: se l’impresa non paga, la banca escute la fideiussione (cioè pretende il pagamento dai garanti, che rispondono con il loro patrimonio personale) e/o avvia azioni esecutive sui beni dati in garanzia (es. ipoteca su capannone, pegno su macchinari, ecc.). I garanti fideiussori diventano debitori a tutti gli effetti: la banca potrà notificare loro un decreto ingiuntivo e pignorare i beni dei garanti senza dover prima escutere l’azienda debitrice (molto spesso, infatti, la fideiussione bancaria standard esclude il beneficium excussionis, permettendo al creditore di agire direttamente sul garante inadempiente). Il garante che paga il debito, poi, subentra nei diritti della banca verso l’azienda (azione di regresso o surroga), ma ciò purtroppo serve a poco se l’azienda è insolvente.

Va ricordato che se il debitore principale è un’impresa soggetta a fallimento (oggi liquidazione giudiziale), il mancato pagamento può condurre all’apertura di una procedura concorsuale. In tal caso, le azioni dei creditori individuali vengono sospese e collettivizzate: il singolo creditore non potrà più pignorare liberamente, ma dovrà insinuarsi al passivo fallimentare. Questa guida però adotta il punto di vista del debitore non fallibile (cittadino, consumatore o piccolo imprenditore sotto soglia), quindi tratteremo più approfonditamente le procedure di sovraindebitamento invece che il fallimento, come strumenti di soluzione della crisi debitoria.

Riassumendo le tipologie: nella tabella seguente sono indicate le caratteristiche salienti di diverse forme di finanziamento e le conseguenze tipiche di un loro mancato pagamento:

Figura 1: Differenze tra varie tipologie di finanziamento e conseguenze in caso di inadempimento.

Tipo di finanziamentoGaranzie e particolaritàQuando scatta la risoluzione/decadenzaAzioni tipiche del creditoreNote (tutele per il debitore)
Prestito personale (non garantito)Nessuna garanzia reale; a volte presenza di un fideiussore. Segnalazione in CRIF in caso di ritardo.Contrattualmente dopo 2-3 rate non pagate (clausola risolutiva); altrimenti, per legge, può invocare art.1186 c.c. se il debitore diventa insolvente .Decreto ingiuntivo; pignoramento beni (stipendio, conto, auto, ecc.).Segnalazione cattivo pagatore solo dopo avviso e mancato rimedio . Possibile rinegoziazione prima di agire legalmente.
Cessione del quinto (prestito garantito da stipendio/pensione)Rata trattenuta alla fonte; polizza a garanzia. Vincolo su TFR.Non c’è “risoluzione” finché esiste stipendio: pagamento automatico. Se finisce il rapporto di lavoro e assicurazione non copre tutto, il residuo diventa esigibile subito.Compensazione su TFR; decreto ingiuntivo per somme non coperte; escussione di eventuale garante.Il debitore non può sospendere il pagamento. In caso di perdita lavoro, assicurazione copre rate future ma può rivalersi sul debitore per quanto pagato.
Mutuo ipotecario (fondiario)Ipoteca su immobile; tasso generalmente più basso. Importi elevati e piani lunghi.Ritardato pagamento ≥ 7 volte (anche non consecutive) oppure 1 rata insoluta > 180 giorni → decadenza dal termine ex art. 40 TUB .Risoluzione del contratto; precetto e pignoramento immobiliare (espropriazione della casa all’asta).Prima di 7 ritardi o 6 mesi di mora, banca non può risolvere . Possibile accordo di rinegoziazione o fondo di sospensione mutui in caso di temporanea difficoltà.
Leasing (bene mobile o immobile)Bene di proprietà del concedente fino a riscatto; spesso polizza sul bene.≥ 4 canoni mensili (beni mobili) o ≥ 6 mensili (immobili) non pagati → grave inadempimento ex L.124/2017 .Risoluzione di diritto; restituzione del bene; vendita bene e diffida a pagare eventuale differenza (se ricavato < debito).Dopo riforma 2017, debitore non perde tutto: venduto il bene, l’eventuale eccedenza di valore va resa e paga solo differenza negativa .
Credito al consumo finalizzato (es. acquisto bene a rate)A volte riserva di proprietà sul bene finché pagato; tutele del consumatore (Codice Consumo).Variabile: se riserva proprietà, basta 1 rata non pagata per risoluzione (art. 1525 c.c. prevede restituzione rate salvo equo compenso). Spesso finanziaria aspetta 2-3 rate insolute.Risoluzione del contratto di vendita; ritiro/restituzione del bene; richiesta saldo differenza se valore bene < debito (altrimenti rimborso eccedenza). Oppure ingiunzione senza ritiro bene, a scelta creditore.Le clausole che permettono al venditore di trattenere sia bene che rate pagate sono nulle (penale eccessiva) . Consumatori protetti da nullità di clausole abusive e usura; possibile invocare nullità costo non indicato (TAEG).
Scoperto di conto / carta revolvingCredito rotativo, interessi elevati; nessuna garanzia (chirografario).Revoca del fido o carta se il debitore sconfina o ritarda (di solito dopo 1-2 rate/minimi mancati). Importo totale diventa esigibile a vista.Richiesta rientro immediato; se non avviene, decreto ingiuntivo per l’intero saldo. Pignoramenti su beni come per prestito personale.Attenzione a interessi di mora o commissioni di massimo scoperto: possono essere contestati se usurari o non trasparenti. Diversi contenziosi su anatocismo in conti correnti bancari (oggi vietato su interessi passivi oltre l’annuale ).
Finanziamento aziendale (a ditte, società)Spesso garantito da fideiussioni personali o da pegni/ipoteche; possibile intervento Fondo PMI.In genere, dopo 1-2 rate insolute o sconfini, la banca revoca gli affidamenti e chiede rientro immediato (clausole risolutive o art.1186 c.c. per insolvenza).Escussione delle garanzie: richiesta di pagamento ai fideiussori (che diventano debitori diretti) ; realizzo dei pegni; se crediti ipotecari, pignoramento dei beni gravati. Possibile istanza di fallimento se importi rilevanti e debitore soggetto fallibile.I garanti possono opporre eccezioni personali al rapporto principale solo entro limiti (le fideiussioni bancarie standard spesso prevedono rinunce a eccezioni). Se l’azienda entra in procedura concorsuale, l’escussione prosegue nei confronti dei garanti fuori dal fallimento.

Legenda: decadenza dal termine = perdita del beneficio del pagamento rateale, con debito divenuto esigibile in un’unica soluzione; risoluzione = scioglimento anticipato del contratto per inadempimento, con restituzione/ritiro del bene (se applicabile) e richiesta danni/saldo.

Conseguenze immediate del mancato pagamento

Vediamo ora cosa succede concretamente quando il debitore smette di pagare le rate di un finanziamento. Le conseguenze si sviluppano tipicamente in più fasi:

  • Interessi di mora e spese di sollecito: Dal giorno successivo alla scadenza non rispettata, il debitore può essere costituito in mora automaticamente (se il contratto prevede “clausola di pagamento a termine fisso” ex art. 1182 c.c., oppure dopo una formale intimazione di pagamento ex art. 1219 c.c.). Scattano quindi gli interessi moratori sulle somme scadute, solitamente ad un tasso superiore rispetto agli interessi corrispettivi del finanziamento. Il tasso di mora deve essere indicato nel contratto e, per legge, non può eccedere i limiti di usura. Spesso i contratti stabiliscono ad esempio interessi di mora di qualche punto percentuale in più rispetto al tasso normale (es. +2%); la legge impone che tale maggiorazione sia ragionevole (nel credito ai consumatori, il TUB art. 125-bis fissa un tetto del 4% annuo sulla mora rispetto al tasso medio, ma attenzione comunque ai limiti antiusura) . Inoltre, possono essere addebitate commissioni di ritardo o penali per ogni rata saltata, purché pattuite e lecite (anche queste penali non devono essere eccessive al punto da divenire clausole vessatorie o superare la soglia usura se sommate agli interessi). Ogni pagamento ritardato oltre 30 giorni viene di norma segnalato e conteggiato (come visto, può contribuire a causare la risoluzione nei mutui o leasing dopo reiterazione). Se poi la rata non viene proprio versata, l’importo arretrato resta a debito e verrà sommato (con interessi di mora) alle rate successive.
  • Solleciti e intervento di società di recupero: Le banche e finanziarie, a seguito dell’inadempimento, in genere inviano uno o più solleciti di pagamento (lettere formali, email, telefonate da uffici recupero crediti interni o esterni) per invitare il debitore a regolarizzare la posizione . In questa fase possono essere proposte soluzioni transattive bonarie, come piani di rientro (es. aggiungere l’importo arretrato spalmato sulle rate future, o concordare qualche mese di sospensione). Se il debitore manifesta difficoltà temporanea, molti istituti preferiscono trovare un accordo piuttosto che procedere legalmente – anche perché le azioni legali hanno costi e tempi. Tuttavia, se il debitore ignora i solleciti o non è in grado di offrire alcuna garanzia, il creditore può intensificare la pressione: talvolta il credito viene ceduto a una società di recupero crediti specializzata (cessionaria). La cessione del credito dev’essere comunicata al debitore (art. 1264 c.c.); il debitore dovrà quindi rapportarsi col nuovo soggetto, il quale spesso opera con maggiore insistenza (telefonate frequenti, domiciliari, offerte di saldo e stralcio). È bene sapere che le società di recupero devono rispettare la legge: possono sollecitare il pagamento ma non minacciare azioni illegali, né diffamare il debitore o molestarlo a orari impropri. Un comportamento aggressivo e persecutorio può integrare gli estremi di molestie o violazione della privacy, sanzionabili. Se si subiscono pressioni indebite, è possibile inviare un reclamo scritto e, in caso estremo, sporgere querela.
  • Segnalazione nelle banche dati creditizie: Uno dei primi effetti del mancato pagamento è la segnalazione come cattivo pagatore nei Sistemi di Informazioni Creditizie (SIC) privati come CRIF, Experian, Cerved, etc. e nelle centrali rischi pubbliche (Centrale Rischi Banca d’Italia per importi rilevanti, solitamente oltre €30.000 di sofferenza). La segnalazione nei SIC privati segue regole precise dettate dal Codice di Condotta approvato dal Garante Privacy: in particolare, la prima segnalazione di ritardo viene resa visibile agli altri enti solo se il ritardo non è stato regolarizzato entro la scadenza successiva, cioè in pratica dopo due rate mensili consecutive non pagate . Inoltre, il debitore deve essere informato almeno 15 giorni prima che il suo nominativo venga registrato come moroso , in modo da avere un’ultima possibilità di saldare ed evitare la segnalazione. In pratica, se ci si dimentica di una rata e la si paga subito il mese dopo (prima della scadenza successiva), la segnalazione negativa non verrà vista dagli altri; se invece si accumulano due rate di ritardo, scaduto il secondo mese il ritardo diventa visibile. Le tempistiche di conservazione di questi dati negativi dipendono dall’esito: un ritardo poi sanato viene cancellato dopo 12 mesi (se era max 2 rate) o 24 mesi (se >2 rate) dalla regolarizzazione ; una morosità mai sanata (debito non pagato affatto) rimane registrata fino a 36 mesi dalla data di scadenza contrattuale del rapporto , o fino a 60 mesi in caso di eventi eccezionali come accordi di ristrutturazione, saldo e stralcio, ecc. Trascorsi tali termini, i dati decadono automaticamente. La segnalazione di sofferenza creditizia peggiora il merito creditizio del debitore, rendendo difficile ottenere nuovi finanziamenti e applicando tassi più alti per il rischio . È quindi fondamentale comunicare con il creditore prima che scatti la segnalazione, per evitare di finire nella “lista nera” dei cattivi pagatori. Una volta segnalati, l’unico modo per venirne fuori (prima della scadenza naturale) è pagare il dovuto e poi chiedere l’aggiornamento/cancellazione dei dati; non esistono scorciatoie legali per cancellarsi senza pagare, se il dato è corretto. Diffidate dunque di chi promette “cancellazione CRIF gratuita” senza sanare la posizione.
  • Decadenza dal termine e messa in mora definitiva: Dopo qualche mese di mancato pagamento, e valutati inutili i tentativi bonari, la banca/finanziaria invierà al debitore una comunicazione formale (raccomandata AR o PEC) di decadenza dal beneficio del termine e risoluzione del contratto (quando applicabile), oppure una diffida di pagamento del saldo entro un termine breve (ad esempio 15 giorni) preavvisando l’azione legale. Questo atto interrompe anche i termini di prescrizione del credito. Nella lettera la banca dichiara il credito residuo dovuto (comprensivo di capitale residuo, interessi, spese legali forfettarie eventualmente) e intima il pagamento immediato. Da questo momento il rapporto si considera chiuso e l’intero importo è esigibile. Se il debitore continua a non pagare, si passa alla fase giudiziale.
  • Azione legale: decreto ingiuntivo e titolo esecutivo: Il creditore, munito della prova scritta del credito (il contratto di finanziamento e l’estratto conto/decreto di irrevoca del fido, ecc.), si rivolge al giudice per ottenere un titolo esecutivo. Nel caso di banche e intermediari finanziari, di solito si procede con il decreto ingiuntivo (artt. 633 ss. c.p.c.), un provvedimento monitorio che ingiunge al debitore di pagare entro 40 giorni. Il decreto ingiuntivo viene tipicamente concesso dal giudice in tempi rapidi se la documentazione del creditore è completa (contratto firmato, conteggio del dovuto). Esso viene poi notificato al debitore il quale, da quel momento, ha 40 giorni di tempo per opporlo (cioè contestare il credito davanti al tribunale) oppure pagare. Se il debitore non fa opposizione entro i termini, il decreto diviene definitivo e il creditore potrà procedere con l’esecuzione forzata. È importante sottolineare che in Italia, a differenza di altri Paesi, non esiste il carcere per i debiti: il recupero avviene forzatamente sul patrimonio, ma il mancato pagamento di un finanziamento non costituisce reato (salvo casi di frode, come aver ottenuto il prestito con documenti falsi: quello sarebbe truffa). L’arma del creditore è quindi unicamente quella civilistica: ottenere il titolo e aggredire i beni. Alcuni contratti bancari (es. cambiali firmate, o contratti di mutuo fondiario) costituiscono già di per sé titoli esecutivi, evitando la fase monitoria: ad esempio, se avete firmato cambiali a garanzia del prestito, la banca può dopo la scadenza protestata procedere direttamente con il pignoramento sulla base della cambiale stessa. Ancora, i mutui fondiari bancari beneficiano di un rito speciale ex art. 41 TUB in passato: la banca può precettare il debitore sulla base del contratto di mutuo e di un estratto conto autenticato, ottenendo dal tribunale un titolo denominato “decreto di trasferimento ex art. 41 TUB” in tempi brevi. In ogni caso, il debitore ha facoltà di opporsi al titolo esecutivo sollevando le proprie difese (lo vedremo nella sezione difese). Se non si fa opposizione, si passa all’esecuzione.
  • Pignoramento ed esecuzione forzata: Munito di titolo esecutivo (decreto ingiuntivo definitivo, sentenza, cambiale, ecc.), il creditore notifica al debitore un atto di precetto, ossia un ultimo intimazione di pagamento entro non meno di 10 giorni (art. 480 c.p.c.), avvertendo che in difetto si procederà a esecuzione forzata. Trascorso il termine del precetto senza pagamento, viene notificato l’atto di pignoramento vero e proprio, in cui l’Ufficiale Giudiziario dichiara pignorati determinati beni del debitore. I pignoramenti possono avvenire in varie forme: pignoramento mobiliare (si cercano e vincolano beni mobili del debitore, ad es. autoveicoli – mediante iscrizione al PRA –, oppure beni trovati presso la sua residenza come mobili, elettronica, ecc.), pignoramento immobiliare (si colpisce un immobile di proprietà del debitore, iscrizione di pignoramento nei registri immobiliari e avvio della procedura d’asta) o pignoramento presso terzi (si vincolano crediti che il debitore vanta verso terzi, tipicamente stipendio, salario, pensione, conti correnti bancari, affitti da inquilini, ecc.). Il caso più comune per i debiti non pagati è il pignoramento presso terzi dello stipendio o del conto corrente, perché molti debitori non hanno immobili intestati e il recupero su stipendio è relativamente semplice e a basso costo. Il pignoramento presso terzi viene notificato sia al debitore sia al terzo (datore di lavoro, banca, INPS, ecc.), imponendo a quest’ultimo di non versare al debitore somme fino alla concorrenza del credito pignorato e di dichiarare in udienza cosa deve al debitore (quanto paga di stipendio, quanto ha sul conto, ecc.). Da quel momento, scatta il vincolo: ad esempio, se viene pignorato lo stipendio, il datore inizierà a trattenere mensilmente la quota pignorata anziché darla al dipendente. Se viene pignorato il conto corrente, la banca “congela” l’importo fino a disposizione del giudice.
  • Limitazioni ai pignoramenti: La legge prevede varie tutele per il debitore esecutato. Alcuni beni sono assolutamente impignorabili (art. 514 c.p.c.), ad esempio: oggetti di stretta utilità quotidiana o da lavoro (attrezzi del mestiere, purché non di valore sproporzionato), abiti, biancheria, letti, tavoli da pranzo e sedie, frigorifero, lavatrice (i mobili ed elettrodomestici essenziali), ricordi personali e familiari, animali da compagnia non di valore commerciale, ecc. Altri beni sono relativamente impignorabili, come le rendite vitalizie a titolo di alimenti o gli assegni di mantenimento (in parte) e le pensioni di invalidità . Non pignorabili sono anche i sussidi pubblici di sostentamento (es. Reddito/Assegno di Cittadinanza, sussidi di povertà) . Stipendi e pensioni, invece, sono pignorabili ma con limiti: per legge (art. 545 c.p.c.), un creditore ordinario può pignorare fino a 1/5 (20%) del netto mensile di stipendi/salari e trattamenti analoghi . Ciò vale cumulativamente: se anche più creditori agiscono, la somma delle trattenute non può superare il 50% dello stipendio (salvo eccezioni per alimenti, vedi sotto). Per le pensioni, la legge tutela un minimo vitale: la quota impignorabile è pari a circa 1,5 volte l’assegno sociale (attorno ai 750 € nel 2025) e solo l’eccedenza è pignorabile, sempre nei limiti del quinto . Ad esempio, una pensione di €1.000 potrà essere pignorata al massimo per €(1000-750)=250 (che è 1/5 di 1250, quindi in pratica chi prende pensioni basse subisce meno di un quinto). Nel caso di concorso di cause diverse sullo stesso stipendio (es. un pignoramento per un debito bancario e uno per alimenti arretrati), la legge prevede che il giudice possa superare il limite del 50% per soddisfare i crediti alimentari, valutate le circostanze . Questo perché il mantenimento di figli o ex coniuge ha priorità etica. D’altro canto, i crediti erariali (imposte non pagate) hanno limiti ancora più favorevoli al debitore: l’Agenzia delle Entrate Riscossione può pignorare solo un decimo dello stipendio per stipendi fino €2.500, un settimo tra 2.500 e 5.000, e un quinto oltre 5.000 . Un’ulteriore tutela riguarda le somme già depositate sul conto corrente derivanti da stipendio/pensione: attualmente, l’ultimo emolumento accreditato sul conto non può essere toccato dal pignoramento presso terzi (rimane nella disponibilità del debitore) , mentre le somme eccedenti sì. Questo significa che, se vi pignorano il conto il giorno prima dell’accredito dello stipendio, quel nuovo stipendio non verrà bloccato; se invece il pignoramento arriva quando avete già vari stipendi accumulati, l’eccedenza è pignorabile. In sintesi, l’ordinamento cerca di bilanciare l’esigenza creditoria con un minimo vitale per il debitore, evitando che si resti senza mezzi di sussistenza.
  • Esecuzione immobiliare: Se viene pignorato un immobile (casa, terreno), la procedura prevede la vendita coattiva tramite asta giudiziaria. Questa è spesso l’extrema ratio, data la lunghezza e i costi della procedura (può durare anni). Anche qui ci sono alcune tutele: ad esempio, se nell’immobile pignorato risiede l’unica casa del debitore e la banca ha un’ipoteca di secondo grado (non primaria), alcuni tribunali ammettono possibilità di conversione del pignoramento o soluzioni alternative. Ma se l’ipoteca è di primo grado, purtroppo anche la prima casa andrà all’asta. Durante la procedura il debitore può continuare ad abitarvi fino agli ultimi mesi (dopo l’ordinanza di vendita talvolta il custode subentra nella gestione, e dopo l’aggiudicazione definitiva il giudice emette ordine di liberazione). Il ricavato dell’asta viene distribuito tra i creditori secondo i rispettivi gradi di privilegio (l’ipoteca di primo grado per prima, poi eventuale residuo ad altri). Spese di procedura e legali vengono scalati. Se rimane un debito non soddisfatto, come detto il creditore potrà agire su altri beni. Se invece dopo aver pagato tutti c’è un surplus, è restituito al debitore.

