Hai scoperto che il tuo conto corrente è stato pignorato da una banca, da un creditore privato o dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione? È una situazione che può mettere in seria difficoltà, ma non è senza via d’uscita. Il blocco del conto non significa la perdita definitiva delle somme: ci sono strumenti legali e strategie immediate per reagire, sbloccare i fondi e contestare il pignoramento se risulta irregolare o illegittimo.
Cosa significa avere il conto corrente pignorato
Il pignoramento del conto corrente è una procedura esecutiva con cui un creditore (pubblico o privato) blocca le somme depositate presso una banca o un istituto finanziario, per recuperare un credito. Da quel momento:
- il conto è congelato, e non puoi più disporre del denaro;
- le somme vengono bloccate fino alla decisione del giudice o dell’ente riscossore;
- la banca è obbligata a comunicare e trattenere le somme pignorate per poi versarle al creditore, nei limiti stabiliti dalla legge.
Il pignoramento può essere disposto:
- da un creditore privato (banche, fornitori, ex coniugi, ecc.) tramite un atto di pignoramento notificato dal giudice;
- dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER) per debiti fiscali o contributivi, anche senza passare dal tribunale.
La prima cosa da fare quando scopri il pignoramento
- Verifica subito chi ha richiesto il pignoramento.
Controlla l’origine del blocco: se proviene dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, troverai una comunicazione ufficiale (atto di pignoramento presso terzi). Se è un creditore privato, la banca è tenuta a informarti. - Richiedi la documentazione completa.
Ottieni copia dell’atto di pignoramento, dell’eventuale titolo esecutivo (decreto ingiuntivo, sentenza, cartella esattoriale) e della notifica. Solo così potrai verificare se il pignoramento è legittimo. - Verifica la validità del titolo esecutivo.
Il pignoramento è valido solo se esiste un titolo esecutivo regolarmente notificato (ad esempio una cartella, un avviso di accertamento o una sentenza). Se manca o è prescritto, il blocco può essere impugnato e annullato. - Contatta immediatamente un avvocato.
Un avvocato esperto in diritto tributario o esecuzioni può verificare la legittimità della procedura e, se ci sono i presupposti, bloccare o sospendere il pignoramento con un ricorso urgente al giudice o all’Agenzia delle Entrate-Riscossione.
Cosa puoi ancora fare per difenderti
A seconda della natura del pignoramento, esistono diverse possibilità di difesa:
- Se il pignoramento è dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione:
Puoi impugnare l’atto davanti alla Corte di Giustizia Tributaria, contestando la legittimità della cartella o dell’accertamento. Puoi anche chiedere la rateizzazione del debito: in tal caso, il pignoramento viene sospeso. - Se il pignoramento è di un creditore privato:
È possibile presentare opposizione al pignoramento davanti al Tribunale ordinario, ad esempio per mancanza del titolo esecutivo, prescrizione del credito o eccesso di pignoramento. - Se sul conto ci sono somme impignorabili:
Alcune somme non possono essere toccate, tra cui:- stipendi e pensioni (nei limiti previsti: solo il 20% è pignorabile);
- assegni di invalidità e sostegni assistenziali;
- somme inferiori al triplo dell’assegno sociale, se accreditate come pensione (circa 1.600 euro nel 2025).
Se il creditore o l’Agenzia hanno pignorato somme impignorabili, è possibile ottenere la liberazione immediata di tali fondi.
Le irregolarità più comuni nei pignoramenti di conti correnti
- Mancata notifica del titolo esecutivo (cartella o sentenza mai ricevuta);
- Prescrizione del credito (spesso dopo 5 o 10 anni, a seconda del tipo di debito);
- Violazione dei limiti di pignorabilità (es. blocco totale di stipendi o pensioni);
- Mancato rispetto del contraddittorio o degli obblighi informativi del creditore;
- Errori nella comunicazione bancaria o nell’importo trattenuto.
In questi casi, l’atto può essere impugnato e annullato davanti al giudice competente.
Come sbloccare un conto pignorato
Per sbloccare il conto è necessario:
- Verificare la legittimità dell’atto con un avvocato e impugnarlo se viziato;
- Presentare un ricorso con richiesta di sospensiva al giudice dell’esecuzione o alla Corte Tributaria;
- Chiedere la rateizzazione del debito in caso di pignoramento fiscale;
- Concordare un accordo di saldo e stralcio con il creditore privato, se possibile.
In molti casi, entro poche settimane è possibile ottenere la sospensione o la riduzione del pignoramento, con conseguente sblocco del conto corrente.
Quando rivolgersi a un avvocato esperto
Devi contattare subito un avvocato se:
- hai ricevuto un pignoramento o un blocco del conto;
- non ti è stato notificato alcun atto prima del pignoramento;
- ritieni che le somme siano impignorabili (stipendi, pensioni, indennità);
- vuoi rateizzare o chiudere il debito con una soluzione agevolata.
Un avvocato esperto in diritto tributario e riscossione può:
- verificare la validità del titolo esecutivo;
- impugnare l’atto e ottenere la sospensione;
- recuperare le somme illegittimamente bloccate;
- trattare un accordo con il creditore o con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione.
⚠️ Attenzione: non prelevare o movimentare somme dopo la notifica del pignoramento: qualsiasi trasferimento può essere considerato atto in frode e aggravare la tua posizione. Agisci subito in modo legale e assistito.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto tributario, riscossione e difesa dei contribuenti – spiega cosa fare subito in caso di conto corrente pignorato, come verificare la validità del titolo esecutivo e come agire per sospendere o annullare il pignoramento e recuperare le somme bloccate.
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Introduzione
Trovarsi il conto corrente pignorato può essere un evento traumatico per qualsiasi debitore. Improvvisamente ci si accorge che il proprio conto bancario è bloccato: le somme depositate risultano indisponibili perché un creditore ha avviato un’azione esecutiva. In questa guida approfondita – aggiornata a ottobre 2025 – esamineremo cosa significa avere un conto corrente pignorato e qual è la prima mossa da fare dal punto di vista del debitore. Adotteremo un taglio tecnico ma comprensibile, adatto sia ai professionisti legali sia a privati cittadini e imprenditori che vogliono capire come difendersi.
Vedremo innanzitutto come funziona il pignoramento del conto corrente secondo la normativa italiana aggiornata, citando le leggi rilevanti (come il Codice di Procedura Civile e le norme speciali per i debiti fiscali) e la più recente giurisprudenza. Ci focalizzeremo poi sul punto di vista del debitore: cosa fare non appena si subisce un pignoramento del conto (la “prima mossa”), quali limiti di legge esistono a tutela di stipendi e pensioni accreditati in banca, come comportarsi in caso di conto cointestato, e quali sono i rimedi legali per reagire ad abusi o errori (dall’opposizione all’esecuzione all’istanza di riduzione o conversione del pignoramento).
Non mancherà un confronto tra il pignoramento “presso terzi” ordinario e il pignoramento “diretto” utilizzato dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, con attenzione agli aspetti fiscali peculiari. Forniremo inoltre esempi pratici e tabelle riepilogative per riassumere i concetti chiave, e una sezione Domande & Risposte per chiarire i dubbi più frequenti.
Importante: Questa guida tiene conto delle più recenti riforme legislative (compresa la Riforma Cartabia del processo civile e i suoi correttivi del 2024) e delle ultime sentenze di rilievo in materia (Cassazione, Corte Costituzionale e giurisprudenza di merito aggiornata al 2025). Al termine troverete una sezione con tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate, per approfondimenti e verifiche. L’obiettivo è fornire un quadro completo e avanzato, ma al tempo stesso pratico e comprensibile, su come muoversi quando il proprio conto corrente viene pignorato, dal primo passo da compiere fino alle soluzioni a lungo termine.
Cos’è il pignoramento del conto corrente
Il pignoramento del conto corrente è una forma di esecuzione forzata prevista dall’ordinamento italiano, volta ad aggredire le somme di denaro depositate presso una banca o un ufficio postale intestate al debitore. Tecnicamente rientra nel pignoramento presso terzi, poiché il denaro del debitore si trova nella disponibilità di un terzo soggetto (la banca) che funge da custode e depositario . In pratica, il creditore munito di titolo esecutivo (ad esempio una sentenza, un decreto ingiuntivo definitivo o una cartella esattoriale per i debiti fiscali) e dopo aver notificato un atto di precetto, può far notificare alla banca un atto di pignoramento in cui ordina di vincolare le somme presenti sul conto del debitore fino a copertura del credito vantato.
Quando la banca (terzo pignorato) riceve l’atto di pignoramento, è tenuta a bloccare le somme presenti sul conto corrente fino a concorrenza dell’importo indicato dal creditore, incluse eventuali spese e interessi. Da quel momento, il debitore non può più utilizzare liberamente il conto: le somme pignorate sono congelate e indisponibili, in attesa delle decisioni del giudice dell’esecuzione . La banca deve poi rendere una dichiarazione al creditore (e al tribunale) entro il termine di legge – generalmente 10 giorni – specificando l’esistenza del conto, il saldo disponibile e l’eventuale presenza di altri vincoli . Questa dichiarazione serve a confermare quali somme sono effettivamente pignorabili.
Trattandosi di un pignoramento presso terzi ordinario, dopo il blocco del conto il procedimento prosegue dinanzi al giudice dell’esecuzione del tribunale competente. Nel classico pignoramento presso terzi, l’atto notificato contiene l’intimazione al debitore e al terzo a comparire a un’udienza fissata (di regola dopo qualche settimana) . All’udienza, verificata la regolarità della procedura, il giudice può emettere un’ordinanza di assegnazione delle somme pignorate in favore del creditore (fino a copertura del credito). L’assegnazione ha l’effetto di trasferire giuridicamente al creditore le somme congelate: a quel punto la banca le deve versare al creditore, estinguendo (in tutto o in parte) il debito.
Va evidenziato che dal 2021 la procedura del pignoramento presso terzi ha subito alcune modifiche nell’ottica della semplificazione digitale, per effetto della riforma del processo civile (L. 206/2021, cd. Riforma Cartabia, e dei successivi decreti attuativi). In particolare, era stato introdotto a carico del creditore l’onere di notificare sia al debitore sia al terzo un avviso di avvenuta iscrizione a ruolo (con indicazione del numero di procedimento) e di depositarlo in tribunale, pena l’inefficacia del pignoramento se tale avviso non perveniva entro la data dell’udienza . Questa novità aveva l’intento di assicurare al debitore un’informazione formale sull’avvio della procedura esecutiva. Tuttavia, con il decreto correttivo n. 164/2024 (entrato in vigore il 26 novembre 2024) il legislatore ha in parte modificato queste disposizioni: non è più obbligatorio notificare l’avviso di iscrizione a ruolo al debitore, ma solo al terzo pignorato . Ciò semplifica il compito del creditore e snellisce la procedura, eliminando un passaggio formale (il debitore comunque è già destinatario dell’atto di pignoramento iniziale). Resta fermo che, se il creditore riceve il pagamento integrale prima della scadenza per il deposito dell’iscrizione a ruolo, deve comunicarlo immediatamente sia al debitore sia al terzo, e in tal caso cessa qualunque obbligo del terzo di trattenere le somme dal momento della comunicazione . Inoltre, la riforma prevede che se il pignoramento presso terzi è effettuato contro più terzi, l’eventuale omesso avviso comporta l’inefficacia solo verso i terzi non informati, mentre gli obblighi del terzo cessano comunque alla data dell’udienza indicata nell’atto se l’avviso non è notificato . In sintesi, le regole procedurali del pignoramento presso terzi sono state aggiornate nel 2023-2024 per bilanciare la tutela del debitore con l’obiettivo di accelerare l’esecuzione forzata.
Riassumendo, quando un creditore “blocca” il conto corrente di un debitore: – Viene notificato un atto di pignoramento presso terzi alla banca (terzo) e al debitore. – La banca vincola subito le somme disponibili fino all’importo indicato. – Il debitore non può disporre delle somme pignorate, ma potrebbe restare libero l’eventuale saldo eccedente (se presente e se tecnicamente separabile dal vincolo). – Il procedimento passa in tribunale: il terzo rende dichiarazione sul saldo; all’udienza il giudice decide l’assegnazione delle somme al creditore. – Se tutto è regolare, le somme pignorate vengono trasferite al creditore per soddisfare il credito. Eventuali importi sul conto oltre il necessario dovranno essere sbloccati e restituiti al debitore (salvo altri pignoramenti in corso).
È importante distinguere il pignoramento del conto corrente da altre forme di esecuzione: – Non si tratta di pignoramento mobiliare diretto (in cui l’ufficiale giudiziario si reca fisicamente presso il debitore a sequestrare beni). Nel caso del conto, l’esecuzione è “indiretta” tramite la banca, quindi presso terzi. – Non è un pignoramento immobiliare, che riguarda case o terreni. – È invece assimilabile al pignoramento di crediti verso terzi: il depositante (debitore) vanta un credito di rimborso verso la banca pari al saldo del conto, e il creditore procedente va ad espropriare proprio quel credito (trasformandolo in denaro a suo favore) .
Nel contesto specifico del conto corrente bancario, esiste un’ulteriore particolarità: se il conto presenta un saldo negativo o un affidamento (fido) attivo, la giurisprudenza ha chiarito che il creditore non può pignorare una semplice disponibilità di credito non ancora utilizzata. In altre parole, non è pignorabile la mera facoltà di scoperto concessa dalla banca: il pignoramento può colpire solo somme attive e disponibili di proprietà del correntista, non un eventuale fido non utilizzato o una linea di credito accordata . La Corte di Cassazione ha infatti ribadito che “non è autonomamente pignorabile la mera disponibilità derivante al correntista in virtù del fido bancario”, in quanto non costituisce un credito liquido ed esigibile verso la banca (Cass. n. 36066/2021). Dunque, se il conto è “in rosso” o se le uniche somme disponibili sarebbero frutto di un futuro indebitamento con la banca, il pignoramento non avrà effettivo oggetto su cui attecchire.
In sintesi, il pignoramento del conto corrente è uno strumento potente nelle mani dei creditori perché colpisce direttamente il denaro liquido del debitore, spesso con esecuzione relativamente rapida. Tuttavia la legge predispone anche una serie di tutele per il debitore, sia nella forma di limiti di pignorabilità di alcune somme (come vedremo a breve per stipendi e pensioni) sia attraverso rimedi processuali per reagire ad eventuali irregolarità. Prima di analizzare questi aspetti, vediamo operativamente qual è la prima mossa che il debitore deve fare non appena scopre che il suo conto è stato pignorato.
Conto corrente pignorato: la prima mossa da fare (istruzioni pratiche)
Scoprire che il proprio conto è stato pignorato può generare panico, ma è fondamentale agire con lucidità e tempestività. Ecco i passi iniziali – la “prima mossa” e le azioni immediate – che un debitore dovrebbe intraprendere:
1. Verificare l’esistenza dell’atto di pignoramento e i dettagli: La primissima cosa da fare è capire chi ha pignorato il conto e per quale importo. Se non lo avete già ricevuto, chiedete subito alla vostra banca copia dell’atto di pignoramento presso terzi notificato. L’atto contiene informazioni cruciali: il nome del creditore procedente, l’ammontare del credito reclamato (comprensivo di interessi e spese), il numero di RG (registro generale) della procedura esecutiva in tribunale, e la data dell’udienza fissata dal giudice dell’esecuzione. Inoltre, l’atto deve indicare il titolo esecutivo su cui si fonda (ad es. sentenza, decreto ingiuntivo, mutuo non pagato, cartella esattoriale, etc.) e la data di notifica del precetto al debitore. Tutti questi elementi vi faranno comprendere l’origine del pignoramento. È possibile che il debitore abbia già ricevuto per posta o via PEC l’atto di pignoramento (la legge prevede che sia notificato anche a lui), ma se per qualche motivo non ne ha copia, la banca è tenuta a fornirgliela su richiesta. Verificare attentamente l’atto è fondamentale per controllare eventuali errori formali (come importi errati, mancata indicazione dell’indirizzo PEC per la dichiarazione del terzo, ecc.) che potrebbero costituire motivi di opposizione agli atti esecutivi.
