Avere troppi debiti aziendali può mettere a rischio non solo la continuità dell’impresa, ma anche la serenità dell’imprenditore. Quando iniziano ad accumularsi cartelle, solleciti, ritardi nei pagamenti, fornitori che pressano e banche che riducono i fidi, è il segno che serve una strategia immediata e professionale.
La buona notizia è che oggi esistono strumenti concreti e legali per bloccare la crisi, ridurre i debiti e rimettere in sicurezza l’azienda.
Perché le aziende entrano in crisi di debiti
calo degli incassi o perdita di clienti
aumento dei costi di materie prime, energia e manodopera
ritardi nei pagamenti di fornitori e imposte
fidi bancari ridotti o revocati
ritardi nei versamenti di IVA, INPS e tasse
investimenti sbagliati o imprevisti
gestione finanziaria non ottimizzata
crisi dei settori di riferimento
Quasi sempre la crisi nasce da più cause che si sommano nel tempo.
Come risolvere davvero la crisi d’impresa
Analisi professionale dei debiti
Prima di tutto occorre verificare quali debiti sono corretti e quali possono essere contestati, ridotti o prescritti. Molte posizioni si possono eliminare completamente.
Ristrutturazione del debito
È possibile rinegoziare importi, tempi e modalità di pagamento con:
banche
fornitori
Agenzia delle Entrate Riscossione
INPS
finanziarie
In molti casi si ottengono riduzioni sostanziali o piani sostenibili.
Rateizzazioni sostenibili
Con AE Riscossione si possono ottenere rate fino a 120 mesi, basate sulla capacità finanziaria dell’azienda.
Blocco immediato delle azioni esecutive
È possibile fermare:
pignoramenti
fermi amministrativi
ipoteche
decreti ingiuntivi
preavvisi di fermo
per guadagnare tempo e proteggere l’operatività.
Trattative di saldo e stralcio
Con banche e privati spesso si possono chiudere le posizioni con una percentuale ridotta del debito.
Sovraindebitamento (L. 3/2012)
Strumento potentissimo per micro e piccole imprese.
Permette:
blocco dei creditori
pagamento solo di una parte sostenibile
cancellazione del debito residuo
continuazione dell’attività
Composizione negoziata della crisi (D.L. 118/2021)
Ideale per aziende ancora attive ma in difficoltà: un esperto nominato dallo Stato aiuta a rinegoziare i debiti con protezione legale.
I rischi se non intervieni
pignoramento del conto aziendale
blocco dei fidi e dei pagamenti
perdita di fornitori strategici
fermo dei mezzi e dei macchinari
licenziamenti e calo produttivo
chiusura forzata dell’azienda
Ogni mese che passa la situazione peggiora.
Come può aiutarti l’Avvocato Monardo
Detto questo, l’avvocato Monardo, cassazionista, coordina un team nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario.
Inoltre è:
Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012)
iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia
professionista fiduciario presso un OCC – Organismo di Composizione della Crisi
Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Può aiutarti a:
bloccare pignoramenti e azioni esecutive
ridurre o cancellare parte dei debiti
ottenere piani di pagamento sostenibili
ristrutturare rapporti con banche e fornitori
applicare la procedura più efficace per salvare l’azienda
Agisci ora
Le aziende non falliscono per i debiti, ma perché intervengono troppo tardi.
Una strategia costruita su misura può salvare la tua impresa e permetterti di ripartire.
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Introduzione
Una situazione di crisi d’impresa si verifica quando la tua azienda accumula troppi debiti e fatica a pagarli regolarmente. La normativa italiana definisce lo stato di crisi come lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza, manifestandosi tipicamente nell’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi . In altre parole, se le entrate previste non basteranno a pagare debiti e spese in scadenza nell’anno successivo, l’impresa è in crisi. L’insolvenza vera e propria è il passo successivo: una situazione più grave in cui il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (pagamenti sospesi, protesti, pignoramenti in atto, ecc.).
Affrontare tempestivamente una crisi aziendale è fondamentale. Dal 2019 il legislatore ha introdotto un nuovo quadro normativo organico: il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, “CCII”), entrato pienamente in vigore dal 15 luglio 2022 con le modifiche di attuazione della direttiva UE 2019/1023 sulla ristrutturazione e l’insolvenza . Questo Codice ha riformato profondamente gli strumenti per la gestione della crisi, sostituendo la vecchia legge fallimentare del 1942 (R.D. 267/1942) e introducendo sia procedure concorsuali giudiziali (come il concordato preventivo e la liquidazione giudiziale, che ha preso il posto del “fallimento”) sia strumenti stragiudiziali o “di allerta soft” per favorire la risoluzione anticipata delle difficoltà . L’obiettivo dichiarato della riforma è duplice: da un lato favorire l’emersione tempestiva della crisi (incentivando l’imprenditore ad attivarsi volontariamente, prima che la situazione degeneri) e, dall’altro, privilegiare il salvataggio dell’impresa in continuità ogniqualvolta sia possibile . Ciò significa che la legge incoraggia le aziende a intervenire presto e, se esistono prospettive di risanamento, a preferire soluzioni che consentano di proseguire l’attività (totalmente o in parte) rispetto alla mera liquidazione.
Dal punto di vista del debitore (sia esso un imprenditore individuale, una PMI o i dirigenti di una S.r.l.), la nuova normativa offre una serie di strumenti graduati per affrontare l’eccesso di debiti. Alcuni strumenti sono negoziali e volontari, altri implicano l’intervento del tribunale e regole più rigide. In questa guida approfondiremo tutte le opzioni disponibili aggiornate a ottobre 2025, incluse le novità normative più recenti (ad esempio il decreto correttivo ter del 2024) e le più recenti pronunce giurisprudenziali. Useremo un linguaggio tecnico-giuridico ma con finalità divulgative, pensando sia agli avvocati che assistono imprese in difficoltà sia agli imprenditori e privati che vogliono comprendere come salvare la propria azienda sommersa dai debiti.
Tratteremo sia le soluzioni stragiudiziali (come il piano attestato di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti) sia quelle giudiziali (concordato preventivo, concordato semplificato, liquidazione giudiziale, ecc.), senza dimenticare gli strumenti per i soggetti “minori” (concordato minore, procedure di sovraindebitamento). Dedicheremo attenzione anche agli aspetti fiscali, previdenziali e bancari legati alla crisi, spesso decisivi per il buon esito del risanamento. Troverai inoltre tabelle riepilogative, esempi pratici e una sezione di Domande & Risposte per chiarire i dubbi più comuni.