In conclusione su questa fase: il mancato pagamento di un finanziamento innesca prima conseguenze economiche immediate (interessi, more, segnalazioni) e poi, se non vi sono rimedi, conseguenze legali esecutive anche molto invasive (pignoramento dei redditi e del patrimonio). Il debitore deve quindi attivarsi il prima possibile per evitare che la situazione degeneri: comunicare con il creditore, cercare accordi, o predisporre le proprie difese legali se il credito è contestabile. Nel seguito vedremo proprio le strategie di difesa e le soluzioni per chi è in difficoltà con i debiti.

Difesa del debitore: come contestare e ridurre il debito

Trovarsi nella posizione di debitore inadempiente può sembrare schiacciante, ma l’ordinamento offre vari strumenti per difendersi dalle pretese creditorie e, in certi casi, per ridurre o eliminare il debito stesso. È fondamentale però muoversi con cognizione di causa, preferibilmente assistiti da un legale esperto in diritto bancario o delle esecuzioni. Analizziamo le possibili linee di difesa dal punto di vista del debitore.

1. Analisi del contratto e del conteggio interessi (vizi contrattuali)

La prima cosa da fare è esaminare a fondo il contratto di finanziamento e il rendiconto del debito preteso dalla banca. Molte volte, infatti, potrebbero emergere vizi o irregolarità che possono essere fatte valere come difesa. Ecco i principali aspetti da controllare:

  • Tasso d’interesse e usura: Verificare il tasso di interesse (annuo nominale, TAEG o ISC indicato nel contratto) e confrontarlo con il tasso soglia antiusura vigente al momento della stipula. In Italia, la legge n. 108/1996 stabilisce che sono usurari gli interessi pattuiti che superano il tasso soglia (calcolato trimestralmente dal MEF su base TEGM + 25% + 4 punti, o +8 punti se più favorevole, secondo art. 2 L.108/96). Se al momento del contratto il TAEG (o il tasso comprensivo di commissioni) eccedeva il tasso soglia, la clausola di interessi è nulla per usura: ciò comporta, per l’art. 1815 c.c., che non sono dovuti interessi e il debitore deve restituire solo il capitale . L’usurarietà va valutata ex ante (c.d. usura originaria), mentre un eventuale superamento sopravvenuto per rialzo dei tassi di mercato non produce nullità (la Cassazione a Sezioni Unite ha escluso la teoria dell’usura sopravvenuta) . Come far valere l’usura? In sede di opposizione giudiziaria, il debitore può chiedere la verifica del TAEG effettivo applicato: se comprensivo di oneri e spese risulta sopra soglia, chiederà al giudice di dichiarare la nullità parziale per usura e la conversione a tasso zero (o al tasso legale nei rapporti di dare/avere). Ad esempio, se su un prestito di €10.000 vi hanno applicato un TAEG del 20% annuo mentre la soglia era 18%, gli interessi convenuti sono usurari e l’operazione diventa di fatto “gratuita” (il debitore restituisce solo 10.000 senza interessi). Da notare: il tasso soglia include tutti i costi collegati al credito (commissioni, istruttoria, polizze accessorie obbligatorie, compensi intermediari). La Cassazione nel 2025 ha ribadito che anche i costi di polizze facoltative ma contestuali vanno conteggiati ai fini usura se collegati al credito , presumendo tale collegamento se la polizza viene stipulata contestualmente al mutuo . Dunque, eventuali polizze CPI (credit protection insurance) vendute insieme al prestito potrebbero far sforare il TAEG effettivo; la banca non può difendersi dicendo “polizza facoltativa” se di fatto era contestuale: quei costi rientrano nel calcolo .
  • Interessi di mora usurari: Una questione dibattuta è se gli interessi di mora (applicati sul ritardato pagamento) vadano considerati per l’usura. La giurisprudenza prevalente dice : ogni interesse promesso oltre soglia è usuraio, sia esso corrispettivo o moratorio . La Cassazione (Sez. Unite 2018) ha chiarito che il confronto va fatto omogeneamente (per i moratori esiste un tasso soglia specifico calcolato aumentando di 2,1 punti la soglia normale, secondo indicazioni Banca d’Italia). Se la clausola di interessi di mora eccede la soglia, è nulla e gli interessi di mora non sono dovuti. Inoltre, la Cassazione ha stabilito principi importanti: il debitore può agire in giudizio per far dichiarare usuraria la clausola di mora anche se non è mai effettivamente andato in mora e non ha pagato interessi di mora . In altre parole, basta la pattuizione astrattamente usuraria per avere interesse ad agire (magari perché il contratto non è stato onorato e il creditore pretende pure la mora). Questo principio, confermato da un’ordinanza del 2024 , è cruciale: non si deve aspettare di aver pagato indebitamente – la clausola è nulla ab origine. Qualora una clausola di mora sia dichiarata nulla per usura, cosa succede agli interessi? Secondo l’orientamento più recente, resta dovuto il tasso corrispettivo lecito come risarcimento per il ritardo (art. 1224 c.c.) . In pratica, se il tasso normale era lecito (es. 5%) e la mora era 15% (usuraria ad esempio), in caso di ritardo il creditore potrà chiedere comunque il 5% annuo (interesse corrispettivo o legale) come danno da mora, ma non la penale del 15%.
  • Trasparenza e TAEG (ISC) errato: Il TUB art. 117 impone che tutti i contratti bancari indicano “tassi, prezzi e ogni condizione praticata, inclusi gli eventuali interessi di mora”, a pena di sanzioni (nullità di clausole) . In particolare, per i crediti ai consumatori, l’art. 125-bis TUB richiede la chiara indicazione del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) e stabilisce (comma 6) che se vengono addebitati al consumatore costi non inclusi nel TAEG indicato, tali costi sono nulli e non dovuti . Inoltre, il comma 7 prevede che, se mancano o sono indeterminati tassi o costi essenziali, si applichino in sostituzione i tassi minimi BOT o il tasso nominale minimo vigente (in pratica il finanziamento diventa a tasso legale ridotto) . Il comma 9 aggiunge che, se l’intero contratto viene annullato, il consumatore deve restituire solo la sorte capitale senza interessi né oneri . Dunque, errori nell’indicazione del TAEG possono costare cari al finanziatore: se ad esempio un contratto riporta un TAEG inferiore a quello reale (magari ha occultato qualche costo), quella differenza può essere dichiarata nulla con obbligo di ricalcolo. La giurisprudenza di legittimità di recente (Cass. 4597/2023) ha però puntualizzato che non ogni divergenza nel TAEG implica nullità; va distinta l’ipotesi in cui un costo non sia affatto indicato (in tal caso si applica la sanzione di cui sopra) dall’ipotesi in cui il costo c’è ma il calcolo percentuale indicato è errato per pochi decimali: quest’ultimo caso viene visto come vizio formale non sanzionato con nullità, ma al più con responsabilità precontrattuale. Spesso comunque difendersi sul TAEG serve a evidenziare indeterminatezza dell’oggetto (art. 1346 c.c.): un TAEG non indicato affatto può rendere indeterminabile il costo totale e quindi colpire il contratto per nullità (orientamento minoritario in giurisprudenza, da valutare). Comunque, un TAEG errato a sfavore del consumatore (ad esempio costi occulti) configura certamente pratica scorretta e può essere segnalato all’AGCM o Bankitalia. In giudizio, a fini pratici, i collegi arbitrali ABF e talora i tribunali hanno imposto il ricalcolo degli interessi al tasso BOT ex art. 125-bis co.7 TUB nei casi di difformità significativa.
  • Clausole elusive o oneri non pattuiti: Controllare se nel piano di ammortamento o negli addebiti siano comparsi oneri non espressamente previsti dal contratto (es. commissioni di incasso rata elevate, spese aggiuntive). Se non erano pattuite chiaramente, non sono dovute. L’art. 117 TUB prevede che in mancanza di pattuizione scritta di un tasso, si applichi il tasso minimo BOT (o tasso nominale legale) . Questo significa che, se ad esempio la banca applica una commissione di massimo scoperto su un fido senza che sia stata concordata specificamente, quella commissione può essere azzerata (o al più rimpiazzata da interessi legali). Un esempio storico: anni fa molte banche praticavano interessi anatocistici trimestrali non pattuiti validamente – in causa, quei conteggi venivano eliminati e si ricalcolava il saldo come se l’anatocismo non fosse mai stato applicato.
  • Anatocismo (interessi su interessi): L’anatocismo bancario – la capitalizzazione periodica degli interessi – è un altro aspetto da valutare. La regola generale del Codice Civile (art. 1283) vieta di capitalizzare gli interessi scaduti, salvo che (a) vi sia una convenzione successiva al maturare degli interessi e per interessi di almeno 6 mesi, oppure (b) sussista un uso normativo. Le banche per decenni hanno capitalizzato trimestralmente gli interessi passivi, invocando un “uso bancario” – ma la Cassazione già nel 1999 l’ha dichiarato un uso negoziale e quindi illegittimo. In seguito, la normativa è stata modificata: attualmente (dopo la riforma del 2013-2016 di cui alla L.147/2013), l’art. 120 TUB viet espressamente l’anatocismo sugli interessi passivi, disponendo che dal 1° gennaio 2014 gli interessi maturati non possano produrre ulteriori interessi se non nei limiti della capitalizzazione annuale reciproca . La Cassazione nel 2024 (sent. 21344/2024) ha chiarito che questo divieto è immediatamente operativo dal 1/12/2014 anche se mancava ancora la delibera CICR di attuazione . Ciò significa che qualsiasi pratica bancaria di continuare a capitalizzare trimestralmente oltre tale data è stata illecita. In sede di conteggio del debito, dunque, il debitore può far verificare che non vi siano interessi su interessi indebitamente caricati: in caso affermativo, può chiedere la rideterminazione del saldo, eliminando l’effetto anatocistico. Per i contratti più vecchi (ante 2000), se non sono mai stati rinegoziati, spesso l’applicazione di interessi composti comporta un credito del cliente per somme indebitamente pagate. Nei mutui e leasing, di solito l’interesse è calcolato in regime composto ma questo è noto ab initio nel TAEG: non c’è anatocismo “a sorpresa”, è semplicemente il regime finanziario di ammortamento. Diverso è il caso di conti correnti e fidi: lì l’anatocismo era subdolo e si può contestare con più efficacia. Oggi la normativa (Delibera CICR 2016) consente la capitalizzazione annuale degli interessi, purché gli interessi attivi e passivi abbiano stessa periodicità e sia data facoltà al cliente di pagarli per non farli capitalizzare. Quindi verificate: se la banca vi ha addebitato interessi passivi e poi su quelli ulteriori interessi, senza aspettare l’anno o senza avervi dato modo di pagarli a parte, potete eccepire la nullità della clausola anatocistica e chiedere lo storno.