2. Controllare lo stato del conto e il saldo disponibile: Una volta appreso dell’esistenza del pignoramento, bisogna capire quali somme sono effettivamente bloccate. Collegatevi al vostro internet banking (se ancora consentito) o chiedete in filiale: qual è il saldo del conto e qual è l’importo vincolato/pignorato? Spesso la banca vincola esattamente la somma richiesta dal creditore (se il saldo lo consente) e lascia eventualmente libero l’eventuale eccedenza. Ad esempio, se avevate 10.000 € sul conto e il pignoramento è per 6.000 €, la banca dovrebbe “congelare” 6.000 € e lasciare disponibili gli altri 4.000 €. Tuttavia, non sempre la separazione è netta: alcune banche bloccano prudenzialmente l’intero saldo fino a nuova disposizione, rendendo di fatto inutilizzabile anche l’eventuale parte non pignorata. Se vi accorgete che il conto è completamente bloccato, chiedete spiegazioni alla banca: potrebbe essere possibile utilizzare almeno le somme eccedenti l’importo pignorato. In ogni caso è utile conoscere il margine: ad esempio, se il conto ha un saldo inferiore al debito, è probabile che tutto sia bloccato; se superiore, verificate se potete usare la differenza.
3. Valutare la presenza di somme impignorabili o parzialmente tutelate: È essenziale accertare la natura delle somme sul conto. Se sul conto sono accreditati stipendi, salari o pensioni, la legge prevede precise tutele e limiti di pignorabilità (di cui parliamo dettagliatamente oltre). In particolare: – Le somme da stipendio/pensione accreditate prima della data di notifica del pignoramento godono di una franchigia impignorabile pari a 3 volte l’assegno sociale . In termini pratici, nel 2025 questa soglia è di circa €1.616 (essendo l’assegno sociale circa €538,69 mensili) . Ciò significa che, se il vostro saldo deriva da accrediti di stipendio, la parte fino a €1.616 circa non può essere toccata dal pignoramento, e solo l’eventuale eccedenza può essere vincolata . Ad esempio, su 2.000 € di stipendio accreditati e non spesi prima del pignoramento, solo circa 384 € risultano pignorabili (2.000 – 1.616) . – Le somme di stipendio/pensione che si accreditano dopo la notifica del pignoramento, invece, sono pignorabili entro i limiti ordinari (tipicamente un quinto per crediti ordinari) oppure secondo i limiti speciali se il creditore è l’Erario (1/10, 1/7, 1/5 a seconda delle fasce di importo) . In altre parole, dopo il pignoramento, ogni nuovo stipendio che arriva sul conto potrebbe essere intercettato anch’esso, ma non integralmente: dovrà rispettare la regola del quinto, proprio come se il pignoramento avvenisse “alla fonte” presso il datore di lavoro . – Vi è inoltre un minimo vitale assoluto per le pensioni: qualsiasi pensione, anche pignorata alla fonte, non può essere ridotta al di sotto di 1,5 volte l’assegno sociale (circa €808 mensili nel 2025) come importo mensile residuo per il pensionato . Tale tutela si riflette anche nel pignoramento sul conto: se la pensione accreditata è bassa, il pignoramento deve lasciare intatta quella soglia minima.
Di fronte a queste norme, la prima mossa pratica è: identificate se le somme sul conto sono stipendio/pensione o altre fonti, e comunicate immediatamente (sia alla banca che, se possibile, al creditore o al suo legale) che sul conto ci sono accrediti di natura retributiva o pensionistica protetti. Fornite documentazione (ad esempio, buste paga, o estratto conto che evidenzi l’accredito stipendio da parte del datore di lavoro o pensione da INPS) per dimostrare la natura di quelle somme . Questo perché, in mancanza di prova, le somme potrebbero essere considerate tutte pignorabili e congelate integralmente . Spesso le banche riconoscono d’ufficio la non pignorabilità della parte protetta (ad esempio alcune adottano la prassi di sbloccare automaticamente l’importo pari al triplo dell’assegno sociale se vedono che il conto era usato solo per l’accredito dello stipendio). Ma è meglio non dare nulla per scontato: mettetelo per iscritto. Tale comunicazione potrà essere utile anche successivamente davanti al giudice, per far dichiarare inefficace il pignoramento sulla quota impignorabile .
4. Garantirsi liquidità per le spese essenziali: Uno dei problemi immediati del pignoramento del conto è che il debitore rischia di restare senza soldi per le spese quotidiane. Appena scoperto il blocco, valutate se avete altri conti correnti non pignorati o altre fonti di liquidità. Se sì, meglio trasferire lì eventuali fondi disponibili (ovviamente se leciti e non soggetti a pignoramento anche quelli). Attenzione: aprire un nuovo conto corrente dopo il pignoramento e spostarvi somme può essere lecito solo se quelle somme non erano già soggette a pignoramento. Ad esempio, se sul conto pignorato c’erano somme eccedenti l’importo bloccato, potete provare a farvele bonificare su un altro vostro conto – ma è necessario il consenso della banca o un ordine del giudice se il confine non è chiaro. In generale, non è possibile “aggirare” il pignoramento spostando altrove ciò che è vincolato: tale atto sarebbe una violazione dell’obbligo di custodia da parte della banca. Tuttavia, se avete uno stipendio futuro in arrivo, potreste chiedere che il datore di lavoro lo accrediti temporaneamente su un conto diverso (ad esempio il conto intestato a un familiare di fiducia) per evitare che finisca automaticamente sul conto bloccato. Questa però è una soluzione tampone e rischiosa (va valutata con un legale per non incorrere in possibili profili di frode ai creditori). In ogni caso, l’obiettivo immediato del debitore deve essere avere accesso a un minimo di liquidità per vivere. Se nessuna risorsa alternativa è disponibile, potrebbe essere necessario ricorrere a un familiare o amico per un prestito urgente, almeno finché non si chiarisce quanto del conto tornerà disponibile.
5. Rivolgersi a un legale per una valutazione approfondita: Contattare prontamente un avvocato specializzato in esecuzioni è altamente consigliato. Un professionista potrà: – Esaminare l’atto di pignoramento per verificare eventuali vizi formali o vizi nella procedura (ad esempio, mancata notifica di atti presupposti, prescrizione del credito, errori nel titolo esecutivo, ecc.). – Determinare se sussistono i presupposti per un’opposizione all’esecuzione (contestando il diritto stesso di procedere esecutivamente, ad esempio perché il debito è già stato pagato o non dovuto) o un’opposizione agli atti esecutivi (contestando irregolarità formali dell’atto di pignoramento o della notifica). – Assistervi nel porre in essere eventuali istanze al giudice dell’esecuzione, come un’istanza di riduzione del pignoramento (se l’importo pignorato risulta eccessivo rispetto al dovuto, ad esempio perché sono stati congelati importi impignorabili o la somma è sproporzionata) o un’istanza di sospensione dell’esecuzione (se pendono opposizioni o trattative in corso). – Consigliare sulla possibilità di una conversione del pignoramento (cioè la sostituzione del denaro pignorato con il versamento di una somma cauzionale e la rateizzazione del debito ai sensi dell’art. 495 c.p.c., di cui diremo oltre) per liberare subito il conto. – Fornire supporto nelle trattative con il creditore: spesso, soprattutto se il creditore è un privato o un’azienda, c’è margine per negoziare un pagamento a saldo e stralcio o una dilazione, ottenendo in cambio il ritiro del pignoramento. Un avvocato può contattare il legale della controparte e sondare la disponibilità a un accordo stragiudiziale.
È importante muoversi rapidamente: in genere tra la notifica dell’atto e l’udienza in tribunale possono passare poche settimane (talvolta 30 giorni). Alcuni rimedi, come l’opposizione agli atti esecutivi, hanno termini stringenti (5 o 20 giorni) dalla conoscenza dell’atto viziato. Dunque, la prima mossa comprende anche il non perdere tempo prezioso.
6. Valutare l’ipotesi di pagamento o accordo immediato: Se il debito per cui si procede è riconosciuto dal debitore come legittimo e non contestabile, e se si hanno (o si possono reperire) le risorse finanziarie, pagare rapidamente quanto dovuto può essere la strada più semplice per sbloccare il conto. In pratica, potreste saldare direttamente il creditore (magari chiedendo uno sconto sulle spese) prima che il giudice assegni formalmente le somme. Se scegliete questa via: – Fate effettuare il pagamento in modo tracciabile (bonifico al creditore o al suo avvocato) prima della data di udienza indicata nell’atto. – Ottenete dal creditore una dichiarazione di soddisfazione del credito e la disponibilità a rinunciare agli atti del pignoramento. La riforma recente ha previsto che se il creditore riceve il pagamento prima del deposito della pratica in tribunale, deve avvisare subito il debitore e la banca e ciò fa cessare gli obblighi della banca dal momento della comunicazione . Anche in prossimità dell’udienza, il creditore può comparire dal giudice e dichiarare che ha ricevuto il pagamento, portando all’estinzione della procedura. – Attenzione: pagare dopo che il giudice ha già assegnato le somme può essere troppo tardi – a quel punto la banca sarà tenuta comunque a versarle al creditore in esecuzione dell’ordinanza. Quindi, se l’intento è pagare e liberare il conto, conviene farlo il prima possibile, idealmente entro i 30 giorni circa dalla notifica. In caso di pagamento totale tempestivo, il pignoramento viene meno (sarà dichiarato estinto) e il conto verrà sbloccato.
Naturalmente, non tutti i debitori hanno la possibilità di pagare subito. Ecco perché è importante anche considerare soluzioni come: – Conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): permette al debitore di depositare una somma a garanzia (almeno un quinto del debito, per legge ) e chiedere al giudice di sostituire i beni pignorati con quella somma, ottenendo la possibilità di pagare il resto a rate (massimo 18 mesi se ammesso). Se il giudice accorda la conversione, il conto si libera subito dal vincolo e rimane solo l’obbligo di versare le rate al tribunale . Questa procedura richiede l’assistenza di un legale e la disponibilità immediata di almeno il 20% circa del dovuto . – Rateizzazione tramite accordo col creditore: al di fuori del meccanismo dell’art.495 c.p.c., potete tentare di ottenere dal creditore un piano di dilazione volontaria. In tal caso, però, il creditore di solito vorrà comunque mantenere il vincolo sul conto come garanzia finché non riceve tutte le rate. Solo a pagamento completato accetterà di sbloccare il conto. Dunque, questa soluzione è utile se il creditore è disposto a rimettere il pignoramento in cambio di un pagamento parziale upfront e il resto garantito magari con cambiali o altre garanzie.
7. Prestare attenzione ai termini e presentarsi all’udienza: Nel frattempo, non ignorate la data di udienza indicata nell’atto di pignoramento. Anche se state negoziando o preparando opposizioni, è fondamentale presentarsi (personalmente o tramite l’avvocato) all’udienza davanti al giudice dell’esecuzione. In quell’udienza: – Si verificherà la dichiarazione della banca (terzo pignorato). Se la banca non l’ha inviata, il giudice potrebbe concederle un termine o assumere informazioni. – Il giudice può emettere l’ordinanza di assegnazione delle somme al creditore. Se ritenete che ci siano somme impignorabili o altre questioni, questo è il momento per segnalarlo formalmente al giudice (meglio attraverso l’avvocato con memoria scritta e documenti). – Se avete pagato il debito nel frattempo, informate il giudice esibendo le ricevute e chiedendo l’estinzione. – Se avete avviato opposizioni, dovete farlo presente chiedendo eventualmente la sospensione dell’assegnazione in attesa della definizione dell’opposizione (il giudice potrebbe non accordarla facilmente, ma va tentato in presenza di motivi validi). – Se avete chiesto conversione del pignoramento, l’udienza di solito viene dedicata proprio a questo: il giudice fissa l’importo da sostituire e l’eventuale piano di rate.
Ricordate che il giudice dell’esecuzione ha un ruolo centrale e potrà adottare provvedimenti in grado di alleviare la vostra posizione (ad esempio liberando somme impignorabili o riducendo l’importo pignorato se eccede il dovuto). Ma ciò avviene solo se il debitore fa valere i propri diritti tempestivamente nelle sedi opportune.
In conclusione su “cosa fare subito”: la prima mossa da fare è composta in realtà da più azioni coordinate, tutte mirate a: – Informarsi (avere chiaro il quadro del pignoramento). – Tutela immediata della sopravvivenza economica (accesso a fondi non pignorati o liberazione di quelli impignorabili). – Preparare la difesa legale (documentare la natura delle somme, valutare opposizioni, eventualmente trattare col creditore). – Agire nei tempi giusti (non attendere passivamente l’udienza senza aver fatto nulla).
Nel prossimo paragrafo approfondiremo alcuni di questi aspetti, come i limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni, e il confronto tra pignoramento ordinario e pignoramento esattoriale, che rappresenta un caso particolare con cui il debitore potrebbe doversi confrontare (ad esempio se il conto è stato bloccato dall’Agenzia Entrate Riscossione per tasse non pagate).
Normativa di riferimento e procedura di pignoramento presso terzi (ordinario)
Per comprendere appieno i propri diritti e obblighi in caso di conto pignorato, è utile richiamare sinteticamente la normativa di riferimento e il funzionamento della procedura esecutiva presso terzi secondo il Codice di Procedura Civile (c.p.c.), prima di passare alle particolarità e ai rimedi.
Fonti normative essenziali
- Codice di Procedura Civile, artt. 543 – 546 c.p.c.: disciplinano la forma e la fase iniziale del pignoramento presso terzi. L’atto di pignoramento deve contenere una serie di indicazioni (creditore, debitore, terzo, titolo esecutivo, somma dovuta, ingiunzione a non disporre delle cose o crediti) e l’intimazione a comparire in udienza. L’art.543 c.p.c. (come riformato) stabilisce anche i termini per notificare l’avviso di iscrizione a ruolo (oggi solo al terzo) e le sanzioni processuali in caso di inadempimento (inefficacia del pignoramento) . L’art.545 c.p.c. elenca invece i limiti di pignorabilità di vari crediti (crediti alimentari, stipendi, pensioni, ecc.), limiti che – come integrati dal D.L. 83/2015 – si applicano anche ai conti correnti (ne parleremo a breve). L’art.546 c.p.c. prescrive l’obbligo per il terzo di non disporre delle cose o somme dovute (divieto di pagare al debitore) e l’obbligo di rendere la dichiarazione circa quanto detenuto per conto del debitore.
- Codice Civile, art. 1854 c.c.: riguarda i conti correnti cointestati, stabilendo che se un conto è intestato a più persone con facoltà disgiunta, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi. Questa norma incide sull’analisi del pignoramento dei conti cointestati, come vedremo, e va coordinata con l’art.1298 c.c. (presunzione di parti uguali tra condebitori interni) .
- Leggi speciali sulla riscossione esattoriale (D.P.R. 602/1973): in particolare l’art. 72-bis (introdotto nel 2005) che consente all’Agente della Riscossione un procedimento speciale di pignoramento presso terzi senza passare dal tribunale, e l’art. 72-ter (introdotto nel 2012) che fissa i limiti di pignorabilità di stipendi e pensioni per i debiti tributari (simili a quelli del c.p.c. ma con percentuali differenziate: 1/10, 1/7, 1/5) . Queste disposizioni sono fondamentali nell’esecuzione fiscale, di cui ci occuperemo in seguito nella sezione sull’“aspetto fiscale” e confronto tra pignoramenti.