È importante sottolineare che ignorare una crisi di debiti può avere conseguenze gravissime: gli amministratori che tardano ad attivarsi rischiano responsabilità civili (verso i creditori per aggravamento del dissesto) e persino penali in caso di bancarotta fraudolenta. La riforma impone all’imprenditore di dotarsi di “assetti organizzativi adeguati” per rilevare precocemente gli indizi di crisi e attivarsi subito . Già da alcuni anni la legge (art. 2086 c.c.) obbliga gli amministratori a monitorare costantemente la solvibilità dell’azienda, pena responsabilità personali. Inoltre, segnali d’allarme oggettivi come stipendi arretrati oltre 30 giorni, rate bancarie scadute da più di 60 giorni, o fornitori non pagati da oltre 90 giorni possono innescare obblighi di intervento immediato . Anche alcuni creditori pubblici qualificati (Agenzia Entrate, INPS, agente della riscossione) hanno il dovere di segnalare formalmente l’esistenza di debiti scaduti oltre soglie di legge, mettendo in allerta l’organo amministrativo affinché corra ai ripari . Restare inerti di fronte a questi avvisi è estremamente pericoloso: una volta conclamata l’insolvenza, l’inerzia degli amministratori sarà palese e potrà essere sanzionata severamente, con perdita dei benefici della legge e responsabilità diretta per aver aggravato il dissesto .
In sintesi, se la tua impresa ha troppi debiti, non aspettare che la situazione precipiti fino al punto di non ritorno. Hai a disposizione diversi strumenti per gestire e risolvere la crisi, ciascuno con requisiti, procedure e effetti diversi. Nelle sezioni seguenti li esamineremo uno per uno, per aiutarti a capire come funzionano e quando conviene usare l’uno o l’altro, in modo da poter scegliere consapevolmente la via migliore per ristrutturare i debiti e salvare l’azienda o, nei casi estremi, liquidarla evitando guai peggiori. Cominciamo dagli strumenti stragiudiziali, ossia quelli che puntano a un accordo volontario tra debitore e creditori senza aprire una procedura concorsuale in tribunale.
Strumenti stragiudiziali di risanamento
Gli strumenti stragiudiziali sono soluzioni volontarie e negoziali per superare la crisi d’impresa, senza l’intervento diretto del tribunale (se non in forma minima e di controllo eventuale). Essi consentono all’imprenditore di ristrutturare i debiti e risanare l’azienda attraverso accordi con i creditori, mantenendo il controllo dell’attività e riducendo pubblicità e costi rispetto alle procedure concorsuali. Nel Codice della Crisi, pur facendo parte del quadro normativo, questi strumenti non sono vere e proprie “procedure concorsuali”: si tratta di percorsi privatistici, basati sull’autonomia negoziale delle parti . Il debitore dunque rimane al timone della propria azienda durante il risanamento, e l’autorità giudiziaria – di regola – non interviene nel merito del piano, salvo alcune omologhe o attestazioni quando previste.
Le soluzioni stragiudiziali principali previste dall’ordinamento italiano sono: (1) il Piano attestato di risanamento; (2) gli Accordi di ristrutturazione dei debiti (in varie forme, compresi quelli “agevolati” e “ad efficacia estesa”); (3) la Composizione negoziata della crisi. Vediamoli nel dettaglio uno ad uno.
1. Piano Attestato di Risanamento (art. 56 CCII)
Il Piano attestato di risanamento è il più “privato” degli strumenti di regolazione della crisi: consiste in un piano di risanamento elaborato dall’imprenditore in crisi (anche in stato di insolvenza reversibile) e asseverato da un professionista indipendente (l’attestatore) circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso . Questo strumento ha origine dalla prassi ed era già previsto nella vecchia legge fallimentare (art. 67, co.3, lett. d L.F.), ma solo nei suoi effetti. Il Codice della Crisi ne ha “positivizzato” la disciplina all’art. 56 CCII , specificando i requisiti di contenuto e forma del piano.
Chi può utilizzarlo: il piano attestato di risanamento è riservato agli imprenditori commerciali in crisi o insolvenza non irreversibile, tipicamente quelli assoggettabili a fallimento (oggi liquidazione giudiziale) . È quindi pensato per società di capitali (S.r.l., S.p.A., ecc.) o imprese più grandi; in teoria anche un imprenditore minore potrebbe farlo, ma in genere i piccoli imprenditori optano per le soluzioni di sovraindebitamento. Il presupposto oggettivo è che l’impresa versi in uno stato di crisi (o anche di insolvenza, purché non irreversibile) in un’ottica di possibile continuazione dell’attività . In pratica, l’azienda deve avere prospettive di recupero mediante ristrutturazione del debito e riequilibrio finanziario, preferibilmente con mantenimento della continuità aziendale (anche indiretta, ad es. attraverso cessione d’azienda a un soggetto terzo che prosegua l’attività) .
Caratteristiche del piano: il piano attestato è un accordo di natura contrattuale e non richiede il consenso di tutti i creditori. Anzi, può essere realizzato anche senza coinvolgere attivamente parte del ceto creditorio (ad esempio, può prevedere nuova finanza e pagamento integrale di alcuni creditori, dilazionato accordi bilaterali con altri, ecc.). Ciò nonostante, il piano deve avere un carattere unitario, coerente e attendibile, idoneo a riequilibrare la situazione finanziaria complessiva dell’impresa . Il contenuto è libero ma deve includere: l’analisi della situazione iniziale, le strategie di risanamento (ad es. ristrutturazione del debito, dismissione di asset, aumento di capitale, riduzione costi, ecc.), le proiezioni finanziarie e gli effetti attesi, con indicazione delle risorse apportate per soddisfare i creditori. Fondamentale è la relazione di un esperto indipendente che attesta: (a) la veridicità dei dati aziendali esposti e (b) la fattibilità economica del piano di risanamento . L’attestatore deve essere un professionista dotato dei requisiti di indipendenza previsti dalla legge (es. iscritto albo revisori o professionisti crisi, non legato all’azienda). L’attestazione serve a dare credibilità al piano verso terzi e, in caso di successiva insolvenza, a garantire che il tentativo di risanamento fosse basato su informazioni corrette e ipotesi realistiche.