In sintesi, l’analisi tecnico-legale del contratto e del piano di ammortamento può far emergere motivi di nullità parziale (o totale) che il debitore potrà opporre. Usura originaria, interessi di mora eccessivi, costi occulti non pattuiti, errori nel TAEG, clausole abusive: ognuno di questi elementi, se provato, può ridurre l’importo dovuto o addirittura azzerare gli accessori, lasciando dovuto il solo capitale. È consigliabile far svolgere queste verifiche a un professionista o a un consulente tecnico di parte (CTP) esperto in contabilità bancaria. Nelle cause bancarie spesso il giudice ammette CTU contabile: se il debitore solleva specifiche contestazioni suffragate da calcoli, il giudice incaricherà un perito di rifare i conti secondo i criteri di legge (es. ricalcolo senza usura, senza anatocismo, ecc.).

2. Opposizione al decreto ingiuntivo o al precetto

Se il creditore ha già avviato l’azione legale (es. notificando un decreto ingiuntivo), il debitore ha la possibilità di presentare opposizione entro i termini di legge per far valere le proprie difese in giudizio. L’opposizione a decreto ingiuntivo (art. 645 c.p.c.) si propone entro 40 giorni dalla notifica del decreto, mediante atto di citazione davanti al tribunale competente. Con l’opposizione, la causa diventa un giudizio ordinario in cui il giudice esaminerà il merito della vicenda: il debitore opponente può eccepire, ad esempio, l’errata quantificazione del credito, la presenza di clausole nulle (usura, ecc.), l’insussistenza del credito (magari perché ha pagato ma non gli è stato contabilizzato, o perché il contratto è invalido). È fondamentale in questa fase dedurre tutte le eccezioni e depositare la documentazione a sostegno (contratto, estratti conto, ecc.).

🔹 Esempio: Mario riceve un decreto ingiuntivo per €25.000 dalla finanziaria Alfa. Decide di opporsi perché ritiene di aver già pagato più interessi del dovuto. Nella sua opposizione, con l’aiuto di un avvocato, eccepisce che dal ricalcolo contabile (allegato) risultano €5.000 di interessi usurari che vanno stornati. Chiede quindi al giudice di rideterminare il dovuto in €20.000 e dichiarare nulla la clausola di interessi eccedente. Durante la causa, il CTU conferma che il tasso di mora era sopra soglia: il giudice revoca in parte il decreto ingiuntivo, riducendo la condanna a €20.000 senza interessi di mora. Mario ottiene così uno sconto giudiziale sul debito inizialmente preteso.

Se il decreto ingiuntivo è divenuto esecutivo (trascorsi i 40 giorni senza opposizione perché magari il debitore non l’ha ricevuto o l’ha ignorato), c’è ancora una chance residuale: presentare un’opposizione tardiva (art. 650 c.p.c.) sostenendo di non aver potuto fare opposizione in tempo per causa a lui non imputabile oppure – come recentemente chiarito per i consumatori – perché il giudice nel procedimento monitorio non ha esaminato d’ufficio l’eventuale presenza di clausole abusive. Infatti, una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 9479/2023, ha stabilito che il giudicato sul decreto ingiuntivo non opposto non impedisce sempre di far valere successivamente la nullità di clausole abusive: il giudice dell’esecuzione, se il decreto monitorio non conteneva un esplicito esame delle clausole vessatorie, deve verificare d’ufficio l’eventuale presenza di clausole abusive nel contratto e, se le trova, deve informare le parti e dare al consumatore 40 giorni per proporre opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. limitatamente a tali clausole . Questa importante apertura consente al consumatore di non essere definitivamente incastrato da un decreto passato in giudicato, almeno sulle questioni di diritto europeo (clausole abusive). Ad esempio, se nel contratto vi era una penale manifestamente eccessiva non valutata prima, potrà ancora essere rimessa in discussione.

Opposizione al precetto o all’esecuzione: Se il creditore notifica direttamente un precetto o un pignoramento (ad esempio basandosi su cambiali o mutuo fondiario), il debitore può proporre opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) se contesta il diritto di procedere all’esecuzione (es. contesta il titolo, l’identità del debitore, la pignorabilità dei beni), oppure opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) se vi sono irregolarità formali negli atti (es. un difetto di notificazione, importi sbagliati nel precetto, mancanza di requisiti). I termini per queste opposizioni sono brevi (5 giorni per atti esecutivi, e per l’esecuzione prima dell’inizio o entro 20 gg dal primo atto). Nella pratica del debitore finanziario, l’opposizione al precetto viene usata se ad esempio il precetto include importi non dovuti (magari interessi usurari) o se il titolo è stato pagato in parte. Ma la cosa migliore è non arrivare a far decantare il decreto ingiuntivo: è preferibile agire in sede monitoria.

In ogni caso, l’assistenza di un avvocato è indispensabile nelle opposizioni, perché i motivi devono essere formulati correttamente e provati. La tempistica è cruciale: se si perde il termine, il provvedimento diventa incontestabile (fatte salve le eccezioni viste).

3. Clausole vessatorie nei contratti con consumatore

Molti contratti di finanziamento standardizzati, specie quelli di credito al consumo, contengono condizioni predisposte unilateralmente dalla finanziaria. Alcune di queste potrebbero essere “clausole vessatorie” ai sensi degli artt. 33-36 del Codice del Consumo (derivanti dalla Dir. 93/13/CEE). Una clausola vessatoria è una clausola che causa un significativo squilibrio a danno del consumatore, se non negoziata singolarmente. Tali clausole sono nulle di nullità relativa (vale solo a favore del consumatore, che può farla valere, mentre il professionista non può) . Esempi di clausole potenzialmente vessatorie in finanziamenti: penali esagerate per inadempimento, facoltà della banca di modificare unilateralmente i tassi senza giustificato motivo, esclusione totale di responsabilità della banca, decadenza dal termine per una sola rata non pagata senza ragionevole preavviso, interessi di mora troppo elevati (possono essere visti anche come indennizzo eccessivamente elevato ex art. 33 co.2 lett. f Cod. Cons.) .

Perché rileva individuarle? Perché se una clausola è dichiarata vessatoria e quindi nulla, non vincola il consumatore. Ciò significa che, ad esempio, una penale del 10% sulle rate scadute potrebbe essere eliminata, riducendo il dovuto. Oppure una clausola che prevede spese legali forfettarie addebitate al cliente in caso di recupero crediti (tipo “al debitore moroso saranno addebitati €500 di spese di recupero”) è certamente vessatoria (pone a carico del consumatore spese non proporzionate e lo priva di tutela), e quindi il consumatore non è tenuto a pagarla.

La particolarità è che il giudice deve rilevare d’ufficio la presenza di clausole vessatorie nel contratto, in ogni stato e grado del giudizio, se dispone degli elementi per farlo . Questo rafforza la posizione del debitore-consumatore: anche se per ipotesi non si fosse accorto di una clausola scorretta, il tribunale dovrebbe accorgersene e annullarla. Come abbiamo già detto, perfino a decreto ingiuntivo non opposto è possibile riesaminare le clausole abusive su impulso del giudice dell’esecuzione .

Esempi pratici di clausole nulle:

  • Clausola di interesse di mora superiore, poniamo, al 20% annuo, in un contratto con TAEG 7%. Anche senza scomodare l’usura, il Codice del Consumo potrebbe considerarla vessatoria come penale eccessiva (squilibrio grave). Il giudice potrebbe ridurla o eliminarla; la Cassazione si è espressa nel senso che l’intera clausola di mora può essere espunta se determina squilibrio significativo.
  • Clausola che impone, in caso di ritardo, un “intervento domiciliare” a spese del debitore per redigere un piano di rientro, con un costo fisso addebitato. Questa sarebbe presumibilmente vessatoria (onere sproporzionato e non giustificato).
  • Clausole che escludono il diritto del consumatore di opporre eccezioni o restringono la giurisdizione a un foro molto lontano dalla sua residenza (foro esclusivo diverso da quello di legge): queste sono vessatorie per legge (art. 33, co. 2 lett. u e o).
  • Clausole che impongono al consumatore decadenze o limitazioni di difesa, come “il mancato pagamento di una sola rata comporta rinuncia ad ogni eccezione e riconoscimento del debito…” sarebbero nulle perché lo privano dei normali diritti di difesa.

Per far valere queste nullità, il debitore può anche rivolgersi all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) o ad associazioni di consumatori, ma in un contenzioso giudiziale conviene segnalarle chiaramente. Se il giudice accerta la vessatorietà, la clausola viene eliminata e si applica eventualmente la norma dispositiva sostitutiva (o niente, se non ce n’è bisogno). Ad esempio, eliminata la penale, restano i soli interessi legali di mora ex art. 1224 c.c.

4. Soluzioni stragiudiziali: rinegoziazione, moratorie, saldo e stralcio

Oltre alle difese “tecniche” in tribunale, il debitore ha sempre la possibilità di cercare un accordo stragiudiziale col creditore per evitare la prosecuzione del contenzioso e trovare una soluzione sostenibile. Queste soluzioni richiedono disponibilità al dialogo e qualche risorsa, ma spesso sono la via più rapida e concludente. Vediamo le principali:

  • Rinegoziazione del finanziamento: consiste nel ridiscutere con la banca/finanziaria i termini del prestito, allo scopo di renderlo sostenibile. Ad esempio, si può chiedere un allungamento del piano di ammortamento (riducendo così l’importo delle rate), un periodo di preammortamento o sospensione temporanea delle rate, o la riduzione del tasso applicato. Le banche possono essere disponibili alla rinegoziazione se capiscono che in caso contrario rischiano un inadempimento definitivo e lunghe procedure legali. Nel caso dei mutui ipotecari, esistono anche strumenti normativi: ad esempio, il Fondo di solidarietà prima casa (cd. Fondo Gasparrini) consente, in presenza di determinati requisiti (perdita del lavoro, grave handicap, riduzione orario, ecc.), di ottenere fino a 18 mesi di sospensione delle rate del mutuo prima casa, con pagamento degli interessi in quota parte a carico del fondo. In periodi di crisi economica generalizzata, sono state introdotte moratorie mutui di carattere temporaneo (si pensi alla moratoria Covid-19 del 2020-21) che permettevano di sospendere i pagamenti. Verificate se potete accedere a tali misure. La rinegoziazione può avvenire anche sotto forma di consolidamento debiti: se avete più prestiti, una soluzione è cercare un nuovo finanziamento (magari con un garante) che accorpi i debiti e diluisca i pagamenti. Ovviamente, ottenere nuovo credito quando si è in sofferenza è difficile; ma a volte, con l’aiuto di un mediatore creditizio o rivolgendosi a istituti diversi, si può fare (ad esempio tramite cessione del quinto se non già utilizzata). Attenzione: consolidare i debiti allunga la durata e può aumentare il costo totale, ma riduce la rata mensile.
  • Saldo e stralcio: È l’accordo con cui il debitore corrisponde al creditore una somma inferiore al totale dovuto, ma in unica soluzione o in poche soluzioni ravvicinate, ottenendo in cambio l’esonero dal resto del debito (stralcio). In pratica, si “chiude a stralcio” la posizione. Ad esempio, un debitore con €50.000 di esposizione può proporre di pagare subito €20.000 a saldo e stralcio di ogni pretesa. Questa soluzione è spesso perseguibile quando il debito è ormai deteriorato: la banca l’ha messo a sofferenza, magari l’ha già svalutato a bilancio o ceduto a una società di recupero per una frazione del valore nominale. Le società cessionarie che comprano NPL (Non performing loans) acquistano crediti a prezzi molto bassi (anche 5-10% del valore) e quindi possono facilmente accettare stralci attorno al 20-30%. Per il debitore è quindi utile trattare: meglio in via diretta o tramite un legale, presentando le proprie difficoltà e mostrando eventualmente documentazione sul proprio stato (isee, elenco altri debiti, ecc.) per convincere il creditore ad accettare la cifra proposta. È fondamentale che l’accordo di saldo e stralcio sia formalizzato per iscritto, preferibilmente a firma del creditore, contenente la clausola che ogni residua pretesa si intende rinunciata/definitivamente soddisfatta. Solo così il debitore è certo che il creditore (o eventuali cessionari futuri) non possano reclamare differenze. Si consiglia di far transitare il pagamento con una causale specifica (“saldo stralcio come da accordo del…”) così da poterla usare come prova. Un rischio del saldo e stralcio, dal punto di vista del debitore, è che in centrale rischi rimanga traccia che il debito è stato saldato parzialmente: le banche infatti segnalano come “saldo parziale” e lasciano la posizione come sofferenza chiusa. Ciò può incidere sul merito creditizio futuro (anche se meno di un’insolvenza totale). Tuttavia, è un compromesso spesso necessario per liberarsi dei debiti e scongiurare pignoramenti. Importante: procurarsi sempre una lettera di “liberatoria” dal creditore dopo il pagamento stragiudiziale, che attesti la chiusura della posizione; vi servirà per far aggiornare i dati nelle banche dati e per vostra sicurezza.
  • Interventi di terzi e conversione del pignoramento: Se il debito è già in fase di pignoramento, una soluzione di emergenza è la conversione del pignoramento ex art. 495 c.p.c., ossia chiedere al giudice di sostituire i beni pignorati con una somma di denaro (corrispondente al dovuto + spese + 20%). In pratica, se riuscite a trovare liquidità (da parenti o attraverso una vendita) entro certi termini, potete evitare l’asta versando il dovuto in tribunale. Ciò però richiede di avere la liquidità necessaria. A volte un parente può intervenire saldando il debito per evitare che la casa di famiglia venga venduta all’asta, soprattutto se l’importo residuo non è elevato rispetto al valore del bene. In tal caso, è bene formalizzare che si tratta di un prestito infruttifero del parente al debitore, per evitare ipotesi di donazione dissimulata (ininfluenti in sé, ma giusto per chiarezza). Un’altra figura è il fideiussore o coobbligato: se voi siete coobbligati con altri (es. coniuge, socio), potreste accordarvi su chi paga e poi sistemare i rapporti interni (ad esempio uno paga e l’altro gli trasferisce una proprietà a compensazione).
  • Aiuti pubblici o di categoria: Esistono anche enti e fondi che aiutano persone sovraindebitate. Ad esempio, alcune diocesi tramite le fondazioni antiusura offrono garanzie per far ristrutturare i debiti a soggetti meritevoli (sono interventi limitati per situazioni familiari drammatiche, tramite il Fondo di prevenzione usura gestito dal MEF ex L.108/96). Oppure, per le imprese, confidi o cooperative di garanzia possono aiutare a rifinanziare debiti. Informatevi presso le istituzioni locali e le associazioni di consumatori se vi sono programmi di sostegno al sovraindebitamento attivi.

In generale, la soluzione stragiudiziale è preferibile quando: (a) il debitore riconosce il debito (non ci sono particolari contestazioni tecniche da fare), e (b) ha la possibilità di offrire qualcosa di concreto (denaro immediato o un piano credibile). Se invece il debitore è in totale decozione e/o ci sono validi motivi legali per contestare il debito, la via giudiziale (magari inserita in una procedura di sovraindebitamento) potrebbe essere più efficace.

5. Procedure da sovraindebitamento (Legge “salva suicidi” e Codice della crisi)

Quando i debiti diventano troppi e il debitore, pur in buona fede, non riesce oggettivamente a farvi fronte, è possibile ricorrere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, introdotte originariamente dalla L. 3/2012 (detta anche legge salva suicidi) e oggi confluite nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, artt. 65-83). Queste procedure sono l’equivalente per i privati e piccoli imprenditori di ciò che è il fallimento (oggi liquidazione giudiziale) per le imprese più grandi: offrono la possibilità di ridurre i debiti e ottenere l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui), sotto controllo dell’autorità giudiziaria.