Oltre a queste fonti, va menzionata la giurisprudenza (sentenze) che negli ultimi anni ha chiarito questioni importanti: ad esempio, decisioni della Corte di Cassazione sul punto delle somme accreditate sul conto da stipendio (prima della riforma 2015, che hanno portato all’introduzione del triplo dell’assegno sociale impignorabile), oppure la giurisprudenza di merito (Corte d’Appello di Roma 2016, Tribunali vari) sul pignoramento dei conti cointestati . Anche una sentenza della Corte Costituzionale (n. 248/2015) ha inciso sul tema, affermando il principio che anche i debitori con redditi minimi devono comunque sopportare un pignoramento parziale (nello specifico caso la Corte respinse la totale impignorabilità di stipendi molto bassi, indicando però la necessità di garantire il “minimo vitale” pari a una certa frazione dello stipendio) . Questi orientamenti hanno spinto il legislatore a intervenire per equilibrare meglio la tutela del creditore e quella del debitore.
Fase procedurale del pignoramento presso terzi (banca)
Ripercorriamo brevemente la sequenza procedurale tipica di un pignoramento del conto corrente, chiarendo i ruoli di ciascun attore: 1. Titolo esecutivo e precetto: il creditore deve possedere un titolo esecutivo contro il debitore (es. sentenza passata in giudicato, decreto ingiuntivo esecutivo, cambiale, mutuo fondiario scaduto, cartella esattoriale decorsi i termini, ecc.). Sulla base di esso notifica al debitore un atto di precetto, intimando il pagamento entro normalmente 10 giorni ex art. 480 c.p.c. Solo dopo il mancato pagamento nel termine, può iniziare il pignoramento. 2. Notifica dell’atto di pignoramento: il creditore (tramite l’ufficiale giudiziario, oggi anche per via telematica) notifica l’atto di pignoramento alla banca (presso la sua sede legale o ufficio competente, spesso via PEC) e anche al debitore. L’atto, redatto a norma dell’art. 543 c.p.c., contiene: – l’ingiunzione alla banca di non disporre delle somme di spettanza del debitore fino a concorrenza della somma X (capitale, interessi e spese indicati); – l’ingiunzione al debitore di astenersi da qualsiasi atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni pignorati; – i dati delle parti, del titolo, del precetto, etc.; – la citazione a comparire davanti al giudice dell’esecuzione alla data Y (con indicazione del giudice competente, di solito il tribunale del luogo dove il terzo ha residenza o sede, ex art. 26 c.p.c.); – l’invito al terzo (banca) a comunicare a mezzo PEC almeno 5 giorni prima dell’udienza una dichiarazione con cui specifica di quali cose o somme è debitore o possiede per conto del debitore (saldo di conto, eventuali depositi, titoli, etc.). 3. Effetto del pignoramento e obblighi del terzo: dal momento in cui l’atto è notificato, scatta il vincolo. La banca diventa custode legale delle somme pignorate e ne risponde: se ad esempio permettesse al debitore di prelevare in violazione del pignoramento, potrebbe essere chiamata a rispondere del valore verso il creditore (in casi estremi anche con azione risarcitoria). Ai sensi dell’art. 546 c.p.c., la banca non deve consentire operazioni sul pignorato e deve appunto rendere la dichiarazione sull’esistenza e consistenza del credito. Tale dichiarazione oggi avviene spesso in forma scritta via PEC prima dell’udienza, oppure verbalmente davanti al giudice all’udienza. 4. Udienza davanti al giudice dell’esecuzione: se la dichiarazione del terzo perviene per tempo ed è positiva (ad es. “possiedo € X sul conto del debitore, di cui vincolati € Y per il pignoramento in oggetto”), il giudice può anche evitare l’udienza e procedere direttamente all’assegnazione mediante provvedimento scritto. Più frequentemente, all’udienza si presentano il creditore (o il suo avvocato) e il debitore (eventualmente col suo avvocato). La banca spesso non compare di persona se ha già inviato la dichiarazione. Il giudice prende atto della dichiarazione: se il terzo ha dichiarato di detenere somme sufficienti, il giudice può emanare ordinanza di assegnazione immediatamente . Se il terzo non ha inviato nulla né è comparso, il giudice può applicare l’art. 548 c.p.c.: una volta verificata la regolarità della notifica al terzo, dà atto dell’assenza di risposta e può ritenere senz’altro esistente il credito per come indicato dal creditore (c.d. dichiarazione presunta), oppure rinviare a nuova udienza assegnando termine alla banca per la risposta. In caso di dichiarazione presunta positiva, il giudice assegna le somme pignorate al creditore fino a soddisfo. 5. Ordinanza di assegnazione: questo provvedimento del giudice è quello che trasferisce definitivamente le somme al creditore. Ad esempio, il giudice ordina alla banca di pagare al creditore (o al suo avvocato) la somma di € X entro tot giorni, prelevandola dai fondi del debitore. L’ordinanza specifica anche che tale pagamento è effettuato in soddisfacimento del credito portato dal titolo esecutivo. Se le somme sul conto sono inferiori al dovuto, di solito vengono assegnate tutte le disponibili (chiudendo così il pignoramento – il creditore rimarrà insoddisfatto per la parte eccedente e potrà eventualmente proseguire su altri beni). Se invece le somme sono maggiori del necessario, il giudice assegna solo quanto basta a coprire il credito e dispone la liberazione dell’eventuale eccedenza. 6. Esecuzione dell’ordinanza e chiusura: la banca, ricevuta l’ordinanza, esegue il pagamento al creditore e svincola l’eventuale residuo al debitore. A questo punto il pignoramento sul conto cessa. Se il conto era stato totalmente svuotato a favore del creditore, il rapporto di conto potrebbe anche chiudersi o restare attivo con saldo zero (attenzione che spesso le banche, dopo un pignoramento che azzera il saldo, possono decidere unilateralmente di chiudere il conto; è un loro diritto contrattuale se il cliente non detiene più fondi, ma devono dare preavviso).
Durata: Un pignoramento presso terzi ben condotto può concludersi in tempi relativamente brevi (anche 1-3 mesi). Tuttavia, vari fattori possono allungarlo: ritardi nelle notifiche, terzo che non risponde subito, opposizioni del debitore, ecc. È importante sapere che il pignoramento perde efficacia se la procedura non prosegue nei tempi dovuti. Ad esempio, l’art. 543 c.p.c. prevedeva (prima delle modifiche telematiche) l’obbligo di iscrivere a ruolo la procedura entro 30 giorni dalla notifica, pena inefficacia. Con la riforma Cartabia questo adempimento è stato sostituito dall’obbligo di notificare l’avviso di iscrizione a ruolo (ora solo al terzo) entro l’udienza . Se il creditore omette di depositare o notificare nei termini dovuti l’avviso al terzo, il pignoramento diventa inefficace e le somme devono essere liberate . In pratica, se trascorre la data dell’udienza indicata e il creditore non ha compiuto gli atti richiesti, gli obblighi della banca come terzo cessano automaticamente . Questa è una ulteriore tutela: evita che un pignoramento resti sospeso a tempo indeterminato tenendo bloccato un conto senza avanzamenti.
Da quanto sopra emerge l’importanza per il debitore di monitorare la procedura: se il creditore non segue l’iter (può capitare, ad esempio se nel frattempo il debitore paga qualcosa, o per negligenza), c’è spazio per chiedere al giudice di dichiarare l’inefficacia del pignoramento e ottenere lo sblocco delle somme. Ad esempio, se all’udienza il creditore non compare e non risulta depositato l’avviso richiesto, il giudice stesso potrebbe dichiarare cessato il vincolo. In ogni caso, dopo l’udienza, se non c’è assegnazione, il debitore ha interesse a sapere se e quando il pignoramento decade per far liberare il conto.
Nei paragrafi successivi affronteremo alcune situazioni particolari connesse alla normativa: – Il confronto tra la procedura ora descritta (ordinaria, giudiziale) e quella esattoriale diretta (dove non c’è inizialmente il giudice). – I limiti di pignorabilità di stipendi, pensioni e altre somme sul conto, introdotti dalle normative speciali (fondamentali per chi ha accrediti da lavoro). – La problematica dei conti cointestati, dove la normativa civilistica sulla solidarietà attiva va interpretata per capire se l’intero saldo o solo una quota è pignorabile.
Pignoramento presso terzi ordinario vs pignoramento diretto esattoriale: confronto
Uno degli aspetti da considerare è la differenza tra un pignoramento ordinario presso terzi (quello descritto finora, soggetto alle regole del c.p.c. con intervento del giudice) e il pignoramento “diretto” esattoriale effettuato dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) per crediti fiscali o cartelle esattoriali. Dal punto di vista del debitore, l’effetto è simile – il conto viene bloccato – ma la procedura e i diritti sono regolati in modo diverso. Ecco un confronto sintetico:
| Caratteristica | Pignoramento presso terzi ordinario | Pignoramento “diretto” esattoriale (art. 72-bis DPR 602/73) |
|---|---|---|
| Chi lo può attivare | Qualsiasi creditore munito di titolo esecutivo (privati, banche, aziende, ecc.) | Solo l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) per crediti dello Stato/enti (es. tasse, contributi, multe iscritte a ruolo) |
| Necessità di titolo esecutivo giudiziale | Sì, serve titolo (sentenza, decreto, atto notarile, ecc.) + precetto notificato al debitore | Cartella di pagamento o accertamento esecutivo (titolo stragiudiziale). Non serve passare dal giudice per avere un titolo: la legge investe la cartella di efficacia esecutiva dopo la notifica e il decorso dei termini. |
| Atto di pignoramento e autorità coinvolta | Atto di pignoramento redatto ex art. 543 c.p.c., notificato a banca e debitore. Procedura sotto controllo del Giudice dell’esecuzione del tribunale competente. | Atto di pignoramento ex art. 72-bis DPR 602/73 notificato a banca e debitore. Non passa immediatamente dal giudice: è un ordine di pagamento “amministrativo” impartito direttamente al terzo dal concessionario delle riscossioni . Il giudice interviene solo se la procedura non va a buon fine o in caso di opposizione. |
| Effetti immediati | Banca vincola le somme fino a importo pignorato. Terzo tenuto a dichiarare entro 10 gg situazione saldo. Debitore attende udienza per eventuale assegnazione. | Banca vincola le somme e, su ordine ricevuto, è tenuta a pagare direttamente all’Agenzia Entrate le somme dovute: – entro 60 giorni dalla notifica per le somme già esigibili (saldo attuale) ; – alle rispettive scadenze per somme future (es: stipendio mensile in arrivo) . Non è prevista una dichiarazione formale del terzo: l’ordine stesso tiene luogo di ingiunzione. |
| Ruolo del giudice | Indispensabile per perfezionare l’espropriazione: il giudice emette ordinanza di assegnazione, senza cui il creditore non può prelevare le somme. | In prima battuta il giudice non interviene: se la banca paga entro 60 giorni, il processo esecutivo si chiude stragiudizialmente . Solo se la banca non adempie all’ordine (es: non versa nei 60 gg), l’Agenzia deve procedere con un pignoramento giudiziale ordinario citando banca e debitore in tribunale, oppure rinnovare l’ordine. |
| Diritto del terzo (banca) di non pagare | La banca non paga direttamente il creditore; versa solo se il giudice dispone l’assegnazione. | La banca deve eseguire l’ordine di pagamento salvo che intervenga sospensione. Se non paga, si va dal giudice (procedura ordinaria) e in quella sede la banca potrebbe essere condannata come debitrice inadempiente . |
| Limiti di pignorabilità di stipendi/pensioni | Determinati dall’art. 545 c.p.c.: un quinto, salvo alimenti; minimo vitale pensioni (assegno sociale + metà); e sul conto, triplo assegno sociale impignorabile per somme pregresse . | Art. 72-ter DPR 602/73: limiti più favorevoli per il debitore su stipendio/pensione in busta paga (1/10 sotto €2500, 1/7 tra 2500 e 5000, 1/5 sopra 5000) . Sul conto corrente, la prassi è applicare gli stessi limiti: impignorabile il triplo dell’assegno sociale per saldo pregresso; e dopo, pignorabile nelle percentuali (1/10,1/7,1/5) invece che un quinto . In sintesi l’Erario è meno “duro” di un privato su stipendi modesti. |
| Notifiche e avvisi ulteriori | Dopo pignoramento, obbligo (ora soppresso in parte) di avviso di iscrizione a ruolo al debitore e terzo entro udienza . In generale, tutto avviene in modo trasparente con il coinvolgimento del giudice (atti depositati). | L’Agenzia Entrate invia l’atto di pignoramento ma non c’è un’udienza fissata subito. Il debitore potrebbe scoprire il blocco conto dalla banca prima ancora di vedere l’atto (che comunque deve essergli notificato). Non essendo previsto un immediato intervento giudiziario, il debitore deve attivarsi autonomamente se vuole opporsi. |
| Opposizione del debitore | Può fare opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) se contesta il diritto a procedere (es: debito inesistente o già pagato) – di solito si introduce con atto di citazione in tribunale, chiedendo magari sospensione ex art. 624 c.p.c. Oppure opposizione agli atti (art. 617 c.p.c.) per vizi formali, entro 20 giorni. Il giudice competente è quello dell’esecuzione (Tribunale ordinario). Durante l’opposizione, l’esecuzione può essere sospesa dal giudice in caso di fumus boni iuris nelle ragioni del debitore. | Può fare opposizione sia sul merito del debito (in Commissione Tributaria se non è decaduto il termine per impugnare la cartella o l’atto fiscale) sia sulla procedura esecutiva (al giudice ordinario, se contesta ad es. la violazione di limiti di pignorabilità o altre irregolarità nell’azione esecutiva) . In particolare, la legge prevede che le violazioni dei limiti (72-ter) rendono il pignoramento inefficace per l’eccedenza e possano essere fatte valere davanti al tribunale ordinario anche se il credito è tributario . Inoltre esistono strumenti propri: ad es., l’istanza di sgravio o sospensione all’ente creditore, o il ricorso d’urgenza al giudice tributario per sospendere la riscossione. Se il debitore ottiene una rateizzazione della cartella (vedi oltre), l’esecuzione esattoriale viene sospesa automaticamente. |
| Esito finale | Ordinanza del giudice di assegnazione; pagamento al creditore; chiusura procedura con provvedimento di estinzione (o cessata materia del contendere se il creditore rinuncia). | Se la banca paga entro 60 gg, il pignoramento diretto si conclude senza bisogno di ordinanza (il pagamento stesso assolve la funzione dell’ordinanza di assegnazione) . L’atto di pignoramento 72-bis, sommato al pagamento, costituisce titolo per quietanzare il debito. Se invece si va in tribunale (per inadempienza del terzo o opposizione), la procedura prosegue come un normale pignoramento presso terzi. |
Come si vede, il pignoramento esattoriale è pensato per essere più rapido e incisivo, evitando alcuni passaggi. In pratica, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione notifica un ordine di pagamento alla banca e aspetta l’accredito delle somme: se questo avviene, bene; altrimenti deve rivolgersi al giudice. La Cassazione ha affermato che l’ordine ex art. 72-bis configura “un’autentica espropriazione presso terzi in forme speciali”, ma comunque assimilabile a un normale pignoramento di crediti , con la differenza essenziale che il concessionario può procedere senza autorizzazione del giudice . Questo ha sollevato questioni di legittimità in passato, ma la giurisprudenza le ha superate riconoscendo la compatibilità del sistema.