Procedura e formalità: non c’è un “procedimento” giudiziario. Il piano non passa per l’omologazione del tribunale né necessita di autorizzazioni pubbliche . Solitamente il debitore formalizza il piano per iscritto, corredato dalla relazione attestativa, e – se opportuno – ne deposita una copia presso il registro delle imprese o ne dà notizia ai creditori coinvolti. Non è obbligatorio depositarlo pubblicamente, ma spesso si effettua un deposito (in camera di commercio o presso un notaio) per data certa e per poter godere degli effetti protettivi (ad esempio in tema di revocatoria fallimentare). Sul piano in sé non si tiene alcun voto dei creditori né udienza: spetta al debitore ottenere consensualmente le eventuali adesioni necessarie (ad es. dalla banca per prorogare un fido, dal socio per apportare capitali, ecc.) e poi darvi esecuzione.
Effetti e vantaggi per il debitore: il principale beneficio del piano attestato è la protezione dalle azioni revocatorie e penali in caso di successiva insolvenza. La legge infatti prevede che gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del piano attestato non siano soggetti a revocatoria fallimentare (art. 56 co.3 CCII, che ricalca l’ex art. 67 L.F.) . Ciò significa che, se anche l’azienda dovesse fallire dopo aver tentato il piano, le operazioni compiute secondo il piano (es. pagamenti privilegiati a certi fornitori, vendite di beni, costituzione di garanzie a nuovi finanziatori) non potranno essere annullate dal curatore, purché effettuate in buona fede e coerenti col piano. Inoltre, l’esecuzione di un piano attestato esclude di per sé la configurabilità di alcuni reati di bancarotta: non è considerata distrazione il pagamento di un creditore o la vendita di un bene fatta in attuazione del piano di risanamento, salvo frodi. Restano comunque escluse dalla “protezione” le ipotesi di dolo o colpa grave del debitore o dell’attestatore, se il terzo (ad esempio un creditore favorito) ne era a conoscenza . Dunque, se il piano attestato è redatto e seguito in buona fede, il successivo fallimento non penalizzerà l’imprenditore per aver provato il risanamento.
Altri vantaggi: il piano attestato consente grande flessibilità (non servono percentuali di voto né rispettare rigidamente l’ordine dei privilegi come nelle procedure concorsuali) ed è riservato, nel senso che può svolgersi lontano dai riflettori (nessuna dichiarazione formale di “insolvenza” in Tribunale). L’imprenditore mantiene la piena gestione dell’azienda durante tutto il processo . Questo strumento è indicato quando la crisi è ancora gestibile con accordi mirati con alcuni creditori chiave o con operazioni straordinarie, e si vuole evitare l’impatto negativo di una procedura concorsuale (perdita di fiducia di clienti, banche, ecc.).
Limiti e rischi: di contro, il piano attestato non offre meccanismi coercitivi verso i creditori dissenzienti. Significa che se anche 90% dei creditori aderisce ma un 10% rifiuta e avvia azioni esecutive, il piano da solo non li può fermare. Non c’è automatico stay delle azioni esecutive: per bloccare eventuali pignoramenti o istanze di fallimento, il debitore deve negoziare anche con quei creditori o attivare parallelamente misure protettive previste da altri istituti (ad esempio presentare un ricorso di concordato preventivo “in bianco” per ottenere lo stay, ma ciò comporta l’ingresso in procedura concorsuale). Inoltre, il successo del piano attestato dipende fortemente dalla credibilità dell’attestatore e dalla fiducia dei creditori: se banche o fornitori non reputano convincente l’attestazione, potrebbero non aderire. Un altro rischio è che, essendo un percorso non soggetto a controllo giudiziario, eventuali contestazioni tra debitore e creditori sull’adempimento restano sul piano contrattuale (potrebbero sfociare in cause civili se qualcuno accusa l’altro di inadempimento agli accordi). In sintesi, il piano attestato è efficace se c’è convergenza e buona fede tra l’impresa e la maggior parte dei creditori principali; viceversa, con un fronte di creditori ostili potrebbe non bastare a evitare azioni aggressive.
Esempio pratico: Alfa S.r.l. ha 10 milioni di debiti, ma prospettive di mercato ancora buone. I debiti principali sono verso la banca Alfa (2 milioni mutuo ipotecario), alcuni fornitori (4 milioni), e debiti fiscali e previdenziali (IVA, INPS arretrati per 1 milione ciascuno). Alfa S.r.l. elabora, con l’aiuto di un professionista, un piano di risanamento a 5 anni: i soci apportano nuovo capitale, l’azienda cede un ramo d’azienda non strategico, e grazie a questi fondi propone ai fornitori un accordo: pagamento del 80% del loro credito in 36 mesi. La banca mantiene il finanziamento ma con piano di rientro allungato. Agenzia delle Entrate e INPS concedono una rateazione ordinaria (fuori procedura concorsuale, entro i limiti di legge). Un esperto indipendente attesta che i dati sono corretti e che il piano è sostenibile (le proiezioni mostrano che con l’apporto dei soci e la dismissione, Alfa S.r.l. potrà rispettare la nuova struttura del debito). Questo piano non viene omologato dal tribunale, ma è formalizzato per iscritto e sottoscritto con i creditori che vi aderiscono. Alfa S.r.l. deposita una comunicazione al Registro Imprese con la dichiarazione dell’avvenuta predisposizione del piano attestato (ciò darà pubblicità per fini di certezza). Dopo di che, Alfa segue il piano: paga le prime rate ai fornitori, onora le nuove scadenze concordate. Se tutti i creditori chiave collaborano, Alfa S.r.l. può risanarsi senza essere dichiarata insolvente. In caso contrario (ad esempio un fornitore ottiene comunque un decreto ingiuntivo e pignora beni), Alfa potrebbe trovarsi costretta a passare a strumenti più incisivi come un concordato preventivo per congelare le azioni dei dissenzienti.
2. Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (artt. 57-64 CCII)
L’Accordo di ristrutturazione dei debiti (spesso abbreviato in “ARD”) è un istituto a metà strada tra il piano attestato e il concordato preventivo. Si tratta di un accordo omologato dal tribunale (quindi con una minima formalizzazione giudiziale) che vincola solo i creditori aderenti ma può prevedere effetti anche verso alcuni non aderenti. A differenza del piano attestato, qui è prevista una soglia minima di adesione in termini di consenso dei creditori, fissata dalla legge. Rappresenta quindi un strumento negoziale agevolato da un intervento giudiziale: se il debitore raggiunge l’accordo con una certa maggioranza qualificata di crediti, il tribunale può estendere alcuni effetti anche ai dissenzienti e concedere protezione.
Tipologie e quorum: il Codice della Crisi prevede vari tipi di accordi di ristrutturazione:
– Accordo “standard” (ordinario): richiede l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali . È l’erede del vecchio art. 182-bis L.F. e rimane la forma generale.
– Accordo “agevolato”: introdotto dal Codice per recepire le indicazioni della direttiva UE, consente di omologare un accordo con una soglia di consenso inferiore, pari ad almeno il 30% dei crediti . Questo quorum ridotto è ammesso però solo a determinate condizioni: ad esempio, che il debitore non abbia già fatto ricorso al concordato preventivo in bianco o ottenuto misure protettive pendenti, e soprattutto che i creditori estranei all’accordo vengano pagati integralmente e tempestivamente (in pratica, senza alcuna moratoria oltre 120 giorni dall’omologazione) . Queste condizioni servono a tutelare chi non aderisce: se accetti di far passare un accordo col solo 30% di adesioni, devi garantire che chi è fuori prenda comunque il 100% del dovuto entro breve tempo. Non si può usare l’accordo agevolato per imporre sacrifici ai dissenzienti, altrimenti sarebbe lesivo.
– Accordo ad “efficacia estesa”: è un particolare meccanismo (previsto dall’art. 61 CCII) per cui, in presenza di creditori raggruppabili in categorie omogenee, gli effetti dell’accordo possono essere estesi anche ai creditori non aderenti appartenenti a quelle categorie, purché ci sia una forte maggioranza di adesioni nella categoria stessa e siano soddisfatte altre condizioni di trasparenza e parità di trattamento . Questo strumento nasce soprattutto per le banche e gli intermediari finanziari: spesso nel debito d’impresa il settore bancario costituisce una categoria omogenea e se la stragrande maggioranza delle banche è d’accordo, la legge consente di “trascinare” dentro anche le poche banche dissenzienti. In particolare, per l’efficacia estesa occorre che almeno il 75% (ora ridotto al 60% dal correttivo) dei crediti di quella categoria abbiano aderito e che l’accordo non sia di tipo liquidatorio ma preveda continuità aziendale, con i creditori di quella categoria soddisfatti in misura non inferiore a quanto otterrebbero in caso di fallimento . Inoltre, tutti i creditori della categoria devono essere stati informati e coinvolti nelle trattative in buona fede . Se queste condizioni sono rispettate, il tribunale con l’omologazione estende l’accordo anche ai non firmatari di quella classe, che quindi saranno vincolati come se avessero aderito. Nota: nel caso specifico in cui i debiti finanziari (banche) superino la metà dell’indebitamento totale, la legge consente di chiedere l’estensione anche se l’accordo è in continuità indiretta o prevalente (si può derogare al requisito della non liquidatorietà) , sempre col quorum interno richiesto. L’accordo esteso comunque non può imporre ai dissenzienti obblighi nuovi come finanziamenti o mantenimento di fidi: al più li vincola a rispettare la dilazione o decurtazione del credito prevista .
Riassumendo: l’accordo standard 60% è la forma base; se il debitore vuole usare la scorciatoia del 30% (accordo agevolato) non può toccare i creditori estranei (li deve pagare per intero rapidamente); se invece ha la stragrande maggioranza in una categoria omogenea (ad es. 4 banche su 5), può vincolare anche l’eventuale 5ª banca dissenziente (accordo ad efficacia estesa), su autorizzazione del tribunale .
Procedura di accordo e ruolo del tribunale: a differenza del piano attestato, qui il tribunale interviene in modo marginale ma necessario. Il debitore deve presentare ricorso per omologazione dell’accordo allegando il testo dell’accordo sottoscritto dai creditori aderenti, una relazione di un professionista indipendente che attesta la veridicità dei dati e l’idoneità dell’accordo a assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei nei termini di legge (120 giorni) , nonché la soddisfazione dei creditori aderenti secondo il piano. Se l’accordo coinvolge crediti fiscali o previdenziali con falcidie o dilazioni, deve essere stata attivata la transazione fiscale/previdenziale con l’adesione delle Agenzie (vedi approfondimento fiscale più avanti). Il tribunale, una volta accertati i requisiti (raggiungimento della percentuale di consensi richiesta, regolarità della procedura, meritevolezza del debitore, ecc.), convoca eventualmente i creditori dissenzienti che possono fare opposizione, e quindi emette il decreto di omologazione. Con l’omologazione, l’accordo diventa efficace e vincolante tra le parti. Importante: i creditori che non hanno aderito all’accordo rimangono estranei, quindi conservano per principio i loro diritti integri; tuttavia, l’omologazione produce alcuni effetti protettivi: ad esempio, impedisce ai creditori estranei di intraprendere o proseguire azioni esecutive individuali per un certo periodo, a condizione che siano pagati nei termini fissati (120 giorni) . In pratica, l’accordo omologato congela il “tempo” per completare i pagamenti promessi agli estranei. Se il debitore non rispetta i termini di pagamento verso un estraneo, quel creditore potrà poi agire.