I possibili strumenti sono:

  • Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex “piano del consumatore”): è una procedura riservata a chi ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale (quindi tipicamente famiglie, privati). Consente di proporre al giudice un piano di pagamento parziale dei debiti, di durata non superiore a 5 anni circa (salvo eccezioni), commisurato alle proprie realistiche capacità economiche. Il piano può prevedere, ad esempio, che il consumatore paghi il 20% di ogni credito (magari tramite la vendita di un immobile o un aiuto familiare) e che il restante 80% venga cancellato. I creditori vengono informati ma non serve il loro accordo: se il giudice valuta il piano fattibile e il debitore meritevole (ossia se l’eccesso di indebitamento non è dovuto a sua frode o colpa grave), può omologare il piano rendendolo vincolante per tutti . È una soluzione potente perché consente, ad esempio, di evitare il pignoramento della casa includendo nel piano la ristrutturazione del mutuo (in alcuni casi il giudice può imporre alla banca di accontentarsi del valore dell’immobile e liberare l’ipoteca). Ovviamente, il piano deve offrire ai creditori almeno quanto otterrebbero in una liquidazione. L’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) territoriale assiste il debitore nel predisporre la proposta e nel attestare la veridicità dei dati.
  • Concordato minore (accordo di ristrutturazione): è simile al piano del consumatore ma destinato a debitori imprenditori sotto soglia o comunque soggetti non consumatori (piccoli imprenditori, professionisti). In questo caso serve il consenso di una maggioranza dei creditori (il 60% dei crediti). Se i creditori votano a favore e il tribunale omologa, l’accordo diventa vincolante anche per i dissenzienti. È quindi un po’ più complicato, ma utile per coinvolgere creditori business. Ad esempio, un artigiano sovraindebitato potrebbe proporre di pagare il 30% ai creditori chirografari in 4 anni, se almeno il 60% di essi (in valore) accetta.
  • Liquidazione controllata del sovraindebitato: è la procedura liquidatoria (simile al fallimento) per il debitore civile. Si mettono all’asta tutti i beni del debitore (eccetto quelli impignorabili) tramite un liquidatore nominato dal giudice, e il ricavato si distribuisce ai creditori. Al termine, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione di tutte le restanti somme impagate. Questa procedura è indicata quando il debitore ha un patrimonio liquidabile e non ha capacità di produrre reddito sufficiente per un piano. È spesso l’ultima ratio, perché il debitore perde i beni (ma d’altronde li perderebbe comunque con i pignoramenti individuali, e senza esdebitazione finale). In liquidazione controllata, i creditori non possono agire individualmente: tutto è gestito nel concorso.
  • Esdebitazione del debitore incapiente: novità del Codice 2019, è una procedura speciale per chi non ha proprio nulla da offrire ai creditori (zero patrimonio e reddito minimale). In tal caso, una volta ogni vita, il debitore persona fisica meritevole può chiedere di essere esdebitato a costo zero . I creditori vengono sentiti, ma se risulta che il debitore non ricava utilità per loro e soddisfa certe condizioni (debiti sotto €150.000 circa, nessun attivo liquidabile, non aver utilizzato altre procedure, ecc.), il tribunale può decretare la cancellazione di tutti i debiti inesigibili. È una sorta di fresh start per nullatenenti. Se però nei 4 anni successivi il debitore acquista un bene di valore o un reddito rilevante, dovrà pagare i creditori in misura pari alla metà di quanto ottenuto (altrimenti si sarebbe avvantaggiato ingiustamente).

Le procedure di sovraindebitamento hanno il grosso vantaggio di bloccare le azioni esecutive individuali (dalla presentazione della domanda, il giudice può sospendere i pignoramenti in corso) e di portare, se completate correttamente, alla cancellazione dei debiti residui (esdebitazione). Lo svantaggio è che richiedono un iter legale, la nomina di un organismo di crisi, il rispetto di vari requisiti di legge e tempi di diversi mesi almeno per l’omologa. Tuttavia, per chi ha debiti veramente insostenibili, sono una salvezza. Non a caso chiamavano la legge 3/2012 la “salva suicidi” , poiché consente di spezzare la spirale debitoria che potrebbe altrimenti perseguitare a vita un piccolo debitore onesto ma sfortunato (fine del cosiddetto “ergastolo dei debiti”).

Quando conviene la procedura? Se avete più debiti con diversi creditori, importi importanti, e non riuscite con soluzioni bonarie, valutatela seriamente. Dovrete dimostrare di non aver colpa grave (es. aver assunto debiti in modo sproporzionato senza prospettive potrebbe farvi dichiarare “incolpevole” comunque se c’erano motivi, ma se ci sono atti in frode – tipo avere nascosto beni – la procedura non viene concessa o viene revocata). Dovrete anche sostenere dei costi (ci sono spese per l’OCC e giustizia, seppur modeste rispetto ai debiti). Ma il risultato finale, l’esdebitazione, vale la pena: tornerete economicamente “puliti”.

Va sottolineato: l’esdebitazione non copre eventuali debiti di natura personale non eliminabili (come obblighi di mantenimento, debiti per risarcimenti derivanti da reati, multe etc., quelli restano) e naturalmente non ripristina rapporti contrattuali persi (se vi hanno tolto la casa all’asta prima, quella non torna). Quindi agire tempestivamente prima che i creditori si soddisfino sui beni è preferibile.

Le sentenze più recenti hanno applicato in modo estensivo queste procedure. Ad esempio, Tribunale di Foggia 2023 ha esdebitato un debitore incapiente con 60.000 € di debiti, rilevando la sua totale buona fede . Altri tribunali hanno omologato piani di consumatori con percentuali di pagamento molto basse (anche <10%) se era il massimo sforzo possibile. Ciò a conferma che lo spirito della legge è dare una seconda chance al debitore meritevole e non mantenere crediti inesigibili a vita.

6. Strumenti di tutela patrimoniale preventiva

Dal punto di vista del debitore, “difendersi” non significa solo reagire quando il debito è già scaduto, ma anche pianificare in anticipo la protezione di alcuni beni dal rischio di futura aggressione. In ambito avanzato, ci sono strumenti di pianificazione patrimoniale che, se leciti e non fraudolenti, possono limitare i danni. Ne citiamo alcuni, con avvertenze:

  • Fondo patrimoniale (artt. 167 ss. c.c.): i coniugi (o un genitore per i figli minori) possono destinare uno o più beni (immobili, titoli) a far fronte ai bisogni della famiglia, creando un vincolo di destinazione. I beni conferiti nel fondo non sono aggredibili dai creditori per debiti estranei ai bisogni familiari (art. 170 c.c.). Tuttavia, questa tutela opera solo se il creditore, al momento in cui è sorto il credito, conosceva la destinazione e sapeva che il debito era contratto per scopi non familiari . La Cassazione ha precisato che grava sul debitore l’onere di provare tale consapevolezza del creditore . Ad esempio, se marito e moglie costituiscono un fondo patrimoniale con la casa e poi il marito contrae un debito per la sua azienda (scopo chiaramente estraneo ai bisogni della famiglia), quel creditore potrebbe non poter pignorare la casa, ma il debitore in sede di opposizione dovrà dimostrare che il creditore sapeva che il prestito era per l’azienda (spesso ciò è implicito, es. fideiussione per debiti societari: la banca lo sa). Attenzione però: se il fondo è creato dopo che i debiti sono sorti o mentre sono già prevedibili, i creditori possono attivare un’azione revocatoria entro 5 anni per far dichiarare inefficace l’atto di costituzione del fondo . La costante giurisprudenza (Cass. 32146/2024 ad es.) afferma che il fondo è atto a titolo gratuito, quindi facilmente revocabile se c’è pregiudizio per i creditori . Inoltre, l’atto potrebbe essere considerato fraudolento se fatto con dolo di sottrarre i beni alle ragioni creditorie (rischio penale di sottrazione fraudolenta ex art. 388 c.p. se c’è un’esecuzione in corso). Quindi, il fondo patrimoniale va bene solo come pianificazione preventiva genuina e per debiti futuri legati a bisogni familiari (es. proteggere la casa da iniziative imprudenti di un coniuge). Per debiti già contratti o contratti per la famiglia (es. mutuo prima casa), il fondo non protegge: se il debito è contratto per acquistare la casa familiare, è per bisogni familiari e il creditore ipotecario potrà pignorarla comunque.
  • Trust: simile al fondo, il trust consente di segregare beni in un patrimonio separato gestito da un trustee per finalità specifiche. Un trust familiare può proteggere i beni come fa il fondo (anzi, è più flessibile perché anche single o aziende possono farlo). Ma dal punto di vista dei creditori, valgono analoghe cautele: se il trust è istituito in frode ai creditori, sarà revocabile (entro 5 anni se gratuito, o anche oltre se con dolo grave e complicità del trustee). Inoltre, la giurisprudenza italiana a volte guarda con sospetto trust liquidatori fatti sull’orlo del default. Dunque, può essere utile ex ante (anni prima, quando non c’è rischio in vista) trasferire alcuni beni in un trust a beneficio dei figli, così che eventuali creditori futuri non possano toccarli; ma se fatto tardi, non reggerà.
  • Assicurazioni sulla vita: Le polizze vita godono per legge di una impignorabilità e insequestrabilità delle somme dovute dall’assicuratore (art. 1923 c.c.) . Ciò significa che i beneficiari di una polizza vita riceveranno il capitale assicurato al verificarsi dell’evento, e i creditori dell’assicurato non potranno pignorarlo. Anche i premi pagati possono essere relativamente al sicuro (salvo che siano contributi esagerati fatti per frodare i creditori). Molte persone in odore di problemi investono liquidità in polizze vita a favore dei familiari, perché sanno che è difficile per i creditori aggredirle (possono provare la revocatoria se i premi erano sproporzionati e c’era malafede). Va fatto comunque con anticipo e moderazione. Anche i fondi pensione individuali (es. fondo previdenza integrativa) sono impignorabili finché non liquidati.
  • Intestare beni a terzi di fiducia: Ovviamente, se non avete beni a vostro nome, i creditori non trovano molto. Molti, temendo debiti, intestano case o auto a parenti stretti. Questa pratica, oltre a essere eticamente discutibile, è fragile: se il creditore dimostra che l’intestazione a terzi è fittizia (il classico prestanome), può aggredire ugualmente il bene (c’è un articolo, il 2929-bis c.c., che consente di pignorare beni immobili donati o venduti a coniuge/parenti se c’è già un credito certo, senza dover neanche fare revocatoria, entro 1 anno). E se formalmente avete venduto la casa ai figli per pochi soldi, la vendita sarà revocabile (entro 5 anni se senza adeguato corrispettivo). In caso di donazione poi, la revocatoria è quasi scontata. Quindi, contare su questo stratagemma è rischioso e spesso inutile se i debiti ci sono già.

Riassumendo: proteggere i beni è possibile se ci si muove per tempo e senza intenti illeciti. Un fondo patrimoniale creato quando vi sposate può salvare la casa da futuri debiti aziendali, forse, ma se la casa è già ipotecata per mutuo o se i debiti nascono per la famiglia stessa, no. Un trust fatto 10 anni prima di contrarre debiti probabilmente regge, ma farlo quando siete già insolventi non vi salverà. La miglior difesa patrimoniale comunque resta ridurre l’esposizione debitoria e usare strumenti come le procedure sopraindicate. Tentare di “fare sparire” i beni all’ultimo momento può peggiorare la posizione del debitore, facendogli perdere credibilità in tribunale e rischiando anche denunce.

Domande frequenti (FAQ) su finanziamenti non pagati

Domanda: Cosa succede se salto il pagamento di una rata del prestito?
Risposta: Inizialmente, per una singola rata pagata con qualche giorno di ritardo non succede nulla di irreparabile: verranno addebitati gli interessi di mora per i giorni di ritardo . Se però la rata viene proprio saltata (non pagata entro il mese successivo), il creditore la considererà insoluta e invierà un sollecito. Accumulare anche solo due rate consecutive non pagate è sufficiente perché la tua posizione venga segnalata nei Sistemi di Informazione Creditizia (es. CRIF), previo avviso almeno 15 giorni prima . La rata insoluta continuerà a generare interessi di mora finché resta impagata. Inoltre, il contratto potrebbe prevedere che, dopo un certo numero di rate saltate (spesso 2 o 3), scatti la decadenza dal beneficio del termine: in tal caso ti verrà richiesto di pagare in un’unica soluzione tutto il debito residuo. Quindi, riassumendo: dopo 1 rata saltata paghi more e sei sollecitato; dopo 2 potresti essere segnalato come cattivo pagatore; dopo 3 o più, il finanziatore può revocare il pagamento rateale e pretendere tutto insieme, minacciando azioni legali .

Domanda: Quante rate devo non pagare prima che la banca passi al pignoramento?
Risposta: Non c’è un numero fisso uguale per tutti i casi, dipende dal tipo di finanziamento e dalle politiche del creditore. Indicativamente, dopo 3 rate mensili consecutive non pagate (o equivalenti) la maggior parte delle banche considera il rapporto in sofferenza e avvia le procedure legali . Per i mutui ipotecari, la legge fissa in 7 ritardi oppure un ritardo oltre 180 giorni il limite per dichiarare la risoluzione anticipata (quindi almeno 6 mesi di insolvenza continuativa su una rata o 7 rate sparse non puntuali). Per i leasing, la legge fissa 4 rate mensili non pagate (beni mobili) o 6 (immobili) come soglia di grave inadempimento . In pratica, però, molti creditori preferiscono evitare di andare subito in tribunale: prima tenteranno di recuperare bonariamente. Il pignoramento è l’ultima fase: per arrivarci la banca deve ottenere un titolo esecutivo (es. decreto ingiuntivo) . Dunque i passi tipici sono: dal 2° o 3° mese insoluto ti mandano la decadenza dal termine; dal 4°-5° mese fanno ricorso al giudice; entro il 6°-7° mese ottengono il decreto; se non paghi nemmeno allora, partono col precetto e pignoramento (8°-9° mese e seguenti). Quindi, in totale, 6-9 mesi di insolvenza persistente possono condurre al pignoramento, ma dipende. Alcune finanziarie rapide iniziano prima (già dopo 2 rate), altre banche attendono anche 6-8 mesi sperando in una soluzione. Importante: comunicare col creditore; se vede che sei in trattativa o fai uno sforzo, ritarda le azioni legali.

Domanda: Cosa vuol dire essere segnalato come cattivo pagatore?
Risposta: Significa che il tuo nominativo e i dati del tuo contratto finanziario vengono registrati in una o più banche dati creditizie come inadempiente o moroso. Le banche dati principali (CRIF, Cerved, Experian, etc.) sono consultate da banche e finanziarie quando valuti un nuovo prestito. Se risulti “cattivo pagatore”, difficilmente ottieni nuovi finanziamenti, o comunque te li daranno a condizioni peggiori (tassi più alti, richieste di garanzie). La segnalazione non è immediata: come detto, scatta se il ritardo di pagamento supera una certa soglia (due rate consecutive mancate o 120 giorni di ritardo) e comunque vieni avvisato prima . Le informazioni restano poi memorizzate per un periodo: se poi hai saldato il debito arretrato, la notizia del tuo ritardo rimane visibile per 12 o 24 mesi a seconda della gravità , dopodiché viene cancellata. Se invece non paghi affatto e il debito rimane insoluto o stralciato, la segnalazione resta per 36 mesi dalla data di fine rapporto (o 60 mesi in caso di eventi particolari) . Essere cattivo pagatore non è pubblico (lo vedono solo le banche aderenti al sistema), però di fatto ti esclude dal credito tradizionale finché la situazione non viene risolta e poi per un anno-due successivi. Anche le società telefoniche o di leasing controllano queste banche dati, quindi la segnalazione può impedirti di prendere un cellulare a rate, di aprire un nuovo conto in banca, ecc. Se ritieni di essere stato segnalato ingiustamente (per errore, o perché non eri stato avvisato, o perché il ritardo non c’è stato), hai diritto di richiedere una correzione/cancellazione immediata inviando una contestazione al gestore del SIC e al creditore. In estrema ipotesi, puoi rivolgerti al Garante Privacy. Da sapere: non esistono scorciatoie “a pagamento” per pulire la propria posizione; solo il tempo e/o il saldo del dovuto risolvono la cosa. Diffida di chi promette miracoli in tal senso (spesso sono truffe).