Dal lato pratico, se il vostro conto è stato pignorato dall’Agenzia delle Entrate: – Riceverete un atto di pignoramento ai sensi dell’art. 72-bis DPR 602/73. Spesso l’atto specifica che la banca deve pagare le somme entro 60 giorni fino a concorrenza del debito. – Non c’è un’udienza automatica fissata, né dovete attendere un provvedimento del giudice per sapere che succederà in 60 giorni. Allo scadere dei 60 giorni, se non avete agito, la banca trasferirà i soldi disponibili all’Erario. – Cosa fare immediatamente? In aggiunta ai passi già visti per il pignoramento ordinario, qui è cruciale se possibile pagare o trovare un accordo con l’Erario nei 60 giorni. Ad esempio, chiedere una rateizzazione della cartella esattoriale: secondo la normativa vigente, se la rateizzazione viene concessa e si paga la prima rata, il pignoramento in corso viene sospeso automaticamente . Dal 30 novembre 2020, infatti, è stata introdotta questa facoltà per i contribuenti: accedere a un piano di dilazione blocca le azioni esecutive già iniziate dall’ADER . Bisogna muoversi in fretta, ma è un salvagente importante. L’Agente della riscossione di solito, dopo il pagamento della prima rata, invia alla banca un ordine di sblocco. – Un’altra opzione in caso di debiti fiscali elevati e difficoltà finanziarie è valutare le procedure di sovraindebitamento previste dal Codice della Crisi d’Impresa (L.3/2012, ora D.Lgs.14/2019): se ammesse dal giudice, esse comportano la sospensione di tutte le azioni esecutive, incluso il pignoramento del conto . Ovviamente questa è una strada complessa (coinvolge tribunale, OCC, ecc.) e richiede tempo, ma è da menzionare come estrema ratio per chi ha molti debiti.
In sintesi, il pignoramento diretto fiscale è più celermente esecutivo, ma offre al contempo qualche spiraglio in più al debitore sotto il profilo delle percentuali minori sequestrabili e della possibilità di congelarlo con una rateazione. D’altro canto, l’assenza iniziale di un giudice impone al debitore di essere proattivo: se ritiene illegittimo il pignoramento (perché ad esempio la cartella non gli era stata notificata, o le somme sono esenti) deve egli stesso attivarsi con i rimedi opportuni, senza aspettare un’udienza che non c’è.
Nota: se un pignoramento fiscale non va a buon fine (ad esempio perché la banca dichiara che il conto è vuoto o chiuso, o perché trascorsi i 60 giorni non c’era nulla da prendere), l’Agenzia delle Entrate Riscossione potrà ripetere l’ordine su altri conti o altri terzi, oppure convertire il tutto in un pignoramento ordinario a comparizione in tribunale . Quindi anche in questo caso, il debitore che avesse scampato un primo tentativo non può dormire tranquillo: conviene comunque sistemare il debito o trovare accordi, perché il fisco ha molti mezzi a disposizione.
Limiti di pignorabilità delle somme sul conto corrente (stipendi, pensioni e altre entrate)
Uno dei capitoli più importanti per il debitore riguarda quali somme sul conto corrente possono essere pignorate integralmente e quali invece sono parzialmente protette dalla legge. La normativa italiana tutela in modo particolare i redditi da lavoro e da pensione, per garantire al debitore un minimo indispensabile per vivere (il cosiddetto “minimo vitale”). Vediamo nel dettaglio i limiti di pignorabilità applicabili ai soldi depositati in banca, distinguendo caso per caso.
Stipendi e salari accreditati sul conto
Se il conto corrente pignorato è quello dove il debitore riceve abitualmente il suo stipendio (o salario) da lavoratore dipendente, si applica l’art. 545, commi 5-7 c.p.c., come modificato dal D.L. 83/2015. Le regole sono: – Pignoramento presso il datore di lavoro (busta paga): Ricordiamo innanzitutto che se il creditore pignora direttamente lo stipendio presso il datore di lavoro, la trattenuta massima per crediti ordinari è 1/5 dello stipendio netto (20%), o 1/3 se concorre con alimenti dovuti, ecc. (e percentuali minori se il creditore è fiscale, come visto: 1/10, 1/7, 1/5 a seconda degli scaglioni) . Inoltre la Corte Costituzionale ha stabilito che anche lo stipendio molto basso può essere pignorato in parte, ma dev’essere garantito almeno il 50% (sent. 248/2015) . Ciò significa che nessuno stipendio è totalmente impignorabile, ma se uno guadagnasse, ad esempio, €600, al massimo €120 sarebbero pignorati (1/5), lasciandogli €480, che sono l’80%. – Pignoramento dello stipendio in banca: Se però il creditore colpisce direttamente il conto dove lo stipendio è già stato accreditato, prima della riforma 2015 c’era un vuoto: poteva pignorare tutto il saldo (eludendo di fatto il limite del quinto). La legge ha posto rimedio a questa lacuna prevedendo che: – Le somme da stipendio accreditate prima del pignoramento sono impignorabili fino alla parte pari a 3 volte l’assegno sociale . Solo l’eccedenza oltre tale soglia può essere assegnata al creditore. In termini quantitativi: l’assegno sociale è un parametro che varia annualmente (nel 2024 era €538,68 mensili; per il 2025 circa €538,69). Tre volte tanto è circa €1.616. Questo importo rappresenta il “tesoretto” intoccabile se, alla data della notifica del pignoramento, sul conto erano presenti soldi derivanti dallo stipendio. – Esempio: Il 10 ottobre il conto ha saldo €2.000 composto interamente da stipendio di settembre non ancora speso; il 11 ottobre arriva il pignoramento: il creditore potrà aggredire solo €2.000 – €1.616 = €384 (circa), lasciando impignorati €1.616 al debitore . Se invece il saldo fosse stato €1.500, tutto sarebbe impignorabile? No, in realtà nulla sarebbe pignorabile perché €1.500 è sotto la soglia di €1.616 – quindi il creditore dovrebbe attendere futuri accrediti. – Questa regola impone alla banca e al giudice di liberare la parte impignorabile. Se per errore il creditore ottenesse un’assegnazione anche della parte sotto soglia, quell’assegnazione sarebbe illegittima e impugnabile. – Le somme da stipendio accreditate dopo il pignoramento (o lo stesso giorno, quindi successivamente in senso giuridico) sono pignorabili “nei limiti di legge”. Ciò significa che, man mano che nuovi stipendi cadono sul conto già pignorato, essi subiscono le stesse trattenute che avrebbero subito in busta paga. Dunque un quinto ogni mese se il creditore è ordinario , oppure le percentuali di 1/10, 1/7, 1/5 se il creditore è l’Agente Riscossione . – Come avviene praticamente? La banca, in sede di dichiarazione al giudice, spesso specifica: “tratto conto sul quale affluiscono stipendio mensile €X; provvederò a vincolare i futuri accrediti nella misura di 1/5”. Oppure, più formalmente, il giudice nell’ordinanza di assegnazione può disporre che “anche le mensilità successive accreditate sul conto vengano assegnate al creditore nei limiti di un quinto ciascuna, fino a concorrenza del credito”. In questo modo, il pignoramento sul conto prosegue in forma “rateale”. Se ciò non viene esplicitato, il creditore dovrebbe in teoria notificare nuovi pignoramenti per i successivi stipendi – ma la prassi giudiziaria tende a evitare molteplici atti disponendo direttamente la protrazione del vincolo sui futuri accrediti nei limiti di legge. – Nota tecnica: c’è qualche discussione sul fatto che il vincolo sui futuri accrediti oltre la scadenza non sia espressamente previsto dal codice per il pignoramento presso terzi ordinario (che fotografa il saldo al momento). Tuttavia, i tribunali applicano analogicamente la disciplina e/o invitano il creditore a fare pignoramento periodico. Con il fisco invece l’art.72-bis prevede espressamente la presa alle “rispettive scadenze” . – Documentazione della natura dello stipendio: È essenziale che risulti chiaro che quei soldi sono stipendio. La causale del bonifico di solito lo indica (es: “Bonifico stipendio settembre 2025”). Se il conto riceve anche altri versamenti (es. bonifici da terzi, entrate non da lavoro), la protezione si applica solo alla parte proveniente da stipendio/pensione. In caso di contestazione, l’onere della prova che certe somme erano stipendio spetta al debitore; in mancanza, come detto, tutto il saldo potrebbe essere considerato pignorabile .
Pensioni e trattamenti di quiescenza
Per le pensioni, il discorso è simile ma con qualche accortezza in più: – Pignoramento presso l’ente pensionistico (INPS): l’art. 545 c.p.c. già prevedeva che le pensioni e indennità assimilate potessero essere pignorate al massimo per 1/5 e solo per la parte eccedente il “minimo vitale”, cioè una somma pari all’assegno sociale aumentato della metà . Questo significa che se uno ha una pensione bassa, una certa porzione è intoccabile. Ad esempio, con assegno sociale ~€538, metà è ~€269, quindi minimo vitale ~€807 mensili nel 2025. Se un pensionato percepisce €800 al mese, di fatto non gli si potrebbe togliere nulla (perché 4/5 del suo assegno sono €640, che è sotto il minimo vitale, e la Corte Cost. nel 2015 ha imposto di lasciare almeno 2x assegno sociale per le pensioni). – Pensione accreditata in banca: anche qui vale la regola delle tre volte l’assegno sociale per quanto era depositato prima del pignoramento . E vale la regola del quinto (o frazioni minori se fisco) per gli accrediti successivi . – Tuttavia, attenzione: se sul conto affluiscono arretrati di pensione o TFR (trattamento di fine rapporto) liquidato al pensionamento, anch’essi godono di particolari limiti. Il TFR è pignorabile nella misura di un quinto se pignorato presso l’INPS prima dell’erogazione; se finisce sul conto dopo la cessazione del rapporto, dovrebbero valere analogamente le regole generali (triplo assegno sociale per la parte già depositata, e per il resto trattarlo come credito da lavoro). – Minimo vitale assoluto: come già detto, in ogni caso la legge garantisce che al pensionato resti una cifra pari all’assegno sociale + metà (per vivere). Questo incide soprattutto quando il pignoramento arriva alla fonte (INPS); sul conto in realtà se la pensione è già accreditata e poi pignorata, la regola del triplo assegno sociale copre un importo più generoso (tre mensilità intere di assegno sociale, che è più di 1.5 mensilità). Quindi di fatto sul conto la protezione per le pensioni è uguale a quella per lo stipendio: 3x assegno sociale.
Altre tipologie di somme
- Provvigioni e redditi da lavoro autonomo continuativo: La Cassazione ha chiarito che i limiti di pignorabilità (il quinto) si estendono anche a redditi da collaborazione coordinata e continuativa, agenzie, ecc., purché costituiscano la fonte di sostentamento assimilabile a uno stipendio . Dunque, se un agente di commercio ha le provvigioni accreditate sul conto, si dovrebbero applicare le stesse tutele (triplo assegno sociale ecc.) come per uno stipendio. L’art. 545 c.p.c. menziona espressamente ora anche “altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento” e “indennità di cessazione del rapporto” – coprendo TFR, liquidazioni e simili .
- Conto di una ditta individuale o professionista: Se il conto è intestato al debitore persona fisica ma utilizzato nell’attività professionale, non ci sono eccezioni speciali: resta un conto persona fisica. Quindi le regole di impignorabilità parziale valgono solo se su quel conto transitano redditi da lavoro assimilabili a dipendente. I compensi professionali in teoria non rientrano nei “stipendi” protetti. Tuttavia, se il professionista incassa periodicamente compensi che sono la sua fonte di reddito principale, potrebbe provare a invocare l’applicazione analogica della tutela. Non c’è però una norma chiara come per i dipendenti.
- Saldo derivante da risparmi generici: Se il conto contiene risparmi, redditi da locazione, rendite finanziarie ecc., questi non beneficiano di alcuna soglia impignorabile specifica. Ad esempio: conto con €50.000 derivanti dalla vendita di un immobile o da accantonamenti di vario genere – l’intero saldo è pignorabile (salvo eventuale riconoscimento di beni di terzi, ma questo è altro discorso). Il debitore quindi rischia di perdere tutto quel saldo per pagare i creditori. Soltanto nel caso in cui quelle somme fossero di provenienza tracciabile come appartenenti a terzi (es: conto cointestato con coniuge, oppure somme in deposito fiduciario) si aprono altri fronti di tutela, ma non per legge automatica bensì tramite azioni specifiche (come l’opposizione di terzo).
- Assegni di mantenimento, sussidi di povertà: Per completezza, l’art.545 c.p.c. rende assolutamente impignorabili una serie di crediti di natura alimentare e di sostentamento (es. assegni di famiglia, di maternità, sostegni al reddito, borse di studio, etc.). Se sul conto fossero presenti somme provenienti ad esempio dal Reddito di Cittadinanza (o misure simili di assistenza), queste sono impignorabili per legge. Tuttavia, bisogna poterle distinguere chiaramente. Perciò, come regola, i sussidi pubblici e gli alimenti dovuti per legge non si possono toccare. In pratica, se avete tali somme sul conto, informate subito la banca e, se serve, il giudice, della loro natura, perché vengano escluse dal pignoramento.
Cosa succede se il creditore o la banca violano questi limiti?
Può accadere, per errore o ritardo, che vengano pignorate (e magari assegnate) somme superiori a quelle consentite. Ad esempio, il giudice potrebbe non essersi accorto che sul conto c’era solo stipendio e firmare un’ordinanza di assegnazione dell’intero saldo. Oppure la banca potrebbe, su ordine fiscale, trasferire somme includendo anche la parte impignorabile. La legge tutela il debitore in questi casi: il pignoramento è considerato inefficace per la parte eccedente i limiti . Ciò vuol dire che, ad esempio, se vi hanno sottratto €500 in più del dovuto, quella parte non produce effetti e deve esservi restituita. Ovviamente, starà a voi far valere tale inefficacia. Il mezzo tipico è l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. davanti al giudice dell’esecuzione, in cui far rilevare la violazione (la norma dice che potete eccepirla sia in ambito tributario che extratributario davanti al GE) . Il giudice verificate le soglie, dichiarerà non dovuta quella parte e ne ordinerà la restituzione. Si potrebbe anche ipotizzare un ricorso incidentale immediato se l’assegnazione non è definitiva.
In casi gravi, il debitore può chiedere anche il risarcimento del danno per pignoramento illegittimo , ad esempio se la sottrazione indebita di somme vitali gli ha causato conseguenze (pensiamo a un imprenditore a cui vengono tolti fondi non pignorabili e ciò gli causa il protesto di assegni, ecc.). Questi però sono scenari litigiosi; nella maggior parte dei casi l’importante è ottenere rapidamente lo sblocco delle somme protette.
Riepilogo tabellare dei limiti (anno 2025):
| Tipo di somma sul conto | Impignorabilità / Limite pignoramento | Riferimento normativo |
|---|---|---|
| Stipendio (saldo pre-pignoramento) | Impignorabile fino a 3x assegno sociale ≈ €1.616; eccedenza pignorabile . | Art. 545 co.8 c.p.c. |
| Stipendio (accrediti successivi) | Pignorabile nei limiti di 1/5 (credito ordinario) . Se creditore fiscale: 1/10 < €2500, 1/7 tra 2500-5000, 1/5 > €5000 . | Art. 545 co.8 c.p.c.; Art. 72-ter DPR 602/73 (AER) |
| Pensione (saldo pre-pignoramento) | Impignorabile fino a 3x assegno sociale (stessa regola dello stipendio) . | Art. 545 co.8 c.p.c. |
| Pensione (quota mensile futura) | Pignorabile max 1/5 sull’importo eccedente 1.5x assegno sociale (minimo vitale) . Per AER: 1/10, 1/7, 1/5 a scaglioni . | Art. 545 co.7 c.p.c.; Art. 72-ter DPR 602/73 |
| TFR, indennità fine rapporto | Se già accreditato su conto, assimilato a stipendio (3x assegno sociale non pignorabile prima). | Art. 545 co.8 c.p.c. (incl. licenziamento) |
| Provvigioni/agenti, co.co.co | Trattamento analogo a stipendio se reddito continuativo primario (orientamento Cass.) . | Cass. 685/2012; estensione art.545 c.p.c. |
| Redditi da lavoro autonomo occasionale, altri crediti | Nessun limite specifico: pignorabili interamente. | N/A (regime generale) |
| Assegni alimentari, sussidi | Totalmente impignorabili (se riconoscibili). | Art. 545 co.1-3 c.p.c. |
| Somme di terzi sul conto (es. errore) | In realtà non sarebbero del debitore; il terzo vero proprietario può opporsi (azione di terzo). | Art. 619 c.p.c. (opposizione di terzo) |
| Conto cointestato (quota non debitoriale) | Vedi sezione dedicata: presumibilmente metà non pignorabile se l’altro intestatario è estraneo . | Art. 1854 c.c.; Art. 1298 c.c. |
(Le cifre in euro variano di anno in anno con l’assegno sociale; qui riferimenti al 2024-2025.)