Vantaggi degli ARD: gli accordi di ristrutturazione sono più flessibili del concordato preventivo e meno stigmatizzanti (non c’è dichiarazione di insolvenza, l’azienda non è “commissariata” e non c’è voto di tutti i creditori), ma offrono una maggiore sicurezza giuridica rispetto al piano attestato. Con l’omologazione, l’accordo acquista forza di legge fra le parti: i creditori aderenti devono rispettarlo e non possono tirarsi indietro, e i creditori estranei non possono farlo fallire purché siano soddisfatti come promesso. Il debitore, ottenuta l’omologazione, beneficia di tutele immediate: ad esempio, decadono eventuali istanze di fallimento pendenti, e può ottenere la sospensione delle azioni esecutive durante la pendenza del procedimento (può chiedere misure protettive al tribunale già nel deposito del ricorso di omologazione). Anche in fase di trattative prima del deposito, il debitore può chiedere l’applicazione in via anticipata delle protezioni per il tempo necessario a formalizzare l’accordo . Questa sorta di ombrello protettivo (simile all’automatic stay) impedisce ai creditori di agire isolatamente mentre si definisce l’intesa collettiva. Un altro vantaggio è che l’accordo, pur essendo pubblicato (Registro Imprese) e conosciuto, non comporta la nomina di un commissario o la spossessamento: la gestione resta all’imprenditore. In sostanza, l’ARD è uno strumento snello – rispetto al concordato – per quelle situazioni in cui l’impresa è in difficoltà ma riesce a portare dalla sua una larga parte di creditori (anche non tutti) con un piano concordato. Si evitano i costi e le rigidità di un lungo concordato preventivo, ottenendo comunque un titolo esecutivo che dà certezza agli accordi presi.
Rilievi pratici e limiti: il nodo cruciale degli accordi di ristrutturazione è proprio raggiungere la soglia di adesioni richiesta. Il 60% (o 30% nel caso agevolato) si calcola sull’ammontare totale dei crediti di tutti i creditori (quindi includendo anche privilegiati e ipotecari). Non conta il numero di creditori ma il valore dei crediti. Ciò significa che se la banca rappresenta da sola il 50% dei debiti e aderisce, sei già a buon punto; viceversa tanti piccoli creditori frammentati potrebbero complicare il raggiungimento della percentuale. I creditori privilegiati (muniti di garanzie reali o privilegi legali) contano al 100% per il calcolo delle soglie e devono anch’essi aderire se si vuole includerli nell’accordo (salvo che siano pagati integralmente fuori accordo entro 120 giorni, nel qual caso possono essere considerati “estranei” e ignorati ai fini del quorum). La legge richiede comunque che i creditori non aderenti vengano pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologazione o dalla scadenza : questa è una tutela forte per evitare abusi. Ciò implica che con l’accordo di ristrutturazione non puoi imporre perdite o attese ai dissenzienti, a differenza del concordato dove anche i contrari sono obbligati al taglio se la maggioranza approva. Dunque, se l’impresa ha bisogno di ridurre i debiti anche a chi non è d’accordo, l’ARD standard non basta; bisognerebbe percorrere la via del concordato oppure sfruttare l’opzione dell’efficacia estesa per determinate categorie (come le banche) dove la legge consente di vincolare minoranze dissenzienti di quella categoria .
Inoltre, durante le trattative di un accordo l’impresa spesso vuole protezione dai creditori. La legge consente di chiedere al tribunale delle misure protettive (simili a quelle del concordato) che congelino le azioni esecutive per un breve periodo (inizialmente 30-60 giorni prorogabili fino a max 4 mesi) mentre si perfeziona l’accordo. Ciò è utile, ma comporta la pubblicazione dell’istanza al Registro Imprese e la comunicazione ai creditori. Se poi l’accordo non va in porto, quell’esposizione pubblica potrebbe aver danneggiato la reputazione dell’impresa. C’è quindi un equilibrio delicato da mantenere: negoziare il più possibile in via riservata e attivare il tribunale solo quando si è prossimi all’obiettivo.
Debiti fiscali e previdenziali negli accordi: un capitolo a parte riguarda l’inclusione dei debiti tributari (Erario) e contributivi (INPS) in un accordo di ristrutturazione. La legge consente anche su questi crediti una proposta di pagamento parziale (cosiddetta transazione fiscale e contributiva) ma richiede l’adesione formale degli enti. In pratica, l’impresa deve presentare una proposta specifica all’Agenzia delle Entrate e all’INPS, allegando il piano e dimostrando che l’offerta è migliore di quanto quegli enti otterrebbero in un fallimento . Se l’ente pubblico acconsente (adesione espressa), allora il suo credito si considera “aderente” e potrà essere falcidiato secondo i patti. Se invece l’ente rifiuta, l’accordo difficilmente può essere omologato se comporta una falcidia sui crediti erariali/previdenziali, perché la loro mancata adesione impedisce di raggiungere la percentuale o di soddisfarli integralmente come richiesto per gli estranei. Tuttavia, novità 2022-2023: il recepimento della direttiva UE ha introdotto una sorta di cram-down per i creditori pubblici nelle procedure di concordato preventivo (ne parleremo dopo), ma per gli accordi di ristrutturazione attualmente vige la necessità del loro consenso o del pagamento integrale entro 120 giorni dall’omologa . In pratica, un accordo di ristrutturazione non può essere omologato contro la volontà del Fisco se quest’ultimo resterebbe non pagato integralmente; l’impresa deve quindi convincere Agenzia Entrate presentando piani di pagamento quantomeno pari al valore di liquidazione. Lo stesso vale per l’INPS. Più avanti vedremo nuovi strumenti ad hoc introdotti per gestire meglio questi aspetti (ad esempio l’accordo transattivo fiscale nella composizione negoziata introdotto nel 2024).