Domanda: La banca può prendermi i soldi direttamente dal conto corrente se non pago una rata?
Risposta: Dipende. Se il conto corrente è presso la stessa banca che ha erogato il prestito, quasi sempre nel contratto c’è una clausola di compensazione o mandato: in pratica, la banca può prelevare le somme dovute dalle disponibilità del tuo conto, senza attendere un giudice. Questo è lecito entro certi limiti, perché il credito della banca e il tuo debito si compensano. Ad esempio, se hai €2.000 sul conto e non paghi una rata di €500, la banca può addebitarsela d’ufficio. Attenzione che lo fa anche senza avvisarti a volte, lo scopri dall’estratto conto. Se però sul conto arrivano stipendio o pensione, la banca non può prelevare più di quanto consentito come pignoramento (in teoria dovrebbe lasciare il minimo vitale, ma in compensazione non sempre rispettano questo vincolo). In mancanza di accordi contrattuali di compensazione, la banca per prendersi i soldi dovrà fare come gli altri creditori: ottenere un titolo ed effettuare un pignoramento del conto corrente presso la banca dove tieni i soldi. In tal caso, riceverai la notifica del pignoramento e vedrai il conto bloccato fino a concorrenza dell’importo dovuto. Da notare che, se sul conto c’è lo stipendio/pensione, come detto l’ultimo accredito rimane libero e il resto viene bloccato fino al quinto . Quindi, , la banca può prendere i tuoi soldi dal conto, o con autotutela contrattuale (stessa banca) o con pignoramento legale (banca diversa), ma sempre nel rispetto di certe quote. Non può svuotarti il conto lasciandoti a zero su base unilaterale.

Domanda: Possono pignorarmi la casa se non pago un finanziamento?
Risposta: Sì, se il debito è significativo e soprattutto se c’è un’ipoteca sulla casa a garanzia. Il caso più tipico è il mutuo casa: se non paghi le rate, dopo vari solleciti la banca procederà con il pignoramento dell’immobile ipotecato e la sua vendita all’asta. Anche se la casa è la tua prima e unica abitazione, ciò non impedisce l’azione della banca (la regola dell’impignorabilità della prima casa vale solo per i crediti fiscali di Equitalia e con varie eccezioni). Se invece il finanziamento non era garantito da ipoteca, il creditore per soddisfarsi sulla casa deve prima ottenere un titolo e poi iscrivere un’ipoteca giudiziale (una sorta di ipoteca messa dal giudice dopo la condanna) sull’immobile, e quindi pignorarlo. Questo processo è più macchinoso, ma il codice lo consente: qualsiasi bene del debitore (inclusa la casa) è aggredibile per i debiti, salvo esenzioni espressamente previste. E la casa di abitazione non è esente di per sé. Esistono tuttavia situazioni in cui la casa è protetta: ad esempio, se la casa è cointestata con un coniuge non debitore e c’è un fondo patrimoniale, come spiegato prima, il creditore chirografario potrebbe trovare un ostacolo se il debito era estraneo ai bisogni familiari e lui lo sapeva . Ma sono eccezioni, tutte da dimostrare. Nella maggior parte dei casi, se hai debiti e una casa di proprietà, i creditori tenteranno di aggredirla, specie se il debito è elevato. Ci sono valutazioni pratiche: se il debito è di €5.000, quasi nessuno pignora una casa (costi sproporzionati); punteranno a stipendio o conto. Ma se il debito è €100.000, la casa diventa appetibile. E una volta pignorata, verrà venduta all’asta (spesso a prezzi inferiori al mercato). Se risiedi dentro, potrai restare fino a ordini del giudice di liberarla. Cosa fare per evitarlo? Appena vedi rischio per la casa, valuta una procedura di composizione o un accordo col creditore (magari vendere tu stesso la casa prima all’asta libera sul mercato – di solito spunta prezzo migliore – e usare il ricavato per pagare i debiti, con eventuale residuo che ti rimane). Oppure, come detto, se ci sono i presupposti puoi mettere la casa in un piano del consumatore, offrendo ai creditori qualcos’altro e tenendo l’immobile, ma serve che il piano sia sostenibile e la legge lo consenta (non sempre si salva l’immobile).

Domanda: Ho fatto da garante a un prestito e il debitore principale non paga. Cosa rischio?
Risposta: Purtroppo il fideiussore/garante rischia di dover pagare lui l’intero debito. La banca, quando il debitore principale ritarda o salta anche solo una rata, di solito invia comunicazione anche al garante. Se il mancato pagamento persiste, il creditore può legalmente richiedere al garante lo stesso importo dovuto, in forza del contratto di fideiussione che hai firmato. Nella maggior parte delle fideiussioni bancarie c’è la rinuncia al beneficium excussionis, il che significa che la banca può agire contro di te senza dover prima escutere il debitore principale. In pratica, tu sei considerato obbligato “in solido”. Appena il debitore è inadempiente, l’obbligazione diventa tua. Riceverai quindi solleciti e, se non paghi spontaneamente, la banca potrà ottenere un decreto ingiuntivo anche contro di te e procedere a pignorare i tuoi beni (conto, stipendio, ecc.) esattamente come farebbe verso il debitore originale. Pagando, tu ti surroghi nei diritti della banca: potrai rivalerti sul debitore principale per ciò che hai pagato (azione di regresso). Ma se quello non ha soldi, è una magra consolazione. Quindi il garante di fatto rischia patrimonialmente quanto il debitore: stipendio pignorato, casa ipotecata se il debito era grosso, e segnalazione in CRIF pure lui (le sofferenze spesso sono segnalate anche a nome dei garanti). Essere garante è un impegno serio. L’unico vantaggio è che alcune difese del debitore principale valgono anche per te: se ad esempio il contratto di finanziamento era nullo o è stato dichiarato usurario, anche tu come garante puoi opporre queste eccezioni (nullità di protezione). Però non puoi opporre situazioni personali tue (tipo “non potevo permettermelo” non è una scusa legale). Se il debitore principale fallisce (nelle imprese) o va in liquidazione, la banca continuerà a perseguire il garante al 100%. Quindi, se il debitore principale non paga, metti in conto di dover pagare tu. Puoi provare a sollecitare tu stesso il debitore a trovare una soluzione (rinegoziazione, piano del consumatore, ecc.) perché ti conviene evitare l’escussione. A volte conviene anche al garante proporre un saldo e stralcio personalmente: “pagherò X ora, liberate sia me che lui”. Se la banca accetta e libera entrambi, poi tu ti arrangerai col debitore per far valere la tua rivalsa (o te ne farai una ragione).

Domanda: Cosa significa “anatocismo”? Nel mio estratto conto vedo interessi su interessi.
Risposta: “Anatocismo” significa esattamente interesse composto, cioè far produrre interessi a interessi già scaduti. In un estratto conto bancario, ad esempio, vedi che ogni tre mesi gli interessi passivi maturati vengono addebitati sul conto capitale; da quel momento in poi, faranno cumulo e genereranno a loro volta interessi. Questo era prassi nelle banche, ma dal 2000 la giurisprudenza e poi la legge hanno strettamente limitato l’anatocismo. Oggi, su conti correnti e mutui, gli interessi scaduti possono essere capitalizzati solo una volta l’anno (e su base reciproca per attivi e passivi) . Inoltre, il nuovo art. 120 TUB impone che gli interessi di mora non generino altri interessi (devono restare separati) . Quindi, se sul tuo estratto conto noti interessi addebitati che successivamente generano altri addebiti, devi controllare la periodicità: se è mensile o trimestrale, probabilmente la banca ha applicato clausole nulle. Puoi contestarle e chiedere il ricalcolo. Su un mutuo, invece, il calcolo della rata avviene in regime composto (è così che funziona il piano di ammortamento “francese”), ma lì non c’è anatocismo illecito perché è un effetto matematico di rate costanti, noto fin dall’inizio e con tasso annuo dichiarato. L’anatocismo rilevante è più sui conti a revoca, scoperti, leasing con rate non pagate (in cui magari capitalizzano gli interessi di mora mese per mese – cosa vietata). In definitiva, se riscontri anatocismo non autorizzato, sappi che la legge lo vieta dal 2014 in poi e puoi pretendere la restituzione degli interessi anatocistici pagati indebitamente. Per il passato (ante 2000), c’erano cause per farsi restituire gli interessi anatocistici degli ultimi 10 anni, molte andate a buon fine per correntisti (la Cassazione considerò nulla la clausola di capitalizzazione trimestrale, da sempre). Oggi le banche hanno adeguato i contratti: capitalizzano al 31/12 e applicano interessi di mora solo sulla quota capitale. Se trovassi errori (es. interesse di mora calcolato anche sull’interesse scaduto), potresti eccepirli come indebito.

Domanda: Il tasso del mio prestito sembra altissimo, superiore al “tasso soglia”: posso farlo annullare per usura?
Risposta: Se il TAEG effettivo del tuo finanziamento (includendo tutte le spese) eccede il tasso soglia in vigore alla data della stipula, sì: la legge considera nulli gli interessi convenuti oltre soglia, applicando la sanzione di trasformare il prestito in senza interessi . Ciò non annulla l’intero contratto (dovrai restituire il capitale), ma ti esonera dal pagare interessi e altri oneri. La verifica però va fatta con precisione: bisogna prendere il TEGM pubblicato dal Ministero per il tipo di credito, aumentarlo del margine di legge (in genere 25% + 4 punti, oppure 8 punti se più basso) e confrontare con il tasso che davvero stai pagando. Spesso capita con cessioni del quinto, carte revolving e piccoli prestiti che i tassi siano al limite. Ad esempio, se la soglia era 18% annuo e tu paghi 22%, c’è usura originaria. Puoi sollevare questa eccezione in giudizio per non pagare interessi. Attenzione: la soglia considera anche le commissioni, spese e premi assicurativi connessi . A volte il tasso “nominale” sembra sotto soglia, ma se includi una costosa polizza CPI obbligatoria, si supera la soglia. In tal caso è comunque usura (Cass. 15114/2025 ha ribadito che anche le polizze facoltative ma contestuali vanno conteggiate ). Quindi fai calcolare il TAEG effettivo da un esperto. Se conferma lo sforamento, hai solide basi per ridurre il tuo debito agli soli interessi legali (in realtà, per art. 1815 c.c., nessun interesse è dovuto – alcuni tribunali concedono comunque gli interessi legali come risarcimento, ma la lettera di legge dice zero interessi). Tieni presente che la usura sopravvenuta (tassi che diventano usurari col tempo per abbassamento delle soglie) di per sé non dà diritto ad azzerare gli interessi: conta il momento in cui li hai pattuiti . Conta anche che se hai firmato una transazione o riconoscimento di debito successivo, potresti aver sanato la questione (ma di solito l’usura è inderogabile perché ha profili penali). In caso di esito positivo, potresti anche chiedere la restituzione di eventuali interessi usurari già pagati (capita, ad esempio, in mutui estinti anticipatamente dove era presente una penale usuraria: ti spetta la restituzione in teoria). Ricorda però che stabilire l’usura non è banale: è materia di perizie e talvolta di divergenze giurisprudenziali (es.: alcune corti includevano o meno gli interessi di mora nel calcolo; ora la Cassazione dice di sì, vanno considerati tutti gli interessi promessi ). È quindi cruciale avere un tecnico competente e, se vai in causa, un avvocato aggiornato sulla giurisprudenza più recente (spesso esce una Cassazione all’anno su questi temi).

Domanda: Ho ricevuto un decreto ingiuntivo per un finanziamento non pagato: posso ancora fare qualcosa o è troppo tardi?
Risposta: Se il decreto ingiuntivo ti è stato notificato da meno di 40 giorni, sei ancora in tempo per presentare opposizione (tramite avvocato). Dovrai contestare per iscritto le ragioni per cui non ritieni di dover pagare quanto ingiunto. Possono essere motivi formali (es. il credito era già prescritto) o motivi sostanziali (es. il conteggio include interessi usurari, oppure non ti spettano certe somme, o tu avevi diritto a una sospensione, ecc.). L’opposizione apre un giudizio durante il quale potrai far valere tutte le difese illustrate in questa guida (usura, anatocismo, clausole nulle, ecc.). Il giudice potrà sospendere l’esecuzione provvisoria (a volte i decreti sono provvisoriamente esecutivi, dipende) se le tue ragioni non sono pretestuose. È importante non perdere quel termine di 40 giorni: se lo superi, il decreto diventa definitivo. Se hai lasciato scadere il termine perché non sapevi dell’ingiunzione (ad es. notifica non andata a buon fine e hai scoperto il decreto solo dal precetto), puoi tentare un’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. spiegando i motivi del ritardo (es. notifica nulla). Non è garantito che il giudice te la conceda, ma tentar non nuoce se hai motivi seri. In fase di esecuzione forzata, poi, alcune cose si possono ancora fare: come detto sopra, se il decreto ingiuntivo è stato emesso su un contratto con clausole abusive e il giudice non le ha valutate, potrai sollevarle al giudice dell’esecuzione grazie alla recente Cassazione 2023 . Inoltre, puoi fare opposizione agli atti esecutivi per vizi formali (entro 20 gg dall’atto viziato) o opposizione all’esecuzione se ad es. il debito è già pagato o c’è stata transazione nel frattempo. Ma sono difese più limitate. Il consiglio è: se ti arriva un monitorio, non ignorarlo! Cerca subito assistenza legale per valutare l’opposizione. A volte basta anche solo comparire e ottenere un accordo transattivo in sede di causa (molte banche, una volta che fai opposizione e mostri di avere argomenti, preferiscono accordarsi). Se invece lasci correre, arriveranno precetto e pignoramento.

Domanda: Ho troppi debiti e non possiedo nulla di valore. Sono disperato: possono farmi qualcosa per tutta la vita?
Risposta: Se sei nullatenente e senza reddito aggredibile, nell’immediato i creditori non possono ricavare molto da te (non possono certo mettere in prigione per debiti, né toglierti quel che non hai). Il rischio è che rimangano pendenti per molti anni e magari, se un giorno troverai un lavoro regolare o erediterai un bene, sbucheranno fuori a pignorare. Una volta il debitore insolvente restava inseguito “a vita” (le prescrizioni possono essere interrotte e rinnovate…). Oggi però c’è una via d’uscita legale: la procedura di esdebitazione del sovraindebitato incapiente. Se davvero non hai nulla e non potrai pagare nulla neanche in futuro prossimo, puoi rivolgerti al tribunale (tramite OCC) chiedendo di essere esdebitato. Il giudice valuterà la tua meritevolezza (ad es., che non tu abbia colpa grave nell’esserti indebitato, o comunque che sei in buona fede) e il tuo stato di “incapienza” (nessun patrimonio liquidabile). Se tutto torna, emetterà un decreto che cancella i tuoi debiti in via straordinaria . Significa che i creditori non potranno più esigere nulla da te, legalmente. È un’opportunità notevole per “azzerare” e ripartire da capo. Devi però convincere il giudice che meriti questa cancellazione: ad esempio, se i tuoi debiti derivano da gioco d’azzardo o spese voluttuarie, potresti avere difficoltà a dimostrare meritevolezza (ma non è detto: conta se hai cercato di rimediare, se non hai commesso atti in frode, ecc.). In alternativa all’esdebitazione pura, potresti comunque passare da una liquidazione controllata: se hai anche pochi beni (tipo un’auto vecchia, qualche risparmio), li metti a disposizione, si chiude la liquidazione e poi esdebitazione sul resto. Queste procedure sono fatte proprio per evitare il cosiddetto “debtor’s prison” economico a vita. Pertanto la risposta è: no, non devi essere perseguitato per sempre. Il nostro ordinamento prevede la possibilità di liberarti legalmente dai debiti residui, a patto di essere trasparente e di utilizzare gli strumenti giuridici appositi. Anche se non vuoi o non puoi attivare una procedura formale, sappi che comunque un creditore non può ricavare sangue da una rapa: dopo anni di infruttuosa esecuzione, spesso accettano un saldo e stralcio simbolico o smettono di investire in cause. Inoltre i debiti si prescrivono: in genere in 10 anni (5 per interessi e rate scadute), se il creditore non attiva procedure. Se proprio non hai nulla da perdere, potresti anche attendere la prescrizione, ma è un gioco pericoloso perché ogni sollecito la interrompe. Meglio risolvere attivamente.