Conto corrente cointestato: pignoramento e tutela del co-intestatario
Un caso particolare è il pignoramento di un conto corrente cointestato tra il debitore e un’altra persona (ad esempio, conto cointestato tra coniugi, di cui uno solo è debitore esecutato). Cosa accade in questa situazione? La questione non è espressamente disciplinata dal codice di procedura, ma è stata affrontata da dottrina e giurisprudenza, che hanno delineato alcuni principi chiave.
Innanzitutto, dal punto di vista contrattuale, l’art. 1854 c.c. stabilisce che in caso di conto intestato a più persone con facoltà disgiunta di operare, “gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto”. Ciò significa che, nei rapporti con la banca, ognuno dei cointestatari può compiere operazioni e la banca considera ognuno responsabile per l’eventuale passivo (solidarietà passiva) e creditore per l’eventuale attivo (solidarietà attiva) . Tuttavia, questa solidarietà riguarda il rapporto banca <-> cointestatari. Nei rapporti interni tra i cointestatari, l’art. 1298 c.c. stabilisce che, salvo prova contraria, si presumono le quote uguali . In altre parole, se due persone hanno un conto comune, si presume (internamente) che il denaro appartenga per metà a uno e per metà all’altro (a meno che uno provi di averci messo tutto lui, ad esempio).
Questi principi portano a due possibili approcci quando arriva un pignoramento: 1. Tesi della solidarietà esterna totale: Poiché verso la banca i cointestatari sono creditori solidali, alcuni hanno sostenuto che il creditore del singolo possa pignorare l’intero saldo del conto, lasciando poi al co-intestatario estraneo il compito di reagire per riavere la sua parte . Questa impostazione equipara il creditore del cointestatario debitore a un creditore solidale che può chiedere l’intero, in virtù della regola che ciascun condebitore solidale può essere costretto all’intero (art.1294 c.c.). In pratica, la banca blocca tutto e l’altro intestatario, se ne ha diritto, dovrà chiedere al giudice di liberare la sua quota (ad esempio con un’istanza di riduzione del pignoramento). 2. Tesi della limitazione alla quota: Altra (prevalente) tesi è che il creditore possa pignorare solo la quota di spettanza del debitore, quindi ad esempio il 50% del saldo, non la totalità . Ciò sulla base del ragionamento che la solidarietà attiva di cui all’art.1854 c.c. vale solo nei rapporti banca-clienti, ma non può pregiudicare i diritti del co-intestatario estraneo. Pertanto, verso i terzi creditori, opererebbe la presunzione che metà del denaro è di uno e metà dell’altro (salvo prova contraria). Quindi il pignoramento dovrebbe fin dall’inizio riguardare soltanto la quota parte del debitore.
La giurisprudenza recente propende per la seconda tesi, a tutela del co-titolare non debitore. Ad esempio, una importante sentenza della Corte d’Appello di Roma (Sent. n. 6123/2016) ha stabilito chiaramente che “Il creditore non può pignorare la totalità delle somme depositate su un conto corrente cointestato a più soggetti, ma deve limitarsi ad aggredire la sola quota del debitore”, applicando la presunzione di contitolarità paritetica ex art.1298 c.c. . In mancanza di prova contraria sulle proporzioni, si presume appunto 50% e 50%. In quel caso, il co-intestatario estraneo che aveva fatto opposizione è riuscito a ottenere la liberazione della sua metà del saldo .
Questa pronuncia è significativa perché evita che un conto venga “paralizzato integralmente” per un debito di uno solo. Cosa succede nella pratica? Spesso, appena notificato l’atto di pignoramento, la banca – per cautela – blocca comunque tutto il saldo (perché non sa a priori la suddivisione delle quote). La banca deve poi dichiarare al giudice l’esistenza del conto cointestato e il saldo totale, specificando i cointestatari. A questo punto: – Se nessuno interviene, c’è il rischio che il giudice assegni metà o tutto? Generalmente, seguendo il principio attuale, un giudice dovrebbe assegnare solo la presunta quota del debitore (50% del saldo, o la percentuale di sua pertinenza se i cointestatari sono più di due) . Alcuni giudici prudenti assegnano immediatamente solo la quota parte, subordinando l’eventuale eccedenza a verifica. – Il co-intestatario non debitore ha comunque la possibilità di agire. Le strade principali: – Presentarsi all’udienza o depositare un intervento nel procedimento esecutivo, affermando che le somme per metà (o altra quota) sono proprie e quindi chiedendo di limitare il pignoramento a metà saldo. – Oppure proporre una opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c.: è l’azione tipica di chi rivendica la proprietà di beni pignorati sostenendo che non sono (interamente) del debitore. Il terzo cointestatario può dire: “il 50% di quelle somme è mio, estraneo al debitore, dunque impignorabile per i creditori di lui”. – Spesso viene scelta anche la via più spedita della istanza al giudice dell’esecuzione nell’ambito dello stesso procedimento, invocando l’art. 1854 c.c. e 1298 c.c. per liberare la quota. In effetti, molti giudici esecutivi, già in sede di assegnazione, se informati, evitano di toccare la parte altrui.
Notifica dell’atto al co-intestatario: Un profilo delicato è la notifica dell’atto di pignoramento. Se il creditore sa della cointestazione, dovrebbe notificare l’atto anche al co-intestatario non debitore? Secondo alcune pronunce sì: la Corte d’Appello di Roma 2016 (citata sopra) ha affermato che l’atto di pignoramento va notificato ad entrambi i cointestatari, altrimenti è nullo . Ciò perché il contitolare è un soggetto “interessato” dall’esecuzione in quanto tocca un patrimonio comune. Non tutti i giudici però sono concordi su questo obbligo formale; tuttavia, per prudenza, i creditori diligenti notificano a tutti gli intestatari. Se ciò non avviene, il co-intestatario potrebbe eccepire la nullità dell’atto limitatamente a lui e ottenere la liberazione delle somme.
Prova contraria sulla ripartizione delle somme: Il 50/50 è una presunzione. Se, ad esempio, il co-intestatario non debitore prova che tutte le somme sul conto provengono dai suoi redditi (e il debitore non ha mai contribuito), allora potrà sostenere che in realtà il saldo è tutto suo e il creditore non dovrebbe toccare nulla. Viceversa, il creditore potrebbe tentare di provare che la maggior parte era denaro del debitore. In pratica, l’onere della prova grava su chi vuole superare la presunzione di eguaglianza . Questo tipo di indagine probatoria però difficilmente si fa nella fase sommaria dell’esecuzione; di solito viene rimandata a un eventuale giudizio di accertamento separato o all’opposizione di terzo (dove si discute anche la proprietà delle somme).
Soluzione pratica frequente: Molto spesso, i conti cointestati sono fra coniugi. In tali casi, se uno dei due coniugi ha debiti personali, è abbastanza standard che il giudice, su richiesta del coniuge non debitore, liberi subito il 50%. Il restante 50% resta pignorato per il creditore, a meno che il coniuge non dimostri che anche quella parte proviene magari solo dal suo stipendio. Di converso, qualora il conto fosse cointestato ma di fatto usato solo dal debitore per i suoi affari (l’altro intestatario è magari un familiare inserito solo per comodità), il creditore potrebbe far valere elementi per tenere vincolato più del 50%.
Effetti sul conto: Durante questa diatriba, la banca per sicurezza blocca tutto. Potrebbe però chiedere indicazioni al giudice. Se il giudice ordina di sbloccare metà al co-intestatario, quella parte torna disponibile. L’altra metà rimane vincolata in attesa di assegnazione al creditore. Nel frattempo, i movimenti sul conto spesso vengono sospesi del tutto dalla banca finché non c’è chiarezza (anche sulla parte teoricamente libera), a meno che il co-intestatario non apra magari un nuovo conto separato dove la banca trasferisce la metà libera.
Rimedi per il co-intestatario: Riassumendo, se siete co-intestatari non debitori e vi ritrovate il conto bloccato: – Intervenite subito, direttamente al giudice dell’esecuzione, per far presente la vostra posizione. Presentate estratti conto e documenti che mostrano la provenienza delle somme. – Se necessario, depositate un atto di opposizione di terzo (consigliabile con un avvocato, entro 20 giorni dall’assegnazione se già fatta, o anche prima). – Chiedete almeno lo sblocco della quota presumibilmente vostra (50%). – Verificate la notifica: se non avete ricevuto nulla e l’avete scoperto dalla banca, potete anche far valere la mancata notifica come vizio (anche se su questo esistono orientamenti diversi).
La giurisprudenza arbitrale bancaria (ABF) in passato aveva adottato invece la tesi dura della confusione dei patrimoni (quindi legittimità del blocco totale) , ma le corti ordinarie hanno preso una direzione più garantista per i terzi . Ad oggi possiamo dire che il co-intestatario estraneo ha buone possibilità di salvare la propria quota, purché si attivi.
È interessante notare che, secondo i principi esposti, se sul conto cointestato arrivano stipendi o pensioni di uno dei due, ciascuno gode delle tutele sul proprio reddito. Quindi, ad esempio, se il conto è cointestato marito-moglie, e viene pignorato per un debito del marito, la moglie può far valere: – Che metà del saldo è suo. – Che in quella metà c’è il suo stipendio magari, quindi comunque impignorabile verso i creditori del marito. Insomma, diversi strati di difesa.
In conclusione, il pignoramento del conto cointestato è un evento complesso: il creditore può certamente notificare il pignoramento (non è precluso), ma non potrà prendere più della quota del debitore senza incorrere in opposizioni fondate . Dal lato del debitore cointestatario, va ricordato che coinvolgere conti comuni in vicende debitorie personali rischia di creare disagio anche all’altro intestatario; perciò, per prevenzione, se si hanno debiti, è meglio evitare di tenere i risparmi del coniuge in conti cointestati, così da non esporli a misure cautelari. Se però il danno è fatto, la legge offre gli strumenti per ripristinare la giustizia delle quote.
Rimedi del debitore contro il pignoramento: opposizioni, istanze di riduzione, conversione
Passiamo ora in rassegna i mezzi di difesa legali a disposizione del debitore (o di terzi interessati) per contrastare un pignoramento del conto corrente che sia ritenuto illegittimo, eccessivo o errato. Abbiamo già accennato ad alcuni di questi strumenti, vediamoli in modo organizzato:
Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.)
L’opposizione all’esecuzione è l’azione con cui il debitore contesta il diritto stesso del creditore di procedere all’esecuzione forzata. Si basa quindi su ragioni di merito o di legittimità sostanziale del credito. Esempi tipici: – Il debito non esiste o si è estinto: magari il debitore aveva già pagato, oppure la pretesa deriva da un titolo annullato o prescritto. – Il titolo esecutivo è invalido o inefficace: per esempio un decreto ingiuntivo non definitivo, un precetto viziato, o la mancanza di titolo (pignoramento avviato senza precetto regolare). – Il bene pignorato è impignorabile per legge nella sua interezza: (non solo per soglie quantitative, ma qualitativamente) ad esempio, fosse un conto speciale contenente somme con vincolo di destinazione non aggredibile (caso raro).
Nel contesto del conto corrente, motivi di opposizione all’esecuzione potrebbero essere: – Il credito azionato era già stato pagato (produrre ricevute). – Il pignoramento è avvenuto in violazione di un accordo di moratoria o in pendenza di rate concordate. – Il pignoramento è stato effettuato senza titolo (es: non è mai stato notificato il precetto, o è scaduto). – Oppure la circostanza che le somme appartengono in realtà ad un terzo (questo è più propriamente opposizione di terzo, ma anche il debitore potrebbe eccepirlo in esecuzione se, ad esempio, riveste un ruolo particolare).
Come si propone? L’opposizione all’esecuzione dopo che questa è iniziata (quindi col pignoramento in corso) si propone con atto di citazione davanti al giudice dell’esecuzione (Tribunale) competente, ai sensi dell’art.615 co.2 c.p.c. Può anche essere introdotta con ricorso se contestualmente si chiede una sospensione urgente, ma la prassi più comune è la citazione con richiesta di sospensione. È fondamentale depositarla prima che la procedura si chiuda (idealmente prima dell’assegnazione). La legge non dà un termine fisso, ma va fatta tempestivamente, perché se si aspetta che il giudice assegni le somme, l’opposizione potrà solo agire per far eventualmente revocare quell’assegnazione (più complesso).
Sospensione dell’esecuzione: Il debitore può chiedere al giudice, con la propria opposizione, di sospendere l’iter esecutivo (art. 624 c.p.c.). Il giudice valuterà se ci sono gravi motivi (fumus di fondatezza dell’opposizione e periculum in mora). Ad esempio, se il debitore mostra subito una quietanza di pagamento integrale antecedente al pignoramento, è probabile che il giudice sospenda tutto in attesa della decisione finale, perché appare palese che il creditore non avrebbe dovuto procedere.
L’opposizione all’esecuzione dà luogo a un vero e proprio giudizio in cui si discute del merito del diritto di procedere. Può durare anche a lungo, e nel frattempo il pignoramento rimane sospeso se la sospensione è stata concessa, altrimenti può andare avanti (il rischio per il debitore è che se non ottiene sospensione, le somme vengano assegnate e poi magari anni dopo si scopre che aveva ragione… recuperarle potrebbe diventare arduo se il creditore nel frattempo le ha incassate e non le restituisce spontaneamente).
Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.)
L’opposizione agli atti esecutivi serve invece a denunciare vizi formali o procedurali degli atti dell’esecuzione. Qui non si nega il diritto del creditore in sé, ma si attacca la regolarità formale di un atto (es: l’atto di pignoramento, la notifica, l’ordinanza di assegnazione, ecc.). Alcuni possibili motivi: – L’atto di pignoramento è nullo perché manca qualche requisito essenziale (ad esempio non conteneva l’ingiunzione al terzo, o non indicava il titolo esecutivo, o la somma richiesta non era determinata, ecc.). – La notifica dell’atto di pignoramento è nulla o inesistente (es: fatta a un indirizzo sbagliato, o non fatta al debitore affatto). – Violazione di termini perentori: ad esempio il creditore ha notificato l’avviso di iscrizione a ruolo tardivamente (sotto il vecchio regime) rendendo inefficace il pignoramento, ma il giudice non se ne è accorto. – Vizi nell’ordinanza di assegnazione: può succedere che l’ordinanza contenga un errore (assegna più del dovuto, o a persona errata, ecc.).
Queste opposizioni devono essere fatte molto in fretta: il termine è 20 giorni dalla conoscenza dell’atto viziato (in alcuni casi 5 giorni se riguarda atti del professionista delegato o del giudice). Per il debitore, tipicamente, 20 giorni da quando riceve l’atto di pignoramento (se il vizio sta lì) o 20 giorni dall’udienza se contesta verbali, o dall’ordinanza se contesta l’ordinanza.