Esempio pratico: Beta S.p.A., azienda manifatturiera, ha 50 milioni di debiti. Dopo perdite in alcuni esercizi, Beta ha ancora un buon portafoglio ordini e vuole evitare il fallimento. Decide di proporre un accordo di ristrutturazione. I debiti principali: 20 mln verso banche (3 banche), 15 mln verso fornitori vari, 5 mln verso Agenzia Entrate (IVA e imposte), 3 mln verso INPS, 7 mln altri. Beta elabora un piano: le banche (che rappresentano il 40% del debito) accettano di rinunciare al 20% del credito e riscadenzare il resto a 5 anni (aderiscono 3 banche su 3, quindi il 100% della categoria banche). I fornitori (30% del debito) vengono suddivisi in due gruppi: i piccoli (debiti < 100k) saranno pagati integralmente entro 6 mesi dall’omologa; i grandi fornitori accettano un pagamento all’80% in 1 anno (Beta ha convinto circa l’80% di loro per valore, quindi copre ~24% del totale debiti). Il Fisco: Beta offre, tramite transazione fiscale, di pagare il 100% dell’IVA e il 40% delle sanzioni e interessi, in 4 anni; l’Agenzia aderisce (anche perché in liquidazione prenderebbe forse 30%). L’INPS analogamente aderisce per contributi con un pagamento all’50% in 2 anni (supponiamo accetti in base a valutazioni comparative). Il totale di adesioni per valore arriva così a circa: banche (40%) + grandi fornitori (24%) + crediti tributari e contributivi (8% insieme, considerando il valore falcidiato come adesione parziale?) + altri creditori minori volontariamente aderenti, ecc. Beta alla fine raggiunge, poniamo, il 70% dei crediti per valore aderenti. Presenta quindi ricorso al tribunale per l’omologazione dell’accordo, allegando l’elenco dettagliato dei creditori aderenti e non. Poiché supera il 60%, il quorum c’è. I creditori estranei all’accordo (quelli che non hanno firmato, ad esempio alcuni fornitori dissenzienti che rappresentano il 10% del debito totale) verranno comunque pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologa, come dichiarato nel piano (grazie magari a un finanziamento ponte garantito dai soci). Il tribunale verifica che l’accordo rispetta la legge (creditori estranei tutelati, relazione dell’attestatore positiva, consenso oltre soglia) e omologa l’accordo. Da quel momento, Beta deve attuare il piano: paga subito i fornitori estranei, rispetta le scadenze con quelli aderenti, esegue le transazioni con Fisco e INPS, ecc. Le banche non possono procedere ad escussioni delle garanzie perché legate dall’accordo; i creditori che non hanno aderito non possono più far dichiarare fallimento Beta perché è protetta dall’accordo omologato (a condizione che li abbia pagati come promesso). Dopo un anno Beta S.p.A. è uscita dalla crisi, con la posizione finanziaria riequilibrata (grazie agli stralci di parte del debito e alla dilazione del resto) e senza essere passata per una procedura concorsuale “pesante”.
(Si noti: se Beta non fosse riuscita a convincere Agenzia Entrate e INPS, e avesse voluto comunque ridurre quei debiti unilateralmente, l’accordo non sarebbe stato sufficiente: sarebbe servito un concordato preventivo con cramming down dei creditori pubblici dissenzienti, cosa possibile dal 2022 come vedremo più avanti.)
3. Composizione Negoziata della Crisi (artt. 12-25 CCII)
La Composizione negoziata della crisi è uno strumento nuovissimo introdotto nel 2021 (D.L. 118/2021) e ora disciplinato nel Codice della Crisi. Si tratta di un percorso volontario, riservato e stragiudiziale in cui l’imprenditore in difficoltà, con l’aiuto di un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione, conduce trattative con i creditori per trovare una soluzione alla crisi . È un istituto di allerta precoce “privata”, concepito per aiutare l’impresa ad emergere dalla crisi senza dover aprire subito una procedura concorsuale, ma con la supervisione leggera di un esperto terzo che facilita il dialogo con i creditori. In pratica, la composizione negoziata offre all’imprenditore uno spazio protetto entro cui riorganizzare l’impresa o negoziare accordi, beneficiando di alcuni vantaggi (come possibili misure protettive, nuova finanza prededucibile, ecc.) ma evitando lo stigma di procedure come il concordato preventivo.
Accesso e presupposti: possono accedere alla composizione negoziata tutti gli imprenditori commerciali e agricoli (anche PMI) che si trovano in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza . Importante: col decreto correttivo del 2024 (D.Lgs. 136/2024) è stato chiarito che l’accesso è possibile anche quando l’impresa è solo in squilibrio, pur non essendo ancora in crisi conclamata . Ciò amplia l’utilizzo come misura preventiva. L’imprenditore deve presentare istanza tramite la piattaforma telematica predisposta dalle Camere di Commercio, allegando informazioni sullo stato aziendale, bilanci, situazione debitoria e un piano in abbozzo per il risanamento. Condizione: non devono pendere a suo carico istanze di liquidazione giudiziale (fallimento) da parte di creditori, al momento della presentazione della domanda . In altre parole, se un creditore ha già chiesto il tuo fallimento, devi risolvere prima quella pendenza (o fartela sospendere) per poter utilizzare la composizione negoziata.
Una commissione apposita (presso le Camere di Commercio) nomina un esperto indipendente (spesso un commercialista o avvocato esperto in crisi) scelto da un elenco nazionale, tenendo conto anche del settore e della dimensione dell’impresa. Il decreto correttivo 2024 ha introdotto criteri migliorativi per la nomina, ad esempio evitando di riassegnare esperti che abbiano concluso precedenti composizioni senza esito positivo, per favorire i più efficaci . L’esperto nominato contatta l’imprenditore e entro pochi giorni valuta la documentazione e organizza il primo incontro.
Svolgimento delle trattative: la composizione negoziata è volontaria e confidenziale. L’apertura della procedura non comporta pubblicità immediata (a meno che l’imprenditore richieda misure protettive al tribunale, vedi dopo). L’esperto svolge il ruolo di facilitatore: analizza la situazione e convoca i principali creditori per incontri negoziali. Il suo compito è aiutare le parti a individuare soluzioni di risanamento, imponendo un clima di fiducia e trasparenza. L’imprenditore continua ad amministrare l’impresa, ma deve seguire le indicazioni dell’esperto per evitare atti che possano pregiudicare i creditori (ad esempio, non può aggravare il passivo indebitamente; ogni atto straordinario dev’essere discusso con l’esperto). L’esperto può proporre accordi tra debitore e uno o più creditori, piani di ristrutturazione, cessioni di asset, o anche operazioni societarie (ingresso di nuovi soci, conversione debiti in capitale, ecc.). Non c’è un format rigido: può concludersi con qualsiasi soluzione contrattuale che le parti ritengono efficace (es: accordi stragiudiziali bilaterali, moratorie, aumento di capitale sottoscritto da un creditore in cambio di equity, vendita dell’azienda a terzi con accollo dei debiti, ecc.).
Durata: la legge non fissa una durata predeterminata, ma implicitamente la negoziazione dovrebbe concludersi in pochi mesi (si parla in genere di 3-6 mesi). L’esperto redige con cadenza periodica relazioni sullo stato delle trattative. Se capisce che non c’è margine di accordo o che l’imprenditore agisce in mala fede, può decidere di interrompere il percorso (e in casi estremi, segnalare al tribunale).