Domanda: Ho sentito parlare della “legge salva suicidi” per cancellare i debiti: di che si tratta?
Risposta: È il nome comune dato alla Legge 3/2012 sul sovraindebitamento, oggi incorporata nel nuovo Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019). In pratica, è quanto discusso poco fa: una normativa che consente ai privati cittadini, famiglie e piccoli imprenditori non fallibili di ridurre e cancellare i propri debiti attraverso procedure giudiziarie di ristrutturazione (piano del consumatore, accordo con i creditori) o liquidazione (liquidazione controllata). Viene chiamata “salva suicidi” perché, prima del 2012, chi si trovava sommerso dai debiti e non poteva fallire (perché non era imprenditore grande) non aveva alcuno strumento legale per liberarsene: poteva solo sperare nella carità dei creditori o nell’evasione. Questo portava in alcuni casi a drammi personali, anche suicidi appunto, di persone schiacciate dai debiti senza via d’uscita. La legge 3/2012 ha aperto uno spiraglio, dando ai giudici il potere di “tagliare” i debiti e dare al debitore una seconda possibilità . Dal 2015 in poi è entrata a regime e vi sono stati migliaia di casi di successo: persone che con un modesto piano (ad es. pagare il 10% in 4 anni) hanno risolto situazioni debitorie enormi, con l’omologa del tribunale. Oggi la legge è stata aggiornata nel 2020-2022 per essere ancora più accessibile (ad esempio eliminando il veto dei creditori sull’eventuale esdebitazione dell’incapiente). Dunque, se hai debiti multipli e la situazione sembra ingestibile, sappi che questa legge esiste ed è reale, funziona. Occorre rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) presente presso molti Ordini professionali o enti pubblici, oppure tramite un professionista esperto in crisi da sovraindebitamento che farà da gestore. Certo, non tutti vengono ammessi: devi rispettare i requisiti e non aver commesso atti di frode o malafede pesante. Ma tentar non nuoce: se hai i requisiti, potrai tornare “pulito” e ricominciare senza avere costantemente ufficiali giudiziari alla porta.

Domanda: Il mio debito è stato ceduto a una società di recupero crediti. Devo pagare a loro? Possono chiedermi più soldi?
Risposta: Se il tuo creditore originale (banca, finanziaria) ha ceduto il credito a un’altra società (spesso comunicato via posta), per la legge nulla cambia sull’importo dovuto: la cessione del credito (art. 1260 c.c. e segg.) trasferisce al nuovo creditore esattamente i diritti del precedente. Quindi, la società di recupero (cessionaria) non può applicare interessi o spese diverse da quelle pattuite nel contratto originario. Può però addebitare gli interessi di mora che continuano a maturare e le eventuali spese legali se hanno intrapreso azioni. Devi dunque considerare legittimo interlocutore la società cessionaria e pagare eventualmente a loro. Prima di pagare, verifica che ti abbiano notificato la comunicazione di avvenuta cessione (è un obbligo, art. 1264 c.c.): senza di essa, tu potresti ancora pagare al vecchio creditore liberandoti. Ma se ti è arrivata regolare lettera nominativa che Pinco Pallino Finance ha ceduto a AzzeccaGarbugli Srl, allora sei avvisato ufficialmente. Un consiglio: spesso le società di recupero crediti hanno acquistato il tuo debito a prezzo stracciato, quindi sono molto aperte a trattative di saldo e stralcio. Puoi proporre loro di chiudere tutto pagando, poniamo, il 50% o anche meno, soprattutto se il debito è vecchio e di difficile recupero. Loro fanno i loro calcoli e a volte accettano anche percentuali basse pur di incassare velocemente. Quindi sì, devi rivolgerti a loro adesso, ma hai anche una leva negoziale maggiore rispetto a quando trattavi con la banca (che di solito sta meno a discutere). Stai attento però: fatti mettere per iscritto ogni accordo, come sempre, e paga con mezzi tracciabili. Occhio anche alla prescrizione: la cessione non interrompe i termini, li interrompe il riconoscimento o gli atti. Capita che certi debiti ceduti siano molto vecchi e magari prescritti: prima di pagare, controlla se per caso è passato tanto tempo senza atti. In tal caso, potresti eccepire la prescrizione e non dover pagare nulla. Le società di recupero a volte ci provano comunque a incassare su crediti prescritti confidando che il debitore non lo sappia. Consulta un legale se hai dubbi.

Domanda: Quali beni non mi possono pignorare assolutamente?
Risposta: Per fortuna la legge elenca diversi beni impignorabili. Sono impignorabili in senso assoluto (art. 514 c.p.c.): gli effetti personali e di casa indispensabili (letto, tavolo, armadio, frigorifero, fornelli, lavatrice – uno per tipo; se hai 3 TV, 2 le pigliano eventualmente, una no), i vestiti, le cose sacre, gli strumenti di lavoro indispensabili (nei limiti dell’essenziale per esercitare la professione, es. se sei falegname non ti prendono l’unico set di attrezzi, ma se ne hai dieci magari uno sì) . Non sono pignorabili le indennità di invalidità civile e in genere i sussidi di sostentamento pubblico . Non sono pignorabili neanche gli animali da compagnia tenuti in casa per affetto (non per reddito) – questa è una norma introdotta nel 2015: quindi cani, gatti e simili non si toccano. Non ti possono pignorare l’anello nuziale o ricordi di famiglia di scarso valore commerciale. Altra cosa: se un bene è in comproprietà con persone estranee al tuo debito (es. sei comproprietario di un immobile con tuo fratello che non c’entra), il creditore può pignorarlo comunque, ma la procedura è più complessa perché andrà a vendere solo la tua quota. In molti casi pratici, i creditori evitano di pignorare beni di scarso valore o difficilmente liquidabili (un quadro senza valore, mobili usati – ormai i bailiff neanche li guardano perché all’asta fruttano quasi zero). Sappi però che se in casa hai beni di lusso (quadri d’autore, impianti costosi, gioielli), quelli sì li prendono. Altri limiti importanti: stipendio e pensione come dicevamo sono pignorabili solo in parte (massimo il quinto per crediti normali) ; la pensione va lasciata con un minimo vitale intoccabile (circa 750 €). I conti correnti cointestati sono pignorabili al 50% (presunzione di comunione a metà, poi il cointestatario non debitore può provare diversa appartenenza). La prima casa non ipotecata non ha tutele contro creditori privati, mentre per il fisco esistono dei paletti (se è unica casa, non di lusso, e il debito fiscale < €120k, Agenzia Entrate Riscossione non può pignorarla; ma potrebbe iscrivere ipoteca di garanzia). Insomma, i creditori non possono toglierti le cose essenziali per vivere dignitosamente e lavorare. Questo principio è costituzionale. Quindi, ad esempio, non possono portarti via tutte le sedie di casa (te ne lasciano almeno una per commensale), non possono portarti via il frigo o la stufa perché servono per la vita quotidiana. Se lo fanno, l’atto è nullo e impugnabile. In pratica, al giorno d’oggi i pignoramenti mobiliari in casa sono rari e si concentrano su pochi beni di valore (TV, PC, ecc.). Più spesso puntano a stipendio/pensione o casa.

Domanda: Posso vendere i miei beni per non farli pignorare?
Risposta: Farlo dopo che il debito è scaduto (o peggio dopo che hai ricevuto atti giudiziari) è molto pericoloso: il creditore può agire in revocatoria e far dichiarare inefficace la vendita se avviene entro 5 anni . Se vendi a un parente o a un amico compiacente a prezzo basso, la revoca è quasi certa (atto a titolo gratuito o con malafede nota). Anche la vendita a prezzo di mercato, se l’acquirente sapeva dei tuoi debiti, può essere revocata. Inoltre, se lo fai dopo un atto di pignoramento, rischi addirittura il penale per sottrazione di beni pignorati (art. 388 c.p.). Insomma: no, non conviene fare i furbi all’ultimo. Piuttosto, se hai beni vendibili, vendili in accordo coi creditori: ad esempio informali che intendi vendere l’auto per pagare loro – la venderai bene e userai i proventi per chiudere il debito (così nessuno te la revoca). Se invece alieni i beni di nascosto, i creditori lo verranno a sapere (tramite registri immobiliari, PRA, ecc.) e ti faranno causa (allungando i tempi e i costi, ma alla fine annullando l’atto). Una strategia più corretta è: converti il pignoramento in denaro (art. 495 c.p.c.), cioè chiedi al giudice di sostituire i beni con una somma che reperisci (magari vendendo tu i beni ma depositando il prezzo in tribunale). Questa è la via legale. Vendere e far sparire i soldi è invece illecito.

Domanda: Dopo quanti anni si prescrive un debito bancario?
Risposta: Di regola, i diritti di credito derivanti da contratto si prescrivono in 10 anni (art. 2946 c.c.), salvo che la legge preveda un termine più breve. Nel caso di finanziamenti rateali, c’è una particolarità: le singole rate non pagate (che includono quote interessi) potrebbero considerarsi prestazioni periodiche e quindi soggette a prescrizione quinquennale (art. 2948 n.4 c.c.). La giurisprudenza ha opinioni sfumate: c’è chi dice 5 anni per le rate scadute, 10 per il capitale residuo. Ad ogni modo, se tu non paghi nulla e la banca non ti cerca per 10 anni, sicuramente il debito è prescritto. Più realisticamente, le banche interrompono la prescrizione con raccomandate o PEC di messa in mora, o atti giudiziari, quindi è difficile che decorrano 10 anni netti. Anche i decreti ingiuntivi una volta emessi, se definitivi, fanno decorrere un nuovo termine di 10 anni (prescrizione del titolo giudiziale). Un discorso a parte: se il credito è bancario da conto corrente, la Cassazione ha stabilito che la prescrizione inizia a decorrere dalla chiusura del conto (per le rimesse solutorie in conto, insomma conti aperti da anni etc.), quindi non dalle singole annotazioni – tema tecnico. Per il mutuo, la prescrizione è 10 anni dalla scadenza di ciascuna rata per gli interessi e dalla scadenza del piano per il capitale (oppure dalla decadenza dal termine se dichiarata). Quindi, diciamo, 5 o 10 anni a seconda dei casi. Detto ciò, se un debito è “dormiente” da oltre 10 anni e nessuno l’ha mai richiesto formalmente, puoi ritenere probabile la prescrizione. Attenzione: una raccomandata di messa in mora interrompe e fa ripartire da capo i termini (art. 2943 c.c.). Anche un semplice atto stragiudiziale, se provato, interrompe. Quindi i creditori tengono in vita i crediti con solleciti regolari. La prescrizione è una difesa del debitore: non avviene automaticamente, la devi eccepire tu se ti chiedono il pagamento di un credito antico. Il giudice infatti non la dichiara d’ufficio. Quindi, se ricevi una lettera per un debito di 15 anni fa, rivolgiti a un legale per rispondere eccependo la prescrizione maturata: spesso a quel punto lasciano perdere.

Domanda: Se faccio la procedura di sovraindebitamento, perdo tutti i miei beni?
Risposta: Dipende dalla procedura. Nel Piano del consumatore o Accordo di ristrutturazione, tu proponi chiari termini: magari tieni la casa e continui a pagare il mutuo, però decurti gli altri debiti pagando solo una percentuale. Quindi potresti non perdere alcun bene, se il piano lo prevede e se è sostenibile. Ad esempio, se riesci a pagare una certa somma mensile ai creditori attingendo dal tuo stipendio, nessuno ti toglierà l’auto o la casa. L’importante è che il piano offra ai creditori il massimo che puoi dare senza intaccare il “minimo vitale” e che i creditori stiano meglio che dall’esecuzione. Spesso i piani salvano l’abitazione prevedendo che il debitore continui a pagare il mutuo ipotecario regolarmente (magari allungandolo) e nel frattempo paghi parzialmente gli altri con un fondo famigliare. Invece, nella Liquidazione controllata, sì, i beni sono venduti: è come un fallimento. Però potresti scegliere di liquidare giusto alcuni beni e tenere quelli impignorabili e forse anche qualcosa di necessario. Ad esempio, il giudice può esentare dalla liquidazione i beni di modesto valore non strategici per soddisfare i creditori. Inoltre, prima di avviare, potresti vendere tu la casa a un parente (in quel caso stai facendo tu la liquidazione, occorre farlo in accordo col liquidatore per non invalidare l’atto). Insomma, la liquidazione punta a dare tutto ai creditori, ma c’è flessibilità su cosa realizza veramente. E ricorda che comunque alla fine c’è l’esdebitazione: meglio perdere qualche bene ma azzerare €300k di debiti, che tenere la casa e avere €300k di debiti che ti perseguono a vita (è un ragionamento doloroso ma da fare). Nota: in sede di piano, se i debiti sono enormi e tu hai una casa modesta, spesso i creditori e il giudice ti fanno vendere la casa come parte del piano. Per esempio: hai debiti per €200k, casa vale €100k, reddito modesto – probabilmente per avere un piano approvato dovrai mettere in vendita la casa e dare quell’importo ai creditori, poi sul resto chiedere lo stralcio. Se invece i debiti sono piccoli, magari riesci a tenerla pagando un po’ alla volta. Ogni caso è a sé. Bisogna fare i conti. Un professionista OCC può simulare il tuo “settlement” ottimale.

Esempi pratici di situazioni di debito e soluzioni

Di seguito presentiamo alcune simulazioni basate su casi reali (con nomi di fantasia) per illustrare come può evolvere una situazione di finanziamento non pagato e quali soluzioni sono state adottate.