Nel caso di pignoramento del conto, esempi: – L’atto di pignoramento non vi è stato notificato, e lo venite a sapere tardi: potreste fare opposizione ex art.617 per nullità della notifica, ma entro 20 gg da quando ne avete avuto conoscenza effettiva. – Il pignoramento è stato fatto su un conto sbagliato (omonimia, o oltre limiti): qui forse più un 615 se il soggetto non è debitore, ma anche un 617 per errore. – Non è stata rispettata la procedura di avviso a terzo (pre-riforma, se ancora applicabile per atti vecchi). – L’ordinanza di assegnazione è viziata: ad esempio il giudice assegnando ha violato i limiti di pignorabilità (ha ordinato di prendere anche l’impignorabile). Questo si può vedere come un vizio dell’ordinanza impugnabile ex art.617 c.p.c. (20 giorni dall’emissione). Alcuni però in questi casi usano il 615 sostenendo che per la parte eccedente il pignoramento è inefficace per legge , dunque il 615 per far dichiarare l’inefficacia. Si potrebbe utilizzare l’uno o l’altro a seconda del taglio.
L’opposizione agli atti va anch’essa proposta davanti al giudice dell’esecuzione, ma a differenza del 615, viene introdotta con ricorso (non citazione) entro quei termini stretti. È un procedimento di regola sommario e rapido. Anche qui si può chiedere la sospensione degli effetti dell’atto impugnato.
Istanza di riduzione del pignoramento (art. 496 c.p.c.)
L’istanza di riduzione è uno strumento meno conosciuto ma utile quando l’esecuzione colpisce beni di valore eccessivo rispetto al credito. La norma recita che il debitore (o anche un creditore intervenuto) può chiedere al giudice di ridurre il pignoramento “quando l’importo dei beni pignorati eccede notevolmente quello presuntivo occorrente per la soddisfazione del credito”. Nel caso del conto corrente, potrebbe applicarsi se: – Il creditore ha pignorato più conti correnti contemporaneamente (succede se uno non sapeva dove erano i soldi, notifica a 3 banche diverse). Alla fine il totale congelato supera di molto il dovuto. Il debitore può chiedere di lasciare pignorato uno solo dei conti sufficiente e liberare gli altri. – Oppure se su un unico conto c’era tantissimo denaro rispetto al debito (es: debito di €5.000, conto con €100.000 congelati interamente). Il giudice potrebbe ridurre l’importo pignorato, ad esempio liberando 95.000 e lasciando vincolati 5.000 + margine spese. – Nei conti cointestati, l’istanza di riduzione è stata usata dal co-intestatario per chiedere almeno la liberazione della metà. In effetti, alcune ordinanze di giudici dell’esecuzione, in attesa di definizione della questione, hanno ridotto il pignoramento al 50% del saldo, ritenendo l’altra metà eccesso “non dovuto” al creditore.
Questa istanza non ha termini stringenti, può essere proposta in qualsiasi momento della procedura (meglio prima dell’assegnazione). Il giudice la valuta senza formalità (potrebbe bastare un’istanza depositata in cancelleria e discussa all’udienza). Se accolta, emette un’ordinanza disponendo la liberazione parziale delle cose o somme pignorate.
Nel contesto di somme di denaro, è relativamente semplice: si tratta di liberare tot euro. In passato l’art.496 era usato più per immobili (es. hai pignorato 5 case per un debito di 50k, riduciamo a 1 casa). Ma anche per soldi ha senso se c’è uno squilibrio plateale.
Istanza di conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.)
La conversione del pignoramento è uno strumento che consente al debitore di evitare la vendita/assegnazione coattiva sostituendo ai beni pignorati una somma di denaro che pagherà ratealmente. In particolare, nel nostro caso, permette di liberare il conto corrente depositando in tribunale una somma che garantisca il creditore.
Come funziona: – Il debitore, prima che avvenga l’assegnazione, presenta al giudice dell’esecuzione un’istanza di conversione (necessariamente tramite avvocato), offrendo di sostituire al denaro pignorato (che è già denaro, paradossalmente) una somma depositata vincolata a garanzia. – Deve contestualmente versare una cauzione minima pari a 1/5 dell’importo dovuto (capitale, interessi precetto e spese) . Questo versamento si fa di solito su un libretto postale intestato alla procedura . – Il giudice fissa una breve udienza (entro ~15 giorni) in cui sente le parti e determina la somma complessiva da sostituire al bene pignorato . In pratica calcola: capitale dovuto + interessi fino presumibilmente alla fine + spese di esecuzione. Su un conto già liquido, questa somma coinciderà col totale da assegnare. A volte aggiunge un margine. – Se il pignoramento riguarda solo somme di denaro (conto), la conversione è un po’ particolare: di fatto si tratta di rimpiazzare quelle stesse somme con altre. Ma lo scopo è dare tempo al debitore. Dunque il giudice può autorizzare che il debitore paghi tale somma a rate mensili fino a 18 mesi (massimo) , con interessi di legge sul rateale . Di solito però la rateazione la legge la menziona espressamente per immobili , ma è prassi applicarla anche ai mobili se serve. – Una volta emessa l’ordinanza di conversione, il pignoramento sul conto viene revocato (estinto) – quindi la banca sblocca il conto. Il debitore però dovrà onorare il piano di pagamento verso la procedura: versare le rate stabilite (sul libretto o come indicato). Se il debitore non paga una rata o ritarda oltre 15 giorni, decade dal beneficio e il pignoramento originario rivive come prima, trattenendo quanto già pagato . – Se invece tutte le rate vengono pagate, a fine piano il giudice dichiarerà estinto il pignoramento e disporrà di dare i soldi accantonati al creditore .
Perché fare la conversione se il bene pignorato è già denaro (che è la forma liquida finale)? Ha senso se il debitore non ha subito tutta la liquidità per pagare, ma preferisce un pagamento dilazionato garantendolo formalmente. Ad esempio: conto bloccato con €30.000, debito €30.000. Debitore riesce ora a racimolare €6.000 (1/5) e chiede 12 mesi per pagare il resto. Con la conversione, versa €6.000, il conto viene sbloccato, può usare i soldi (anche per magari generare reddito o vendere altri beni con calma) e poi ogni mese versa una rata di €2.000. Se rispetta il piano, in 12 mesi ha pagato €30.000 e il creditore viene soddisfatto; in più, il conto non è rimasto paralizzato quell’anno, cosa che magari gli ha permesso di continuare l’attività economica.
È chiaro che serve comunque una certa capacità finanziaria (versare subito 1/5 e poi le rate). Non tutti i debitori possono farlo. Ma è uno strumento molto utile se, ad esempio, la gran parte delle somme sul conto non erano del debitore o gli servono per incassi e pagamenti, e preferisce pagare col flusso di cassa invece di vedersi portar via il saldo in un colpo.
Opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.)
Merita menzione l’opposizione di terzo all’esecuzione, che tecnicamente spetta a chi – pur non essendo il debitore esecutato – rivendica la proprietà o titolarità delle cose pignorate. Nel nostro contesto: – Il co-intestatario non debitore del conto può proporla, come dicevamo, per far valere il proprio diritto sulla quota parte del saldo. – Oppure, pensiamo a un caso in cui sul conto del debitore erano depositati fondi di un cliente o di un’altra persona (es. un avvocato tiene su un conto dedicato somme di terzi; oppure una società versa su conto personale di un socio per errore). Il soggetto terzo proprietario di quelle somme può intervenire e opporsi, sostenendo che quel denaro non era del debitore e quindi il pignoramento su di esso è illegittimo verso di lui.
Questa opposizione si propone con atto di citazione davanti al tribunale dell’esecuzione, di solito entro 20 giorni dall’inizio dell’esecuzione o dal momento in cui il terzo ha avuto conoscenza . Nel caso di cointestatario, non c’è un termine fisso dal momento che il terzo è parte di fatto sin dall’inizio; conviene comunque agire prontamente.
Reclamo contro atti del giudice
Se il giudice dell’esecuzione emette provvedimenti (ordinanze) che non vi soddisfano, alcuni di essi sono reclamabili in Corte d’Appello ex art. 624 c.p.c. (se negata o concessa sospensione) o art. 669-terdecies c.p.c. per provvedimenti sommari in opposizioni. Questo è però un livello di litigiosità abbastanza avanzato; solo per completezza: il debitore può anche impugnare decisioni sfavorevoli del giudice dell’esecuzione con gli strumenti previsti, se ritiene che abbia sbagliato.
Altri rimedi e strategie
Oltre alle vie giudiziarie: – Transazione e rinuncia del creditore: In qualunque momento il debitore può trattare col creditore per trovare un accordo (ad es. pagamento parziale immediato e ritiro del pignoramento). Se il creditore rinuncia al pignoramento (deposita un atto di rinuncia agli atti esecutivi), l’esecuzione si estingue e il conto viene liberato. La rinuncia richiede accettazione del debitore se vi sono altri creditori intervenuti, altrimenti può farla unilateralmente. Spesso viene formalizzata all’udienza o con istanza al GE. – Istanza di sospensione per procedimento di composizione della crisi: Come visto nel caso fiscale, se il debitore intraprende una procedura concorsuale (es. concordato preventivo per imprenditore, o piano del consumatore per privato) e il tribunale ammette tale procedura, le esecuzioni sono sospese. Dunque potrebbe chiedere la sospensione del pignoramento in attesa dell’esito della procedura concorsuale. Tuttavia questo è uno scenario di insolvenza più complesso, di solito coinvolge debiti multipli. – Errore di persona (omonimia): Può succedere che un conto venga pignorato erroneamente perché il nominativo coincide. In tal caso, se voi siete totalmente estranei (non siete il debitore indicato nel titolo, ma avete solo lo stesso nome), potete rivolgervi immediatamente al giudice per far dichiarare l’inesistenza del pignoramento nei vostri confronti. È un caso estremo ma documentato. La banca avrebbe dovuto verificare codici fiscali, ma possono capitare scambi. – Contestare spese e interessi: Magari non blocca il pignoramento, ma il debitore può far notare se il creditore ha gonfiato le spese o richiesto interessi non dovuti. Il giudice, in sede di liquidazione somma da assegnare, può ridimensionare tali voci se appaiono eccessive. Ad esempio, se per un debito di €1.000 il creditore pretende €5.000 di spese legali, il debitore può opporsi in parte.
In generale, il consiglio è di non subire passivamente il pignoramento. Spesso c’è margine per migliorare la propria posizione: – Se non potete evitarlo del tutto, potete almeno guadagnare tempo (sospensioni, rateizzazioni). – Potete limitare l’importo (con riduzione, evidenziando somme non dovute). – Potete far valere i vostri diritti su ciò che per legge vi deve rimanere (minimi vitali, quote estranee, ecc.). – E, auspicabilmente, potete arrivare a una soluzione transattiva invece di protrarre il conflitto legale.
Va però ribadito che queste iniziative vanno prese con l’ausilio di professionisti e ponderando costi/benefici (un’opposizione infondata potrebbe essere respinta con condanna alle spese a vostro carico).
Domande frequenti (FAQ)
Di seguito una serie di domande e risposte comuni riguardo al pignoramento del conto corrente, per chiarire in forma sintetica i dubbi più ricorrenti:
- D: Ho scoperto che il mio conto è pignorato perché la carta bancomat è bloccata e la banca mi ha informato. Non ho ricevuto alcun atto a casa: è legittimo?
R: L’atto di pignoramento deve essere notificato anche a te debitore, oltre che alla banca. Può darsi che la notifica sia avvenuta ma non l’hai vista (ad esempio via PEC se hai un domicilio digitale, o presso la residenza risultante in anagrafe). Oppure potrebbe esserci stato un errore di notifica. In ogni caso, chiedi subito copia dell’atto alla banca. Se davvero non ti è stato notificato regolarmente, potresti far valere la nullità della notifica in giudizio . Tuttavia, la procedura nel frattempo va avanti: perciò devi reagire attivamente, non basta eccepire il vizio, bisogna portarlo al giudice con un’opposizione agli atti esecutivi tempestiva. Nel frattempo, il blocco sul conto rimane fino a provvedimento del giudice. - D: Posso prelevare o utilizzare in parte il mio conto pignorato?
R: Dal momento del pignoramento, ciò che è pignorato è congelato. Non puoi disporne, e la banca non può autorizzare movimenti sul denaro vincolato. Se sul conto c’era un saldo superiore all’importo del debito pignorato, talvolta la banca potrebbe lasciarti usare l’eccedenza (ad esempio, debito €5.000, conto €8.000: forse €3.000 potresti ancora prelevarli). Ma spesso, per motivi tecnici, le banche bloccano tutto fino a chiarimento. Puoi provare a chiedere in filiale: “avrei €X in più, posso usarli?”. Se rifiutano, l’unica è chiedere al giudice una riduzione del pignoramento (come spiegato prima) per liberare la parte eccedente . Attenzione: non tentare trucchi come fare bonifici ad altri conti dopo aver saputo informalmente del pignoramento ma prima della notifica formale: il pignoramento è efficace dalla notifica alla banca, quindi qualsiasi spostamento successivo violerebbe l’ingiunzione legale e potrebbe non andare a buon fine o, peggio, potrebbe farti incorrere in responsabilità. - D: Sul conto pignorato mi arriva lo stipendio ogni mese. Continueranno a bloccarmelo ogni volta? Come farò a pagare le bollette?
R: Purtroppo, se il pignoramento persiste (finché il debito non è soddisfatto o la procedura estinta), ogni nuovo accredito può essere intercettato. La banca, informata del pignoramento, dovrebbe trattenere dei nuovi stipendi entro i limiti di legge (un quinto, se credito ordinario) . Ciò significa che, ad esempio, se ti accreditano €1.500 di stipendio sul conto pignorato, la banca potrebbe congelarne €300 e lasciarti €1.200 disponibili. Se però tecnicamente il tuo conto resta “bloccato” potrebbe essere più complicato: alcune banche creano conti interni di transito. Conviene parlarne con la banca per capire il meccanismo. Tieni presente che hai diritto al minimo vitale: come detto sopra, tre volte l’assegno sociale di saldo pregresso intoccabile e l’80% circa di ciascuna mensilità futura. Se noti irregolarità (ad esempio ti bloccano ogni volta tutto lo stipendio) devi segnalarlo e prepararti a fare opposizione per il rispetto dei limiti . Per gestire le spese immediate: potresti chiedere al datore di accreditare lo stipendio su un altro conto (non intestato a te, magari di un familiare) temporaneamente, ma questa non è una soluzione protetta da legge e potrebbe esporre quel terzo a un’azione revocatoria se fatta in frode. La soluzione migliore è risolvere alla radice il pignoramento (tramite accordo, conversione, ecc.) il prima possibile. - D: Ho un solo conto corrente e su quello mi accreditano la pensione minima di circa 700 euro. Possono pignorarmelo?
R: Su una pensione di €700 mensili, formalmente la legge dice che ciò che eccede circa €807 (1,5 assegni sociali) è pignorabile e comunque massimo un quinto dell’eccedenza . In pratica, €700 è sotto la soglia impignorabile assoluta, quindi in busta paga non te l’avrebbero toccata. Se ti hanno pignorato il conto, e sul conto c’erano solo quei €700, dovrebbero lasciarteli integralmente perché sono sotto 3x assegno sociale (~€1.616) . Se invece sul conto si erano accumulati, poniamo, 2 mesi di pensione (€1.400), sarebbero comunque sotto €1.616, quindi integralmente non pignorabili. Insomma, con pensioni minime solitamente il creditore non recupera nulla via conto. Se tuttavia riscontri blocchi, dovrai ricordare alla banca e al giudice il tuo diritto: allega copia cedolino pensione e l’estratto conto. Potrebbe essere che la banca lo faccia automaticamente, ma assicurati che così sia. Nota: se hai anche altri soldi sul conto oltre la pensione, quelli invece sarebbero attaccabili. - D: Il conto è cointestato con mio marito, il debito è solo mio. Il conto è bloccato: rischia di perdere anche lui i suoi soldi?