  • Esempio 1: Prestito personale e saldo a stralcioLuigi ottiene un prestito personale di €20.000 nel 2019. Paga regolarmente per un anno, poi perde il lavoro e smette di pagare con €15.000 di debito residuo. La finanziaria invia solleciti, segnala Luigi al CRIF e dopo 4 rate insolute gli revoca il beneficio del termine chiedendo €15.500 (capitale + interessi di mora). Luigi, disoccupato, non paga. Nel 2021 la finanziaria cede il credito a una società recupero crediti per €3.000. La società contatta Luigi, che nel frattempo ha trovato un nuovo impiego ma ha anche altri debiti. Luigi, tramite un legale, tratta un saldo e stralcio: si accorda per pagare €5.000 in un’unica soluzione alla società recupero, che accetta di cancellare il restante debito di €10.500. Luigi ottiene per iscritto la liberatoria. Grazie all’aiuto di un familiare, versa €5.000 e chiude la posizione. La segnalazione in CRIF rimarrà ancora sino al 2025 (36 mesi dalla data di fine prevista del prestito), ma comparirà come “finanziamento chiuso/rimborsato”. Luigi ha perso l’accesso al credito per alcuni anni, ma ha risparmiato oltre €10.000 sul debito.
  • Esempio 2: Mutuo ipotecario rinegoziato vs. all’astaAnna ha un mutuo sulla prima casa. A seguito di gravi spese mediche, accumula 8 rate non pagate. La banca, rispettati i requisiti di legge (7 rate scadute oltre 30 gg), risolve il mutuo ex art. 40 TUB e chiede tutto il residuo (€120.000). Anna prova a vendere la casa privatamente per saldare la banca, ma non trova acquirenti in tempo. La banca avvia il pignoramento immobiliare nel 2020. Intanto però Anna trova un acquirente disposto a pagare €100.000 per la casa. Con l’aiuto del suo avvocato, chiede al giudice dell’esecuzione la sospensione dell’asta segnalando la trattativa privata. La banca, vista la proposta, accetta di rinegoziare: Anna vende privatamente la casa per €100.000, di cui €95.000 vanno alla banca a saldo (la banca abbuona circa €25.000 di interessi moratori e spese per chiudere subito). L’esecuzione viene estinta. Anna perde la casa, ma evita l’asta (che probabilmente avrebbe venduto a €70.000 lasciandola comunque debitrice per la differenza). In un caso analogo, Bruno invece non riesce a trovare acquirenti e l’asta va avanti: la casa viene aggiudicata a €80.000, la banca prende il ricavato ma rimane un debito scoperto di €40.000 (interessi, spese legali). Bruno a quel punto ricorre alla procedura di liquidazione controllata per liberarsi di quel debito residuo non coperto dall’asta: non avendo altri beni, dopo la vendita della casa e 0 surplus, il giudice lo esdebita.
  • Esempio 3: Cessione del quinto e assicurazioneCarlo ha una cessione del quinto in corso quando viene licenziato. Restano €7.000 di debito. La polizza rischio impiego collegata interviene e rimborsa la finanziaria. L’assicurazione però, in surroga, chiede a Carlo la somma pagata. Carlo, ora disoccupato, non riesce a pagare subito. L’assicurazione ottiene un decreto ingiuntivo. Carlo, controllando il contratto, nota che non gli era stato consegnato il modulo SECCI né indicato chiaramente il TAEG. Il suo avvocato fa opposizione al decreto ingiuntivo eccependo la nullità di alcune clausole ex art. 125-bis TUB (costi non computati). Durante il giudizio, l’assicurazione accetta di ritirare la causa in cambio di €4.000 transattivi. Carlo ottiene da parenti questa somma e salda, risparmiando €3.000.
  • Esempio 4: Sovraindebitamento del consumatoreDebora era caduta nella spirale di prestiti: 5 diversi finanziamenti per complessivi €100.000 con rate mensili totali insostenibili, più varie bollette arretrate. Stipendio di €1.600, casa in affitto, niente patrimonio. Nel 2022, tramite un OCC, presenta un Piano di ristrutturazione dei debiti: propone di pagare €400 al mese per 5 anni (totale €24.000) ripartiti proporzionalmente tra i creditori, impegnandosi a versare anche eventuali bonus stipendio e a mantenere un tenore di vita frugale. I creditori vengono convocati; qualcuno è contrario, ma poiché per legge il giudice può omologare se il piano è fattibile e Debora meritevole (lo è, i debiti erano derivati da spese mediche e disoccupazione temporanea), nel 2023 il piano viene omologato dal Tribunale. I creditori chirografari subiscono uno stralcio del 76% circa. Debora paga puntualmente le 60 rate del piano; nel 2028, ottenuto l’attestato di esdebitazione, sarà libera dal debito residuo di €76.000. Durante la procedura, i pignoramenti avviati (uno stipendio e uno sul conto) sono stati sospesi dal giudice.
  • Esempio 5: Conto corrente e anatocismoImpresa X nel 2010 aveva un conto con affidamento di €50.000. Nel 2015 la banca recede e chiede il rientro di €60.000. L’impresa contesta che negli estratti conto ci sono €10.000 di interessi anatocistici capitalizzati trimestralmente in violazione delle delibere CICR. Fa fare una perizia contabile che ridetermina il saldo senza anatocismo in €48.000. In giudizio, il tribunale accerta che dopo il 2000 la clausola di capitalizzazione trimestrale era nulla e applica la capitalizzazione annuale fino al 2014 e zero oltre . Ne risulta che il dovuto è €49.000. Inoltre nota che la commissione di massimo scoperto non era stata pattuita per iscritto: anche quella è azzerata. Il credito della banca viene ridotto e il giudice compensa le spese (nessun condannato a pagare spese legali). L’impresa X paga i €49.000 in 6 mesi e la causa si chiude con una transazione.

Questi esempi evidenziano come sia cruciale attivarsi e utilizzare gli strumenti giusti (legali o negoziali) caso per caso. Ogni situazione di insolvenza può essere affrontata in modo strategico, riducendo i danni per il debitore e arrivando a una soluzione sostenibile, pur nei limiti imposti dalla legge e dai diritti dei creditori.

Conclusione

Trovarsi con un finanziamento non pagato è una circostanza difficile, ma non deve essere motivo di panico o rassegnazione. Conoscere cosa succede – dai primi interessi di mora fino alle eventuali azioni esecutive – permette di affrontare la situazione con lucidità. Sapere cosa fare – comunicare con i creditori, verificare la correttezza del contratto, esplorare accordi e strumenti di composizione – può fare la differenza tra un problema risolvibile e una crisi irreversibile. Infine, capire come difendersi legalmente – attraverso le eccezioni di usura, anatocismo, clausole vessatorie, prescrizione o mediante le procedure di sovraindebitamento – restituisce al debitore un ruolo attivo e una speranza di soluzione.

Dal punto di vista giuridico, l’ordinamento italiano offre oggi un ventaglio di tutele avanzate per il debitore onesto ma in difficoltà. Le banche e finanziarie hanno sicuramente strumenti forti per recuperare i crediti, ma devono rispettare regole di trasparenza e limiti di legge; in caso contrario, il debitore può far valere i suoi diritti in sede giudiziale ottenendo anche la nullità di pretese illegittime. Inoltre, la filosofia più recente del legislatore – incarnata dalla riforma del 2020 della legge salva-suicidi – è quella di dare una seconda opportunità a chi è sovraindebitato, senza più l’idea che il debito sia una colpa imperdonabile.

In pratica, se vi trovate con rate arretrate o un finanziamento che non riuscite più a pagare, il consiglio è: affrontate subito la situazione, non aspettate che peggiori. Fatevi assistere da professionisti esperti (avvocati, OCC) per scegliere la strada migliore. Ogni caso è diverso: c’è chi risolverà con un semplice piano di rientro concordato, chi dovrà ricorrere a un giudice per tagliare interessi usurari, chi beneficerà di un saldo e stralcio e chi invece passerà da una procedura di esdebitazione per ripartire da zero. L’importante è non cadere nell’irregolarità (ad esempio spostare beni in modo fraudolento) e non affidarsi a soluzioni miracolose ma illegali. Usate, invece, gli strumenti legali a disposizione: spesso esiste una via d’uscita, anche quando la situazione sembra disperata.

Ricordate infine che ogni creditore preferisce un accordo a un lungo contenzioso: mostrarsi collaborativi (senza rinunciare ai propri diritti) può facilitare una soluzione. Dall’altro lato, non abbiate timore di far valere i vostri diritti di consumatori e debitori: interessi illegali, costi occulti, errori contrattuali non vanno accettati passivamente solo perché “lo dice la banca”. I tribunali italiani, corroborati da numerose sentenze di legittimità citate in questa guida, hanno più volte dato ragione ai debitori quando vi erano gli estremi (ad esempio annullando interessi usurari o sanzionando clausole abusive ).

In conclusione, la miglior difesa del debitore è la conoscenza: conoscenza dei propri contratti, delle leggi vigenti, delle sentenze chiave e delle opzioni percorribili. Con questa guida – completa di fonti normative e giurisprudenziali aggiornate – speriamo di aver fornito un utile strumento in tal senso.

Ricordate: di fronte a un finanziamento non pagato, cosa succede lo possiamo in gran parte prevedere; cosa fare dipende da noi; e come difendersi è un diritto che va esercitato con intelligenza e tempestività.

Fonti normative e giurisprudenziali (Italia, aggiornate al 2025)

Normativa di riferimento:
Codice Civile: artt. 1218 (inadempimento contrattuale), 1241 ss. (compensazione), 1282-1284 (interessi, interessi moratori legali), 1283 (divieto di anatocismo se non alle condizioni di legge), 1346 (determinabilità dell’oggetto, rilevante per TAEG omessi), 1418 (nullità per contrarietà a norme imperative, es. usura), 1815 c.2 (interessi usurari = non dovuti) , 1186 (decadenza dal termine per insolvenza del debitore) , 1224 (interessi moratori, risarcimento in caso di nullità clausola di mora usuraria) , 1469-bis/ter (ora trasfusi artt. 33-36 Cod. Consumo sulle clausole vessatorie) , 167-170 (fondo patrimoniale e impignorabilità per debiti estranei ai bisogni familiari) , 1936-1957 (fideiussione, beneficium excussionis eventuale), 2740 (responsabilità patrimoniale del debitore “con tutti i suoi beni presenti e futuri”), 2901 (azione revocatoria ordinaria, atti a titolo oneroso o gratuito in pregiudizio creditori), 2929-bis (espropriazione diretta beni donati a congiunti senza revocatoria).
Codice Penale: art. 644 (reato di usura: definizione di interessi usurari e sanzione penale, rilevante anche civilmente per identificare usura originaria) ; art. 388 c.2 (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, applicabile a chi distrae beni dopo esecuzione avviata).
Codice di Procedura Civile: artt. 474 ss. (titoli esecutivi, esecuzione forzata), 480 (atto di precetto), 491 ss. (pignoramento in generale), 543 ss. (pignoramento presso terzi), 555 ss. (pignoramento immobiliare), 514 (cose mobili assolutamente impignorabili: alimenti, letti, indumenti, etc.) , 515 (cose relativamente impignorabili: ad es. mobili di casa in parte, strumenti di lavoro nei limiti), 545 (limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni: massimo 1/5 per crediti ordinari; minimo vitale su pensioni; regole per pignoramenti multipli e crediti alimentari) , 546 (obblighi del terzo pignorato, es. banca), 615 (opposizione all’esecuzione, motivi sostanziali), 617 (opposizione atti esecutivi, vizi formali, entro 20 gg), 624-bis (sospensione dell’esecuzione per accordo parti, utile in caso di trattativa saldo e stralcio in corso), 650 (opposizione tardiva a decreto ingiuntivo per casi particolari, incluse clausole abusive non valutate) , 668 (conversione del pignoramento pagando importo dovuto + 10% cauzionale, oggi 20%).
Legge 108/1996 (antiusura): definisce il tasso soglia usura (TEGM x 1,25 + 4 punti, ora modificato in TEGM + 1/4 + 4 p.p., oppure +8 p.p. se inferiore; art. 2 L.108/96); modifica art. 1815 c.c. e art. 644 c.p. rendendo nullo ogni patto di interessi usurari . Stabilisce anche il Fondo di solidarietà vittime dell’usura e il fondo di prevenzione usura (garanzie dello Stato su prestiti a sovraindebitati “meritevoli”).
D.L. 394/2000 conv. L. 24/2001: interpretazione autentica dell’usura: “per la determinazione del carattere usurario degli interessi si tiene conto del momento in cui sono promessi o convenuti, a qualunque titolo” (esclude usura sopravvenuta) .
Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993):
Art. 40 TUB: disciplina la decadenza dal beneficio del termine nei mutui fondiari: ritardato pagamento 7 volte (30-180 gg di ritardo) o ritardo >180 gg = banca può invocare risoluzione . Norma imperativa per banche (Cass. 14702/2024 ha chiarito che deroga artt. 1453 e 1186 c.c. in mancanza dei presupposti) .
Art. 41 TUB: (procedura esecutiva accelerata mutui fondiari – titolo esecutivo su base di contratto e estratto conto).
Art. 117 TUB: obbligo di forma scritta e consegna copia contratti bancari, nullità di protezione per omessa indicazione tassi, prezzi e condizioni (commi 1-4); se interessi, commissioni o spese non sono determinati nel contratto, sono dovuti in misura prevista da norme secondarie: tipicamente, interessi al tasso BOT minimo annuale (ex commi 6 e 7) . Es.: TAEG non indicato in contratto di mutuo = interesse sostituito dal tasso BOT annuo.
Art. 120 TUB: (vecchia formulazione) demandava a CICR regole su anatocismo; nuova formulazione (dal 2014): “gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori, nelle successive operazioni di capitalizzazione, calcolati solo sul capitale” . Di fatto, divieto di anatocismo infrannuale. La L. 147/2013 art. 1, c. 629 ha imposto dal 1/1/2014 l’applicazione del nuovo regime anche in assenza di delibera CICR (Cass. 21344/2024 conferma operatività immediata) . Delibera CICR 2000 (ante 2014) consentiva capitalizzazione purché stessa periodicità per dare/avere ; Istruzioni Banca d’Italia 2016: capitalizzazione annuale e divieto interessi composti su mora.
Art. 125-bis TUB: disciplina del credito ai consumatori (recepisce Dir. 2008/48/CE), importante per trasparenza:
– Comma 1: obbligo di valutazione credito e informativa precontrattuale (SECCI).
– Comma 6: nullità di protezione di clausole che prevedono oneri a carico del consumatore non espressamente indicati nel contratto o nel documento di SECCI. Es: se TAEG pubblicizzato non include un costo poi addebitato, quel costo è nullo .
– Comma 7: se mancano indica di tasso o altri prezzi, si applicano in sostituzione: tasso nominale BOT (se manca tasso interesse) o tasso legale; se mancano importi di spese, non dovute. In pratica: contratto incompleto = credito gratuito o a tasso ridotto .
– Comma 8: nullità di protezione azionabile solo dal consumatore.
– Comma 9: se il contratto di credito consumo è dichiarato nullo (per causa non formale, es. estorsione, usura…), il consumatore deve restituire solo capitale senza interessi né spese (principio generale) .
Art. 128-quater TUB: (aggiunto dal D.Lgs. 11/2010) diritto del cliente a chiedere la sospensione segnalazioni in SIC in caso contestazione dell’esattezza dei dati.
Art. 120-quinquiesdecies TUB: recesso e decadenza dal termine nei contratti di credito ai consumatori (recepisce Dir. 2021/2167 per i creditori), in vigore dal 2021: prevede che in caso di inadempimento del consumatore, il finanziatore può esigere il pagamento anticipato delle somme dovute solo se espressamente previsto nel contratto e a fronte di mancato pagamento di almeno 6 rate mensili o equivalente (oppure 2 rate se periodicità diversa). È una norma nuova (Attuazione Dir. 2019/771 e 2019/770 – di cui al D.Lgs. 170/2022 e D.Lgs. 173/2022). Simile all’art. 40 TUB ma generalizzato ai crediti consumo. Potrebbe ridurre le decadenze arbitrarie.
Codice del Consumo (D.Lgs. 206/2005): artt. 33-36 disciplinano le clausole vessatorie nei contratti B2C: elenco di clausole presuntivamente vessatorie (es. limitazione di difese del consumatore, risarcimenti e penali eccessivi a suo carico, ecc.). Prevista la nullità della clausola vessatoria (nullità parziale a vantaggio del consumatore) . Il giudice può rilevarla d’ufficio e la nullità non richiede che il consumatore abbia subito un danno effettivo (basta lo squilibrio potenziale). Sent. Cass. SU 9479/2023 ha rafforzato la necessità di controllo anche d’ufficio in fase monitoria ed esecutiva .
Legge 3/2012 (sovraindebitamento) – ora abrogata e sostituita dal Codice della Crisi: introduce le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento: Piano del consumatore, Accordo con i creditori, Liquidazione del patrimonio, e dopo modifica 2020 anche Esdebitazione del debitore incapiente. Prevede condizioni di accesso (debiti non derivanti da attività imprenditoriale grande, meritevolezza) e effetti (sospensione esecuzioni, esdebitazione finale). Legge 3/2012, art. 12-bis: omologazione piano del consumatore anche senza voto creditori, se giudice valuta fattibilità e meritevolezza .
D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, CCII): entrato in vigore definitivo nel 2022, Titolo II Capo II disciplina il sovraindebitamento: – Artt. 65-73: Ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore) – criteri di ammissibilità e omologazione (il giudice omologa se verifica meritevolezza o anche solo assenza di dolo/colpa grave e convenienza per creditori rispetto alla liquidazione). – Artt. 74-83: Concordato minore (ex accordo composizione) – necessita voto maggioranza crediti 60%, possibile cram-down su creditori dissenzienti se omologato con percentuali inferiori per classi. – Artt. 268-277: Liquidazione controllata del sovraindebitato – simile a liquidazione giudiziale, nomina liquidatore, vendita beni, riparto; conclusione con possibile esdebitazione. – Art. 278-284: Esdebitazione del debitore incapiente – procedura per debitore persona fisica nullatenente che offre <10% crediti chirografari e nessuna utilità, consente esdebitazione immediata salvo obbligo pagamento se sopravvengono utilità nei 4 anni . – Art. 282: presupposti esdebitazione incapiente – importo debiti < €150.000, assenza atti in frode negli ultimi 5 anni, ecc., e “meritevolezza” (non aver colposamente determinato sovraindebitamento). – Art. 283: effetti esdebitazione incapiente – i creditori non possono più procedere (salvo riapertura se emergono attivi rilevanti entro 4 anni). – Art. 277: esdebitazione a fine liquidazione controllata – cancella i debiti residui. – Art. 69: meritevolezza del consumatore – definisce quando il consumo non è meritevole (es. ricorso doloso al credito senza prospettive di rimborso, colpa grave). – Art. 270: in caso di procedure concorsuali, i crediti eventualmente rimasti insoddisfatti dopo chiusura sono estinti per esdebitazione (salvo eccezioni come debiti alimentari, risarcimenti danni da illecito extracontrattuale, etc.).

Giurisprudenza rilevante (Corte di Cassazione):
Cass., Sez. Un. Civ., 13/09/2018 n. 16303: principi in materia di usura bancaria: ha stabilito che tutte le voci di costo collegate al credito vanno considerate ai fini dell’usura (ex art. 644 c.p.) e che i decreti ministeriali che escludono alcune componenti dal calcolo TEGM non possono derogare alla legge . Ha escluso la configurabilità di “usura sopravvenuta” civilistica: il superamento del tasso soglia in corso di rapporto non determina nullità, conta il momento della pattuizione .
Cass., Sez. Un., 18/09/2020 n. 19597: (clausole claims made in assicurazioni) – per analogia sull’abusività: afferma potere del giudice di rilevare d’ufficio nullità di protezione.
Cass., Sez. Un., 06/04/2023 n. 9479: importante su clausole abusive e decreti ingiuntivi non opposti. Ha stabilito che il giudicato del monitorio non impedisce la tutela successiva del consumatore su clausole abusive: il giudice deve verificare d’ufficio in fase monitoria e, se non fatto, il G.E. deve permettere opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. per far valere tali clausole . Ha anche ribadito la necessità del contraddittorio del coniuge non debitore in revocatoria fondo patrimoniale, e la natura gratuita del fondo ai fini revocatori .
Cass., Sez. Un., 31/01/2022 n. 2888: (credito fondiario vs fallimento) – ha chiarito alcuni aspetti su art. 41 TUB ma non direttamente rilevante qui se non per confermare specialità del mutuo fondiario.
Cass., Sez. I, 22/10/2019 n. 27018: su TAEG/ISC errato: negata nullità contratto se TAEG difforme, salvo casi specifici di nullità previste da art. 125-bis TUB . Orientamento seguito da altre pronunce nel 2020-2023 che escludono la nullità integrale o parziale per mero TAEG difforme, applicando invece tasso sostitutivo BOT solo se manca indicazione ex lege .
Cass., Sez. I, 01/02/2023 n. 3045: (opposizione a decreto ing. – clausole abusive) – conferma in parte preludio a SU 2023.
Cass., Sez. I, 15/03/2023 n. 7015: (fondo patrimoniale – onere prova): in linea con Cass. 2711/2024, onere a carico debitore di provare estraneità e conoscenza del creditore.
Cass., Sez. I, 03/02/2022 n. 3380: (polizze abbinate – usura): richiamata SU 16303/18, conferma inclusione polizze facoltative contestuali nel calcolo usura.
Cass., Sez. I, 13/05/2020 n. 9140: (anatocismo contratti pre-2000): dichiarato che clausole anatocistiche pre delibera CICR 2000 sono radicalmente nulle dopo incostituzionalità art. 25 co.3 L.342/99, e che adeguamento in G.U. non basta a validarle .
Cass., Sez. I, 30/07/2024 n. 21344: (anatocismo bancario) – ha enunciato principio di diritto: “Art. 120, c.2 TUB come modif. da L.147/2013 vieta anatocismo dal 1/12/2014 indipendentemente dall’emanazione della delibera CICR prevista” . Accolto ricorso di associazione consumatori contro banche, affermando illegittimità capitalizzazione interessi nel periodo 2014-2016 senza delibera (ribaltando appello).
Cass., Sez. I, 04/11/2024 n. 28215: (anatocismo – adeguamento contratti al 2000) – conferma orientamento che per contratti di conto precedenti, la pubblicazione in G.U. di nuove condizioni non sana clausole nulle se peggiorative .
Cass., Sez. I, 27/05/2024 n. 14702: (decadenza dal termine mutuo fondiario) – Massima: se il mutuatario è inadempiente ma non ricorrono requisiti speciali art. 40 TUB (7 rate), la banca può invocare clausola risolutiva solo provando uno dei presupposti art. 1186 c.c. (insolvenza o diminuzione garanzie) . Nella specie, la banca non aveva provato insolvenza, quindi risoluzione anticipata negata. Conferma che art. 40 TUB è speciale e fuori da quelle condizioni serve prova dell’insolvenza.
Cass., Sez. I, 15/03/2024 n. 7516: (fondo patrimoniale) – su onere della prova: simile a Cass. 2711/24 (anche Cass. 2711/2024 infra).
Cass., Sez. I, 02/02/2024 n. 2711: (fondo patrimoniale – azione revocatoria) – ha statuito che il debitore opponente deve provare non solo che il debito era estraneo ai bisogni familiari, ma anche che il creditore lo sapeva . Inoltre conferma litisconsorzio necessario coniuge non debitore nelle cause sul fondo .
Cass., Sez. III, 14/04/2021 n. 9769: (clausole penali in mutui) – ha ritenuto vessatoria la clausola che subordinava la surroga del mutuo (portabilità) al pagamento di un’indennità, in quanto ostacola diritto di surrogazione (pratica vietata dal DL Bersani 2007). SU 9479/23 tocca anche questo (citando che clausole che vincolano diritto di surroga sono abusive) .
Cass., Sez. I, 10/02/2022 n. 4197: (fideiussioni “ABI” antitrust) – se rilevante: collaterale, ma tutela garante contro clausole nulle per intesa anticoncorrenziale (nullità parziale).
Cass., Sez. VI-III, 01/02/2021 n. 2275: (segnalazione in CRIF illegittima) – afferma risarcibilità danno da illegittima segnalazione se mancano presupposti o preavviso.
Cass., Sez. III, 17/04/2019 n. 10447: (danno morale da eccessi recupero crediti) – condanna recuperatore per molestie ex art. 2043.
Cass., Sez. I, 13/09/2017 n. 21142: (usura sopravvenuta) – conferma irrilevanza ai fini nullità: se tassi diventano superiori soglia dopo, possibile solo riduzione equitativa interessi se richiesto ex art. 1467 c.c.
Cass., Sez. I, 19/10/2017 n. 24675: (interessi moratori usura) – afferma che anche interessi di mora soggiacciono a L.108/96 e che la soglia mora va calcolata includendo margine specifico.
Cass., Sez. I, 05/04/2017 n. 8980: (clausole mutuo e trasparenza) – esclude nullità contratto per mancata indicazione ISC se comunque consegnato documento di sintesi e pattuiti tassi (prev. art. 117 TUB commi 6-7 come tutela sufficiente).

Fonti istituzionali e documenti:
Banca d’Italia – TEGM e soglie usura: Decreti trimestrali MEF pubblicati in G.U. con tassi medi e soglie; Istruzioni B.I. 2006 e 2016 per rilevazione TEGM (quest’ultime escludono interessi di mora dal calcolo TEGM, ma Cass. ribadisce che questo non incide su definizione usura ex lege) .
Banca d’Italia – “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari” (Ultime Istruzioni 2019): definisce modalità calcolo ISC/TAEG e obblighi informativi.
CICR (Comitato Interministeriale Credito e Risparmio) Delibera 9/02/2000: regolamentava anatocismo pre-2014: periodicità stessa per dare/avere, adeguamento contratti ante 2000 via pubblicazione G.U. entro 30/6/2000 .
Delibera CICR 22/04/2020: (in attuazione DL 18/2020) – moratoria Covid per mutui prima casa (Fondo Gasparrini esteso anche autonomi).
Autorità Garante Privacy – Provv. n. 163/2019 (Codice condotta SIC): disciplina tempi di conservazione e obbligo preavviso 15 gg per segnalazioni in banche dati creditizie .
ABF (Arbitro Bancario Finanziario) decisioni di coordinamento: varie in materia di segnalazioni in Centrale Rischi (obbligo preavviso), usura su cessione quinto (inclusione premio assicurativo), nullità commissioni occulte.
Consiglio Nazionale del Notariato – Studi 2017-2020: su pignorabilità prima casa e art. 2929-bis c.c., sull’uso del trust e fondo patrimoniale (notai evidenziano rischi di revocatoria).
Relazioni OCC e giurisprudenza di merito su sovraindebitamento: es. Tribunale di Napoli Nord 2022 (omologa piano con stralcio 80%), Trib. Ferrara 2023 (negata esdebitazione incapiente per mancanza requisiti) , Trib. Ravenna 2023 (esdebitazione incapiente concessa) , Trib. Roma 2022 (omologa accordo con vendita casa e stralcio residuo).
Relazione Illustrativa D.Lgs. 14/2019 Cod. Crisi: spiega ratio delle novità come esdebitazione incapiente: “offrire al debitore onesto ma sfortunato la liberazione dai debiti anche in assenza di attivo, allineando l’Italia agli ordinamenti europei evoluti”.

Hai smesso di pagare le rate di un finanziamento, un prestito o un mutuo? Fatti Aiutare da Studio Monardo

Hai smesso di pagare le rate di un finanziamento, un prestito o un mutuo?
Hai ricevuto solleciti, diffide o minacce di azioni legali da parte della banca o della società finanziaria?
👉 Niente panico: esistono soluzioni concrete per bloccare le procedure di recupero, ridurre il debito e difendersi legalmente.

In questa guida ti spiego cosa succede quando non paghi un finanziamento, quali sono le conseguenze reali e come reagire subito per tutelare il tuo patrimonio e il tuo reddito.


💥 Cosa Succede se non Paghi un Finanziamento

Quando smetti di pagare le rate di un finanziamento (personale, auto, mutuo o carta revolving), la banca o la finanziaria avvia una procedura di recupero del credito.
Le fasi sono progressive:

1️⃣ Solleciti e telefonate di recupero crediti.
2️⃣ Messa in mora o diffida scritta.
3️⃣ Segnalazione alla Centrale Rischi e al CRIF.
4️⃣ Cessione del credito a società di recupero o fondi specializzati.
5️⃣ Decreto ingiuntivo o atto di precetto, fino al pignoramento.

📌 Più tempo passa senza agire, più la situazione peggiora: interessi, spese e sanzioni si accumulano rapidamente.


⚖️ Le Conseguenze Legali e Finanziarie

Ecco cosa può accadere in concreto:

  • 📉 Segnalazione come cattivo pagatore: vieni iscritto nei registri CRIF e Centrale Rischi, con impossibilità di ottenere nuovi prestiti o mutui.
  • 💰 Richiesta di pagamento immediato dell’intero debito: la banca può revocare il piano rateale.
  • ⚖️ Decreto ingiuntivo: il creditore può chiedere al giudice un ordine di pagamento.
  • 🏛️ Atto di precetto e pignoramento: se non paghi, può avviare l’esecuzione forzata su conto, beni, stipendio o pensione.
  • 🏠 Perdita di garanzie reali: se il finanziamento è garantito (mutuo o prestito con pegno), rischi il bene ipotecato o il veicolo.

📌 Tutto questo può essere fermato o gestito legalmente, ma solo se intervieni in tempo.


⏱️ Le Prime Mosse da Fare

Appena ricevi solleciti o un atto giudiziario, non ignorarlo mai.
Le prime ore sono decisive per evitare danni maggiori.


💠 1. Verifica la regolarità del contratto e degli atti

Controlla:

  • il contratto di finanziamento (tassi, clausole, condizioni);
  • la presenza di anatocismo o interessi usurari;
  • la legittimità delle notifiche ricevute (PEC, raccomandate, atti giudiziari).

📌 Se ci sono errori, tassi irregolari o mancate comunicazioni, puoi impugnare la pretesa della banca.


💠 2. Chiedi la documentazione al creditore

Hai diritto a ricevere:

  • il piano di ammortamento aggiornato;
  • l’estratto conto del finanziamento;
  • il saldo residuo reale comprensivo di spese e interessi;
  • eventuali atti di cessione del credito (se è stato venduto a una società di recupero).

📌 Senza questi documenti, nessuno può chiederti legalmente di pagare.


💠 3. Valuta un ricorso o una trattativa legale

A seconda della situazione:

🏛️ Se hai ricevuto un decreto ingiuntivo: puoi presentare opposizione entro 40 giorni, bloccando subito la procedura.
🏦 Se hai ricevuto un atto di precetto: puoi chiedere sospensione urgente dell’esecuzione.
💬 Se sei in difficoltà economica: puoi richiedere una rinegoziazione, saldo e stralcio o rateizzazione.

📌 Un avvocato esperto può spesso ottenere una sospensione immediata delle azioni legali e un accordo più vantaggioso.


💸 Cosa Fare se Hai più Finanziamenti Non Pagati

Se i debiti sono diversi (banche, carte, prestiti, bollette), puoi:

  • valutare la procedura di sovraindebitamento per sospendere tutti i pignoramenti e ristrutturare i debiti;
  • chiedere al giudice l’omologazione di un piano di rientro sostenibile;
  • proporre un accordo con riduzione del capitale dovuto.

📌 È una procedura prevista dalla legge e molto usata da famiglie, professionisti e piccoli imprenditori.


🧾 Documenti da Raccogliere Subito

  • Copia del contratto di finanziamento;
  • Estratti conto e piani di ammortamento;
  • Solleciti, diffide o atti giudiziari ricevuti;
  • Eventuali ricevute di pagamento o comunicazioni PEC;
  • Copia di atti di cessione del credito (se presenti).

📌 Questi documenti permettono di verificare la legittimità del credito e costruire la difesa.


⏱️ Tempi di Intervento e Soluzioni

  • Ricorso o opposizione: il giudice può sospendere il decreto in 48 ore.
  • Trattativa stragiudiziale: accordi e piani di rientro in 1–2 settimane.
  • Procedura di sovraindebitamento: sospensione totale delle azioni esecutive in pochi giorni.

📌 Agire subito evita che la situazione degeneri in pignoramenti o segnalazioni permanenti.


⚖️ I Vantaggi di una Difesa Legale Tempestiva

✅ Blocco immediato di decreti, precetti e pignoramenti.
✅ Rinegoziazione o riduzione del debito.
✅ Cancellazione delle segnalazioni illegittime in CRIF.
✅ Recupero di somme indebitamente pagate per tassi usurari.
✅ Tutela completa del conto, dello stipendio e dei beni.


🚫 Errori da Evitare

❌ Ignorare solleciti o raccomandate.
❌ Pagare senza controllare la legittimità del credito.
❌ Accettare accordi verbali con società di recupero non autorizzate.
❌ Attendere l’arrivo di un decreto o pignoramento per muoversi.

📌 Prima agisci, più ampie sono le possibilità di difesa e negoziazione.


🛡️ Come Può Aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo

📂 Analizza il contratto e verifica la regolarità del finanziamento.
📌 Controlla eventuali tassi usurari, anatocismo o clausole abusive.
✍️ Redige e deposita opposizioni o istanze di sospensione immediata.
⚖️ Ti assiste nelle trattative con la banca o con la società di recupero crediti.
🔁 Ti segue fino alla definizione del debito o alla chiusura della posizione.


🎓 Le Qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto bancario, finanziario e dell’esecuzione forzata.
✔️ Specializzato nella difesa di debitori contro banche, finanziarie e società di recupero.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.


Conclusione

Un finanziamento non pagato non significa la fine: con un intervento tempestivo puoi bloccare le azioni legali, ridurre il debito e proteggere il tuo patrimonio.
La chiave è non restare inattivo e affidarsi subito a un professionista esperto.

⏱️ Ogni giorno conta: agisci prima che il problema diventi irreversibile.

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