R: Come spiegato, la tendenza è di salvaguardare la parte dell’altro coniuge non debitore. Quindi in teoria metà saldo dovrebbe essere liberato per lui . Però all’atto pratico, ora come ora tutto il conto risulta vincolato. Tuo marito deve agire prontamente: far valere la sua estraneità, chiedere la liberazione della sua quota (50% presumivo) . Se lui resta inerte, il rischio è che il creditore cerchi di prendersi più di quanto dovrebbe, per questo è importante che intervenga magari con un avvocato. Alla fine, le probabilità che recuperiate almeno la metà sono molto alte. L’altra metà, essendo riferita a te (debitrice), rimarrà pignorata per il tuo debito. Ma tuo marito non dovrebbe “perdere” la sua, se tutto viene portato all’attenzione del giudice. In sintesi: no, tuo marito non perderà i suoi soldi se agisce per tempo nelle sedi opportune, ma attualmente ne è privato fintanto che non viene disposta la suddivisione. - D: La banca può chiudere il conto dopo il pignoramento?
R: Durante la procedura, la banca deve tenere il conto aperto (serve anche per custodire le somme). Dopo che il pignoramento si conclude, se il saldo è stato interamente prelevato e magari siete in rosso con le spese, la banca potrebbe decidere di chiudere il rapporto per “giusta causa” (di solito le condizioni di contratto lo prevedono in caso di azzeramento e pignoramenti). Se volete mantenerlo, parlategli e sistemate eventuali scoperti di spese. Molti preferiscono comunque aprire un nuovo conto (anche in altra banca) se quello vecchio è stato pignorato, per ripartire senza quell’“ombra”. Legalmente potete avere altro conto, ma attenzione: il creditore potrebbe pignorare anche quello se lo viene a sapere (non occorre autorizzazione del giudice per reiterare su altri conti). Quindi, se aprite un nuovo conto e avete ancora debiti scoperti, cercate di tenerlo “profilo basso” (non intestatevi grosse liquidità, usatelo magari solo per incassi correnti strettamente necessari). In caso di pignoramento fiscale, l’agente di riscossione spesso viene a conoscenza dei nuovi conti tramite le banche dati e potrebbe colpirli. - D: Quanto tempo rimarrà bloccato il conto?
R: Se non fai nulla, tipicamente fino all’udienza (se ordinario) e poi fino alla disposizione del giudice di trasferire i fondi. Una procedura snella può sbloccarsi in 1-2 mesi. Se però sorgono contestazioni, opposizioni o il creditore indugia, i tempi si allungano. In caso di pignoramento fiscale, la finestra chiave sono quei 60 giorni: se non paghi o non rateizzi entro quel termine, al 61º giorno la banca invia i soldi all’Erario . Quindi in quel caso il blocco dura 60 giorni (poi i soldi escono proprio dal conto). Se rateizzi subito, invece, la sospensione è praticamente immediata e il blocco dovrebbe essere rimosso quando comunicheranno la dilazione . Riassumendo: da un minimo di 2-3 mesi fino a anche oltre un anno, a seconda delle vicende. Se vedi che sta per prolungarsi troppo, valuta di chiedere al giudice la declaratoria di inefficacia per decorso termini (come detto, se il creditore latita, dopo l’udienza indicata l’obbligo del terzo cessa ). - D: Possono pignorare il conto dove ho solo soldi dei miei genitori che mi hanno delegato?
R: Se il conto è intestato a te, legalmente quei soldi sono considerati tuoi, anche se di fatto erano dei tuoi genitori. Il creditore quindi può pignorarlo. Sta poi a i tuoi genitori eventualmente provare che erano fondi loro e proporre opposizione di terzo. Non è semplice, perché se li hanno versati sul tuo conto, giuridicamente ti hanno fatto una donazione o comunque ne hai la disponibilità tu. Soluzioni? Meglio evitare di tenere sul proprio conto soldi di altri, specialmente se si hanno debiti. Se succede, preparati a documentare con tracciabilità e magari i genitori intervengano nel procedimento sostenendo la loro proprietà (ma se erano contanti regalati, impossibile da dimostrare). Situazione analoga per il conto intestato ai figli minorenni: in teoria non toccabile per debiti dei genitori, ma se un genitore ne ha disponibilità, potrebbero nascere contestazioni. La regola comunque: ciò che formalmente risulta intestato al debitore è aggredibile; se appartiene sostanzialmente a terzi, i terzi devono far valere i loro diritti attivamente. - D: Ho ricevuto un pignoramento da Agenzia Entrate Riscossione di 72-bis sul conto. Ho 60 giorni: e se verso una parte del debito?
R: Versare una parte senza un piano di rateizzazione formalizzato non blocca l’azione. L’ADER prenderà semplicemente ciò che trova fino alla concorrenza del residuo. Quindi, se vuoi evitare il prelievo forzoso, devi pagare tutto entro 60 giorni oppure ottenere un provvedimento (rateizzazione o sospensione giudiziaria) che dica di fermare il pignoramento . Pagare solo metà debito ad esempio ridurrà l’importo dovuto, ma se sul conto c’è abbastanza, al 60° giorno la banca invierà la restante metà. Invece, se chiedi la rateizzazione e ti viene concessa per l’intero importo, pagando la prima rata l’esecuzione si sospende . Quindi, in quei 60 giorni, la mossa giusta è presentare domanda di dilazione all’ADER. Tieni conto che la dilazione standard ti fa pagare in 72 rate ad esempio, con interesse. Se già in passato la tua cartella era decaduta da rateazione, ora c’è la regola che anche col pignoramento in corso puoi ri-rateizzare e bloccare l’azione (introdotto nel 2020). Sfruttala se non puoi saldare subito. - D: Ho più debiti e pignoramenti: uno stipendio già pignorato al 1/5 e ora pure il conto pignorato da un altro creditore. Possono portarmi via oltre il 20% in totale?
R: Purtroppo, sì, può accadere che diversi creditori attacchino fonti diverse. Il codice prevede che su stipendio e pensione il totale pignorato da diversi creditori non superi il 50% del netto (es. un quinto per uno, un quinto per un altro, così due quinti = 40%, ancora ok; ma non oltre metà). Però se un altro creditore pignora il conto separatamente, si crea una sorta di duplicazione. Facciamo un caso: stipendio €1000, il primo creditore A lo pignora dal datore 1/5 = €200; tu ne ricevi €800 in banca; poi un secondo creditore B pignora il conto e su quei €800 forse riesce a pigliarne un quinto anche lui (~€160). Totale prelievi €360 su €1000, cioè il 36%. È ancora sotto il 50%. Se la situazione fosse ancora più complessa, bisogna evitare di superare comunque la metà. Se succedesse, potresti chiedere al giudice di limitare. In pratica, il sistema non è pensato benissimo per coordinare pignoramenti distinti, quindi il rischio è di subire un cumulo (soprattutto con equitalia che può prendere da conto mentre già c’è un quinto sullo stipendio). La tutela fissa è il 50%. Quindi almeno metà del tuo stipendio netto mensile complessivo deve restare a te . Se più azioni combinate lasciassero meno, devi assolutamente farlo presente a un giudice per riequilibrare. - D: Il mio debito è con una banca, posso trattare una soluzione invece del pignoramento?
R: Assolutamente sì, mai è precluso accordarsi. Anzi, le banche spesso preferiscono incassare bonariamente anche a saldo e stralcio piuttosto che seguire lunghe esecuzioni. Se disponi di una somma (magari prestito da familiari) inferiore al debito ma subito pronta, proponila al creditore in cambio dell’immediato ritiro del pignoramento. Spesso tramite il legale si può concordare: paghi (ad esempio il 70% del dovuto) e loro rinunciano all’esecuzione. Formalizzate sempre tutto con un accordo scritto e la quietanza finale. Una volta che il creditore rinuncia agli atti, il giudice estingue la procedura e la banca sblocca il conto. Questo tipo di transazione è possibile con qualsiasi creditore (banche, finanziarie, privati, condomini, ecc.), meno con l’Erario perché ha regole rigide (ma esistono le “rottamazioni” e conciliazioni tributarie). Quindi sì, vale la pena provare a negoziare: male che vada il creditore rifiuta, ma spesso un compromesso conviene a entrambi. - D: Dopo che il conto è stato pignorato e svuotato, posso chiederne la chiusura e aprirne uno nuovo altrove?
R: Sì, puoi farlo. Tieni presente però due cose: (1) Finché la procedura non è conclusa ufficialmente, è meglio non chiudere il conto perché è sotto vincolo di legge (anche se svuotato). Aspetta almeno l’ordinanza del giudice e la comunicazione di esito. (2) Aprendo un nuovo conto, come accennato, se hai ancora debiti residui, nulla impedisce a futuri creditori di pignorare anche il nuovo. Non esiste una “lista nera dei conti” collegata, ma creditori come Agenzia Entrate hanno accesso all’anagrafe conti e periodicamente fanno indagini. Tuttavia, non c’è ragione di non aprire un altro conto per le esigenze di vita; anzi è consigliabile averne uno “pulito” per proseguire. In sintesi: sì, apri un nuovo conto per l’uso quotidiano; quanto al vecchio, se era importante (ad es. avevi domiciliazioni) trasferisci tutto, poi dopo la chiusura dell’esecuzione, chiudi quello pignorato. - D: Il pignoramento del conto vale anche per la mia carta prepagata/Paypal/etc.?
R: Se la carta/prepagata è nominativa e ha IBAN (come Postepay Evolution, ecc.), potrebbe essere individuata e pignorata allo stesso modo di un conto. I creditori di solito pignorano conti presso banche e Poste, ma oggi molte prepagate con IBAN rientrano. Paypal e simili, in teoria potrebbero se il creditore lo sa, ma non è di uso comune (giuridicamente è un credito verso Paypal). In generale, non date per sicuro che i soldi su strumenti “alternativi” siano al riparo: la legge consente il pignoramento di “ogni credito che il debitore vanta verso terzi”. Dunque, se avete fondi significativi su una piattaforma, legalmente pignorabili lo sono. Certo, il creditore deve esserne a conoscenza e attivarsi. Molti non considerano i wallet elettronici, ma l’Agente Fiscale per esempio li conosce. Quindi, non fateci troppo affidamento. Meglio regolare la situazione debitoria piuttosto che tentare di nascondere il denaro in questi rivoli (che, oltre tutto, può essere illecito se fatto per sottrarsi deliberatamente alle azioni esecutive).
Esempi pratici e simulazioni
Per comprendere meglio come le regole si applicano nella realtà, ecco alcuni casi pratici simulati riguardanti il pignoramento del conto corrente, con la spiegazione dell’esito atteso secondo la legge.
Esempio 1: Stipendio accreditato prima del pignoramento
- Scenario: Mario ha sul conto €2.000, provenienti dallo stipendio di settembre (accreditato il 1° ottobre). Il 15 ottobre la banca riceve un atto di pignoramento per un debito di €5.000 verso un finanziatore.
- Cosa accade: Poiché i €2.000 erano accreditati prima della notifica del pignoramento, Mario beneficia della protezione di cui all’art.545 c.p.c.: impignorabilità fino al triplo dell’assegno sociale. Stimando l’assegno sociale mensile ~€538, il triplo è ~€1.616. Dunque, di quei €2.000, solo la parte eccedente €1.616 è pignorabile, cioè circa €384 . La banca quindi dovrebbe congelare €384 per il pignoramento e lasciare €1.616 disponibile a Mario. In pratica Mario si troverà con €1.616 utilizzabili per le sue spese, mentre €384 rimangono bloccati in attesa dell’assegnazione al creditore. Se questo avviene, il creditore recupererà solo €384. Il resto del debito rimarrà insoddisfatto (a meno che Mario non riceva altri accrediti successivi).
- Note: Mario farebbe bene comunque a far presente alla banca e al giudice l’origine stipendiale di quei fondi, per sicurezza . In udienza, presumibilmente il giudice assegnerà al creditore quei €384 e dichiarerà improduttivo il pignoramento per il resto. Mario dovrà ancora dei soldi al creditore, che potrà tentare altro (pignorare lo stipendio presso il datore, ad esempio). Nel frattempo, Mario ha potuto salvare gran parte del suo stipendio mensile grazie alla norma protettiva.
Esempio 2: Stipendi successivi su conto già pignorato
- Scenario: Nel caso precedente, Mario non aveva soddisfatto tutto il debito (rimangono €4.616). Il pignoramento sul conto rimane in piedi. Mario continua a lavorare e il 1° novembre riceve un altro stipendio di €2.000 sul medesimo conto (ancora sotto pignoramento).
- Cosa accade: Questo accredito avviene dopo la notifica del pignoramento, dunque rientra nella seconda parte della regola: pignorabile nei limiti di 1/5 (essendo un creditore ordinario) . Quindi la banca dovrà congelare il 20% di €2.000 = €400, lasciando a Mario gli altri €1.600. In questo modo, a novembre il creditore recupererà €400 in più (verosimilmente tramite un’ordinanza del giudice che estende il pignoramento sulle mensilità successive). A dicembre, se arriva un altro stipendio, altre €400, e così via finché il creditore recupera tutto il suo credito residuo o finché Mario cambia strategia (ad esempio cercando di accordarsi o convertire).
- Note: Mario somma quindi all’importo già preso (€384) altri prelievi mensili di €400. In cinque mensilità circa il creditore potrebbe soddisfarsi (per arrivare a €5.000). In totale, Mario avrà subito un prelievo forzoso pari a un quinto di ogni mensilità. Questo è esattamente l’effetto voluto dalla legge: anche se il creditore ha attaccato il conto in blocco, di fatto riesce a prelevare come avrebbe fatto se avesse pignorato la busta paga a fonte.
Esempio 3: Conto cointestato con saldo elevato
- Scenario: Anna e suo padre hanno un conto cointestato con firma disgiunta. Il saldo è €20.000, proveniente in gran parte dalle pensioni del padre e in parte da risparmi di Anna. Anna ha un debito con un fornitore, che pignora quel conto per €15.000.
- Cosa accade: La banca alla notifica blocca i €15.000 (dato che sul conto ce ne sono €20.000, tecnicamente potrebbe vincolare solo la somma richiesta). Tuttavia il conto è cointestato, il che complica le cose. Il padre di Anna, non debitore, ha diritto alla sua quota. Presumendo quote 50/50, la quota del padre nelle €20.000 è €10.000. Egli può rivendicarla. Quindi:
- In prima battuta, la banca potrebbe dichiarare al giudice: “conto cointestato A e B, saldo €20.000; vincolati €15.000 in attesa di istruzioni”.
- Se nessuno interviene, il giudice dovrebbe assegnare al creditore di Anna solo la metà del saldo, ossia €10.000, (o comunque non più della quota di Anna) . È probabile che quindi ordini di pagare €10.000 al creditore e sbloccare il resto.
- Il padre comunque, assistito da legale, interviene e conferma: “Chiedo la liberazione della mia metà (€10.000)”. Il giudice a quel punto molto verosimilmente dispone subito che €10.000 siano svincolati per il padre (quindi disponibili nuovamente) e che i rimanenti €10.000 restino vincolati per il debito di Anna. Il creditore otterrà al massimo €10.000, ossia la parte di Anna.
- Esito: Il creditore, se il debito era €15.000, recupera €10.000 e resta insoddisfatto per €5.000, a meno che Anna abbia altri beni. Il padre conserva i suoi €10.000. Il conto probabilmente verrà sdoppiato o comunque verrà chiesto di separare i fondi. Tutto ciò sulla base della presunzione di ripartizione paritaria . Se per caso Anna sostenesse che in realtà quei soldi erano tutti del padre (dunque lei zero), potrebbero liberare tutto, ma solo con prova convincente, il che è arduo perché anche lei era intestataria. D’altro canto, se il creditore mostrasse che magari i bonifici in conto provenivano da redditi di Anna in maggioranza, avrebbe potuto cercare di ottenere più del 50%. In mancanza di queste dimostrazioni, la regola del 50% ha protetto il co-intestatario estraneo.
- Nota pratica: in questo esempio, inizialmente €15.000 risultano non utilizzabili per entrambi. Solo dopo l’azione del padre e/o l’ordinanza del giudice la situazione si sblocca. Ciò illustra perché il co-intestatario deve essere reattivo: altrimenti rischia di attendere mesi col denaro congelato.
Esempio 4: Pignoramento esattoriale e rateizzazione
- Scenario: Luigi ha una cartella esattoriale non pagata di €8.000 per tasse. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione notifica un atto di pignoramento ex art.72-bis sul suo conto in banca il 1° marzo, intimando alla banca di pagare le somme entro 60 giorni. Sul conto Luigi ha €5.000 disponibili.
- Cosa accade senza intervento: la banca congela i €5.000 immediatamente. Luigi se non fa nulla, entro il 30 aprile quei €5.000 saranno prelevati dalla banca e girati all’ADER. Ciò estinguerà parzialmente il debito (gliene resteranno €3.000 ancora da riscuotere, per cui il Fisco potrà fare altri atti su futuri accrediti o altri conti).
- Intervento con rateizzazione: Luigi però il 15 marzo si attiva, presenta domanda di rateizzazione all’ADER per l’intero importo di €8.000 in 10 rate mensili, e versa subito la prima rata. L’ADER accoglie il piano e comunica la sospensione. La legge stabilisce che dal momento in cui è concesso il piano e pagata la prima rata, il pignoramento è sospeso automaticamente . Quindi la banca, ricevuta conferma dall’ADER o dal debitore, sblocca il conto (viene meno l’obbligo di pagamento dei €5.000). Luigi torna a disporre dei suoi €5.000.
- Dopo la rateizzazione: Luigi dovrà però rispettare le rate mensili con puntualità. Finché lo fa, il pignoramento rimane fermo (non viene concluso né prosegue). Una volta pagate tutte le rate (poniamo €800 al mese per 10 mesi), il debito sarà estinto e l’ADER rinuncerà formalmente all’esecuzione, chiudendo la pratica. Se invece Luigi non paga qualche rata e la dilazione decade, l’ADER potrà riprendere l’esecuzione dal punto in cui era: quindi potrebbe tornare alla banca e farsi dare quei €5.000 (se ancora presenti) senza bisogno di un nuovo atto .
- Nota: in questo esempio Luigi è riuscito a “salvare” i suoi €5.000 grazie allo strumento della dilazione. Se non avesse avuto l’opportunità di rateizzare (ad esempio perché la legge non lo consentiva o aveva già decaduto in passato), l’unica alternativa sarebbe stata pagare tutto entro 60 giorni per liberare il conto, cosa che non poteva. Quindi avrebbe perso i €5.000 comunque.
Esempio 5: Opposizione per somme impignorabili
- Scenario: Carla ha sul conto €3.000. Di questi, €1.000 provengono da un piccolo assegno di mantenimento mensile che il suo ex marito le versa per i figli (riconosciuto dal tribunale); €500 sono un sussidio comunale; il resto €1.500 sono suoi risparmi. Un creditore pignora il conto per €4.000.
- Cosa accade: La banca non può sapere l’origine delle somme, a meno che Carla non glielo segnali. Potrebbe quindi bloccare l’intero saldo €3.000, in attesa di istruzioni. Carla all’udienza deve far presente che quei €1.000 di mantenimento per i figli e i €500 di sussidio sono impignorabili al 100%, essendo crediti alimentari e di assistenza . Il giudice, verificato ciò (magari Carla produce la sentenza di divorzio e la lettera del Comune per il sussidio), escluderà tali somme dal pignoramento. Significa che di €1.500 impignorabili il creditore non potrà prendere nulla. Resteranno aggredibili solo €1.500 (i risparmi “generici” di Carla). Dunque, alla fine, il giudice potrà assegnare al creditore €1.500 (anche se aveva chiesto 4.000) e dichiarare inefficace il pignoramento per gli altri €1.500 . La banca dovrà quindi restituire a Carla gli importi di mantenimento e sussidio.
- Esito pratico: Carla ha dovuto però agire per far valere questi diritti. Se fosse rimasta silente, c’era il rischio che il creditore ottenesse l’assegnazione anche dei €3.000 e Carla poi avrebbe dovuto recuperare dopo le somme impignorabili (più complicato). Questo esempio mostra l’importanza di portare all’attenzione del giudice le cause di impignorabilità. La legge è dalla parte di Carla per quei importi, ma bisogna attivarsi affinché venga applicata correttamente.
Conclusione: Affrontare un pignoramento del conto corrente richiede sangue freddo, conoscenza dei propri diritti e spesso l’assistenza di un legale. La prima mossa – raccogliere informazioni e tutelare le somme indispensabili – è cruciale per poi poter mettere in campo i vari rimedi previsti dall’ordinamento. Sebbene il creditore abbia dalla sua la forza esecutiva, il debitore non è privo di tutela: dalla legislazione emergono chiari principi di equilibrio (come la salvaguardia del minimo vitale e dei terzi estranei ) e possibilità di soluzioni negoziali o giudiziarie per uscire dalla morsa del pignoramento in maniera sostenibile. Aggiornarsi sulle ultime novità normative (come quelle introdotte nel 2023-2024) e sulle pronunce giurisprudenziali più rilevanti consente di giocare le proprie carte al meglio, anche in situazioni di emergenza finanziaria.
In definitiva, la “prima mossa” migliore è la consapevolezza: capire cosa sta succedendo, quali sono le regole del gioco e agire di conseguenza, senza lasciarsi sopraffare dall’inerzia. Da lì, costruire una strategia (che sia pagare, negoziare o combattere legalmente) per proteggere i propri diritti e cercare di risolvere la situazione debitoria. Questa guida avanzata ha fornito gli strumenti per farlo, con l’auspicio che ogni lettore – avvocato, imprenditore o privato cittadino – possa trarne spunti utili per affrontare efficacemente la problematica del conto corrente pignorato.
Fonti e riferimenti normativi e giurisprudenziali
- Codice di Procedura Civile – Artt. 492, 543, 545, 546, 548, 552, 615, 617, 619 c.p.c. (Disciplina del pignoramento presso terzi, limiti di pignorabilità, opposizioni del debitore e del terzo).
- Codice Civile – Artt. 1294, 1298, 1854 c.c. (Solidarietà tra condebitori, presunzione di parti uguali, conti correnti cointestati).
- D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, Artt. 72-bis e 72-ter (Norme sulla riscossione delle imposte: pignoramento diretto presso terzi da parte dell’Agente della Riscossione; limiti di pignorabilità per stipendi e pensioni esattoriali) .
- Decreto Legge 27 giugno 2015 n. 83, conv. in L.132/2015 – Modifiche all’art. 545 c.p.c. introducendo la soglia impignorabile pari al triplo dell’assegno sociale per stipendi e pensioni accreditati in conto .
- Legge 26 novembre 2021 n. 206 e D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (“Riforma Cartabia”), e D.Lgs. 31 ottobre 2024 n. 164 (correttivo) – Riforme del processo civile e dell’esecuzione forzata. In particolare, modifiche all’art. 543 c.p.c. (avviso iscrizione a ruolo) e digitalizzazione delle procedure , efficacia pignoramento in caso di omesso avviso .
- Corte Costituzionale, sentenza n. 248/2015 – Principio del minimo vitale impignorabile (80% dello stipendio garantito, pensione impignorabile sotto 1,5x assegno sociale) .
- Corte di Cassazione, Sez. III, sentenza n. 20294/2011 – Natura del pignoramento ex art.72-bis DPR 602/73 come espropriazione presso terzi speciale .
- Corte di Cassazione, Sez. III, sentenza n. 2857/2015 – Conferma applicabilità disciplina ordinaria alle procedure ex art.72-bis (nei limiti di compatibilità) .
- Corte di Cassazione, Sez. VI-III, ord. n. 26549/2021 – Ribadisce che l’ordine di pagamento dell’ADER dà luogo a un vero processo esecutivo presso terzi, soggetto alle regole ordinarie compatibili .
- Corte di Cassazione, Sez. III, ord. n. 16236/2022 – Ulteriore pronuncia di legittimità sul pignoramento esattoriale (conferma natura e condizioni) .
- Corte di Cassazione, Sez. V, sentenza n. 32203/2019 – Sull’effetto satisfattivo immediato del pagamento del terzo in pignoramento 72-bis (chiusura procedura senza assegnazione giudiziale) .
- Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza n. 685/2012 – Estensione dei limiti di pignorabilità (quota) anche a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, agenti e altri non subordinati .
- Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza n. 8758/1993 – Principio di presunzione di eguaglianza delle quote tra cointestatari (riferimento giurisprudenziale pacifico) .
- Corte d’Appello di Roma, sentenza n. 6123/2016 – Pignoramento di conto cointestato: il creditore può aggredire solo la quota di spettanza del debitore, presunta pari al 50% ; obbligo di notifica dell’atto a tutti i cointestatari, pena nullità .
- Tribunale di Verona, ord. 25.02.2023 (Giudice dell’Esecuzione) – Ha sospeso l’esecuzione sulla metà delle somme giacenti su conto cointestato in accoglimento parziale di opposizione (confermando tutela del contitolare) .
- Arbitro Bancario Finanziario (Collegio ABF Milano) – Orientamento (superato) secondo cui sul conto cointestato vi è confusione patrimoni e legittimità del blocco dell’intero saldo .
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💥 Cosa significa “conto corrente pignorato”
Il pignoramento del conto corrente è un atto con cui un creditore (privato o pubblico) ordina alla banca di bloccare le somme disponibili sul tuo conto per recuperare un credito.
Può essere eseguito da:
- un creditore privato (banca, finanziaria, ex datore di lavoro, privato);
- un ufficiale giudiziario, su ordine del giudice;
- l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, senza passare dal Tribunale, in base a una cartella esattoriale.
📌 Dal momento in cui il pignoramento arriva alla banca, tutti i fondi presenti vengono congelati (fino all’importo indicato nell’atto).
Tu non puoi prelevare, pagare o ricevere somme, salvo alcune eccezioni previste dalla legge.
⚖️ Quando il pignoramento è valido
Il pignoramento è valido solo se esiste un titolo esecutivo legittimo, ossia un documento che giustifica l’azione del creditore.
Può essere:
- una sentenza o decreto ingiuntivo esecutivo;
- una cartella esattoriale o avviso di addebito INPS regolarmente notificato;
- un assegno protestato o cambiale scaduta;
- un contratto o mutuo con clausola di esecutorietà.
📌 Se manca il titolo esecutivo o se la notifica è avvenuta in modo irregolare, il pignoramento è nullo e può essere impugnato immediatamente.
⏱️ La prima mossa da fare: bloccare il pignoramento
Appena scopri che il conto è bloccato, non perdere tempo. Le prime ore sono decisive.
💠 1. Richiedi subito alla banca copia dell’atto di pignoramento
Hai diritto a ricevere gratuitamente:
- copia dell’atto di pignoramento notificato alla banca;
- l’indicazione dell’autorità che lo ha emesso (Tribunale o Agenzia delle Entrate);
- la data di ricezione e l’importo oggetto di blocco.
📌 Questo documento è fondamentale per capire chi è il creditore e su quale titolo si fonda il pignoramento.
💠 2. Controlla la notifica degli atti precedenti
Verifica se hai ricevuto:
- cartelle esattoriali, ingiunzioni o sentenze;
- eventuali PEC o raccomandate con intimazioni di pagamento.
📌 Se non hai mai ricevuto alcuna notifica o se gli atti sono prescritti, il pignoramento può essere impugnato per nullità.
💠 3. Blocca il pignoramento con un ricorso urgente
A seconda del tipo di creditore:
- 🏛️ Pignoramento privato: puoi presentare opposizione al pignoramento davanti al Tribunale (art. 615 o 617 c.p.c.), chiedendo la sospensione immediata dell’esecuzione.
- 🏦 Pignoramento esattoriale (Agenzia delle Entrate): puoi presentare un’istanza di sospensione in autotutela o un ricorso tributario urgente per vizi di notifica o prescrizione.
📌 Il giudice può sospendere in tempi rapidi (anche 48 ore) gli effetti del pignoramento se emergono irregolarità o motivi urgenti.
💸 Cosa puoi ancora prelevare o usare
Anche con il conto pignorato, la legge tutela una parte minima dei tuoi redditi:
- Se sul conto è accreditato uno stipendio o pensione, la banca deve lasciare disponibile una parte “impignorabile”:
- fino a 1.500 euro circa per le somme già presenti sul conto prima del pignoramento;
- il 20% delle somme future accreditate.
- Se ricevi indennità di disoccupazione, assegni familiari, TFR, sussidi o reddito di cittadinanza, queste somme non possono essere pignorate.
📌 Se la banca ha bloccato anche somme impignorabili, l’avvocato può chiedere lo sblocco immediato.
🧾 Come contestare un pignoramento illegittimo
Puoi impugnare il pignoramento se:
- il titolo esecutivo è prescritto o mai notificato;
- l’atto è firmato da un soggetto non autorizzato;
- l’importo richiesto è errato o già pagato;
- non è stata rispettata la procedura (ad esempio, mancata intimazione di pagamento);
- la banca ha bloccato somme non pignorabili (stipendio, pensione, assegni).
📌 Un ricorso urgente al giudice o all’Agenzia delle Entrate può ottenere la sospensione e successiva cancellazione del pignoramento.
🧩 I documenti da raccogliere subito
- Copia dell’atto di pignoramento notificato alla banca;
- Estratti conto degli ultimi mesi;
- Copia di sentenze, cartelle o intimazioni di pagamento ricevute;
- Comunicazioni della banca o dell’Agenzia delle Entrate;
- Documenti che provano la natura delle somme sul conto (stipendio, pensione, sussidi).
⏱️ Tempi di sblocco del conto
- Se il pignoramento è illegittimo, il giudice può disporre la sospensione in 2–5 giorni.
- Se il pignoramento è valido ma eccessivo, si può chiedere una riduzione o rateizzazione del debito.
- In caso di pignoramento esattoriale, l’istanza di sospensione all’Agenzia delle Entrate viene decisa in circa 30 giorni.
⚖️ I vantaggi di una difesa legale tempestiva
✅ Blocco immediato del pignoramento.
✅ Recupero delle somme impignorabili (stipendi, pensioni, sussidi).
✅ Riduzione o annullamento del debito.
✅ Possibilità di rateizzare o chiudere la posizione in via bonaria.
✅ Tutela del conto e del reddito familiare.
🚫 Errori da evitare
- Ignorare il blocco del conto sperando che si risolva da solo.
- Pagare il debito senza verificare la legittimità dell’atto.
- Non richiedere copia del pignoramento alla banca.
- Non agire subito: dopo 60 giorni il pignoramento può diventare definitivo.
🛡️ Come può aiutarti l’Avv. Giuseppe Monardo
📂 Analizza l’atto di pignoramento e verifica la validità del titolo esecutivo.
📌 Ti consiglia la strategia più efficace: sospensione urgente, opposizione giudiziale o ricorso tributario.
✍️ Redige e deposita i ricorsi per bloccare immediatamente il pignoramento.
⚖️ Ti rappresenta davanti al Tribunale o all’Agenzia delle Entrate-Riscossione.
🔁 Ti assiste fino alla restituzione delle somme e alla chiusura definitiva della procedura.
🎓 Le qualifiche dell’Avv. Giuseppe Monardo
✔️ Avvocato esperto in diritto tributario, riscossione e pignoramenti bancari.
✔️ Specializzato nella difesa di privati, professionisti e imprese contro Agenzia delle Entrate e creditori privati.
✔️ Gestore della crisi da sovraindebitamento iscritto presso il Ministero della Giustizia.
Conclusione
Un conto corrente pignorato non significa che tutto è perduto.
Con una difesa legale immediata, puoi bloccare l’atto, recuperare le somme impignorabili e, in molti casi, annullare del tutto il pignoramento.
La chiave è agire subito, con un controllo tecnico e un ricorso tempestivo.
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