Misure protettive e cautelari: durante la composizione negoziata, per evitare che singoli creditori compromettano le trattative aggredendo il patrimonio, l’imprenditore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive temporanee. Tipicamente, può essere sospeso o vietato l’avvio di azioni esecutive o cautelari da parte dei creditori sul patrimonio dell’impresa. Il correttivo 2024 ha chiarito che tali misure possono essere richieste in modo mirato: possono essere generali (verso tutti i creditori) oppure limitate solo ad alcune iniziative o categorie di creditori . Ad esempio, l’imprenditore potrebbe chiedere di bloccare i pignoramenti solo da parte delle banche, lasciando invece che i piccoli fornitori eventualmente procedano (scenario ipotetico, dipende dalla strategia). Inoltre, il tribunale può imporre pubblicità ulteriori delle misure protettive se necessario (ad es. sul sito aziendale, se ritiene che i terzi debbano saperlo) . Le misure protettive hanno durata iniziale di massimo 4 mesi, prorogabili fino a 12 su richiesta motivata. Durante questo periodo, i creditori interessati dallo stay non possono acquisire titoli di prelazione se non concordati (viene cioè bloccata la possibilità di iscrivere ipoteche giudiziali, ecc.). Da notare: secondo il correttivo, la concessione delle misure protettive non dovrebbe di per sé far scattare classificazioni negative del credito da parte delle banche . Infatti, è stato introdotto il principio che l’accesso alla composizione negoziata non implica automaticamente una diversa classificazione del credito da parte degli intermediari finanziari; eventuali decisioni di sospendere o revocare linee di credito devono basarsi su effettive ragioni prudenziali e essere specificamente motivate . Questa norma mira a evitare che l’avvio della composizione negoziata, di per sé, faccia bollare l’impresa come “insolvente” dalle banche (con immediato taglio dei fidi), vanificando gli sforzi di risanamento.
Soluzioni all’esito della composizione: La composizione negoziata non è una procedura con un esito prestabilito (non c’è omologazione di per sé). Può concludersi con diversi scenari:
– Accordo stragiudiziale tra debitore e creditori (o alcuni di essi) che risolve la crisi. Ad esempio, l’imprenditore raggiunge un accordo privato con la banca per la ristrutturazione del mutuo, con i fornitori per uno stralcio parziale, e trova un investitore disposto a immettere capitali freschi. Il tutto può essere formalizzato in contratti o patti transattivi bilaterali o plurilaterali. In tal caso la composizione negoziata termina con successo e non serve coinvolgere ulteriormente il tribunale. L’impresa prosegue la sua attività adempiendo agli accordi presi. (Si può depositare presso il Registro un verbale conclusivo, ma non è obbligatoria un’omologa generale).
– Piano attestato di risanamento o accordo ex art. 56 o 57 CCII: la composizione può servire come incubatore per predisporre uno degli strumenti visti sopra. Ad esempio, grazie all’esperto, l’imprenditore elabora un piano attestato di risanamento e ottiene le adesioni necessarie; oppure formalizza un accordo di ristrutturazione col 60% dei creditori. In tal caso, la procedura confluisce in quell’istituto: il piano attestato sarà eseguito come tale; l’accordo di ristrutturazione dovrà essere omologato seguendo la procedura propria. La composizione negoziata a quel punto si chiude perché ha raggiunto il suo scopo (i creditori hanno firmato).
– Concordato preventivo: se le trattative delineano una soluzione che però richiede il coinvolgimento di tutti i creditori e un trattamento anche dei dissenzienti (es. un taglio ai crediti chirografari non accettato da qualcuno), l’imprenditore può decidere di presentare domanda di concordato preventivo. Un vantaggio della composizione negoziata è che consente di “preparare il terreno” per un concordato: l’esperto ha già raccolto informazioni e sonda la disponibilità dei creditori. Infatti, è espressamente previsto che durante o all’esito della composizione, l’imprenditore possa depositare ricorso per concordato preventivo o omologazione di accordo di ristrutturazione, beneficiando di alcune semplificazioni (ad esempio, l’esperto può diventare commissario giudiziale, ecc.). Anche un concordato semplificato (vedi infra) è una delle opzioni post-composizione negoziata.
– Liquidazione giudiziale: se le trattative falliscono e la situazione è compromessa, l’imprenditore può prendere atto che non c’è soluzione e depositare istanza di liquidazione giudiziale (o farsi dichiarare tale su istanza di creditori). In questi casi almeno si sarà tentato il tutto per tutto prima di arrivare al fallimento.
In ogni caso, la composizione negoziata è pensata per essere uno strumento di emersione tempestiva: l’imprenditore viene accompagnato a valutare tutte le opzioni. L’esperto, a conclusione del suo mandato, redige una relazione finale. Se vede che l’impresa è risanabile con certe misure, lo scrive; se invece constata che le trattative non hanno successo ma l’impresa ha prospettive solo tramite concorsuale, può suggerire all’imprenditore di optare per un concordato o liquidazione.
Novità fiscali 2024: una modifica molto importante apportata dal correttivo ter (D.Lgs. 136/2024) è la possibilità, nel corso della composizione negoziata, di concludere un “accordo transattivo” con il Fisco per la definizione agevolata dei debiti tributari . Prima, durante le trattative informali non c’era modo di “tagliare” formalmente i debiti tributari, se non inserendoli poi in un concordato o accordo di ristrutturazione successivo. Dal 28 settembre 2024 invece, l’imprenditore può proporre alle Agenzie fiscali un accordo transattivo nell’ambito della composizione negoziata, avente ad oggetto il pagamento parziale o dilazionato dei tributi dovuti (inclusi interessi e sanzioni) . Questo accordo, se accettato dall’Agenzia delle Entrate, viene poi sottoposto al giudice per una sorta di presa d’atto (non un’omologa piena, ma un decreto di autorizzazione) . Il giudice verifica che la documentazione è regolare e autorizza l’esecuzione dell’accordo fiscale . Ci sono però limitazioni: non si possono includere in questo accordo i tributi che costituiscono risorse proprie UE (dazi doganali, mentre l’IVA è inclusa e negoziabile espressamente) , e – contrariamente a quanto avviene in concordato – non si possono transare i debiti contributivi INPS in sede di composizione negoziata . Quindi, l’accordo transattivo “fiscale” riguarda solo le imposte (IRPEF, IRES, IVA, ecc.) ma non i contributi previdenziali, che dovranno eventualmente essere pagati integralmente o trattati altrove. Questa innovazione allinea la composizione negoziata agli altri strumenti di crisi, conferendole maggiore efficacia: ora l’imprenditore può ottenere dall’Erario formalmente uno sconto o una dilazione su IVA e altre imposte già in fase negoziale, senza aspettare di formalizzare un concordato . Ciò è stato reso possibile anche grazie a un chiarimento di diritto UE: la Decisione (UE) 2020/2053 ha esplicitato che l’IVA può essere soggetta a misure di risanamento interne senza violare il principio delle risorse proprie . In sintesi, il nuovo accordo transattivo nella composizione negoziata è un potente incentivo: permette di risolvere uno dei nodi spesso più difficili (le cartelle fiscali) in sede stragiudiziale assistita, con l’avallo successivo del tribunale, snellendo la strada del risanamento .
Concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII: se la composizione negoziata termina senza un accordo ma l’impresa è insolvente, la legge offre al debitore un’ulteriore chance: il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio. Questo istituto (introdotto nel 2021 e confermato nel Codice) consente all’imprenditore, entro 60 giorni dalla chiusura negativa della composizione negoziata, di proporre al tribunale un piano di liquidazione dei beni ai creditori, senza passare per la fase di voto da parte loro. È un concordato senza voto, pensato per liquidare l’azienda in modo ordinato ma evitando le lungaggini del fallimento. Il decreto correttivo 2024 ha lievemente modificato l’accesso a questo strumento: non si parla più di esito “non positivo” della composizione negoziata, ma si chiariscono i casi in cui è ammissibile . Ad esempio, anche se le trattative non hanno portato a un accordo completo, il debitore può comunque chiedere il concordato semplificato; inoltre, se presenta una proposta con classi di creditori, dovrà includere anche l’eventuale parte chirografaria dei creditori privilegiati (quelli ipotecari o con pegno che restano insoddisfatti in parte) . Nel concordato semplificato, il tribunale valuta la proposta e, se garantisce ai creditori almeno quello che otterrebbero in liquidazione giudiziale, può omologarla anche senza l’approvazione dei creditori. È una soluzione di ultima istanza: di fatto si tratta di andare in liquidazione ma sotto il controllo del debitore (che propone ad esempio di vendere l’azienda a un certo prezzo già trovato, o di cedere beni con un piano migliore di quanto farebbe un curatore). I creditori possono opporsi in omologa, ma non votano. L’obiettivo è consentire, quando la negoziazione non ha prodotto un risanamento ma solo offerte di acquisto dell’azienda o asset, di finalizzarle rapidamente senza passare per un fallimento. Torneremo brevemente sul concordato semplificato nel paragrafo dedicato ai concordati giudiziali.
Esempio pratico: Gamma S.r.l., piccola impresa edile, accumula debiti per 1 milione di euro (banche 400k, fornitori 300k, fisco 200k, altri 100k) a causa di ritardi nei pagamenti dei clienti e aumento costi. La direzione vede che tra pochi mesi non avrà liquidità per pagare tutti. Decide di avviare tempestivamente la composizione negoziata. Viene nominato un esperto. Gamma continua l’attività, ma chiede e ottiene dal tribunale misure protettive per sospendere due decreti ingiuntivi nel frattempo arrivati da fornitori (questi fornitori sono coperti dalla moratoria tribunale e quindi attendono). Con l’aiuto dell’esperto, Gamma elabora alcune proposte: chiede alla banca una moratoria di 6 mesi sulle rate del mutuo, propone ai fornitori un pagamento del 50% subito e 50% tra un anno (grazie a un finanziatore che apporterebbe nuova liquidità garantita magari dal Fondo PMI), e intanto contratta con l’Agenzia delle Entrate un accordo transattivo per stralciare interessi e sanzioni e pagare l’IVA in 2 anni . La banca aderisce (concedendo la moratoria), l’Agenzia delle Entrate accetta l’accordo fiscale (tagliando del 30% le sanzioni e rateizzando il resto, con decreto del giudice che lo rende efficace), i fornitori invece alcuni accettano lo sconto 50%, altri no. Nel complesso, dopo 4 mesi di confronto, Gamma S.r.l. riesce a formalizzare un accordo stragiudiziale con banca e con il 70% dei fornitori (per valore), mentre i restanti fornitori dissenzienti verranno comunque pagati integralmente grazie al nuovo finanziamento ottenuto (anche questo concordato grazie alla spinta dell’esperto). L’esperto redige una relazione positiva. A questo punto Gamma è in grado di uscire dalla crisi: la composizione negoziata si chiude con successo, l’azienda ha ridefinito il debito (banche e Fisco dilazionati, fornitori in parte stralciati consensualmente, finanziatore entrato). Non c’è stato bisogno di procedure concorsuali né di omologa generale, solo l’accordo fiscale è stato autorizzato dal giudice . Tutto si è svolto in riservatezza, i cantieri di Gamma non si sono fermati e i suoi clienti quasi non si sono accorti di nulla. L’azienda è salva.
Altro scenario: se invece Gamma non fosse riuscita a ottenere abbastanza adesioni (supponiamo che la banca avesse rifiutato e minacciato di escutere i fidi, o troppi fornitori avessero detto no), l’esperto magari avrebbe constatato l’impossibilità di risanamento e avrebbe concluso la procedura. A quel punto Gamma avrebbe potuto ricorrere al concordato semplificato: ad esempio, propone di liquidare i macchinari e l’immobile aziendale e distribuire il ricavato ai creditori, saltando la fase di voto. Il tribunale, verificato che quel ricavato è superiore a quanto i creditori otterrebbero in un fallimento ordinario (ad es. perché c’è un offerente già pronto che paga qualcosa in più), potrebbe omologare il concordato semplificato e chiudere la vicenda, con la cessazione dell’attività di Gamma ma almeno con una soluzione più ordinata e rapida della liquidazione.
Strumenti giudiziali (procedure concorsuali)
Quando la crisi d’impresa è più grave o diffusa, o quando non si riesce a trovare un accordo stragiudiziale soddisfacente con i creditori, occorre fare ricorso alle procedure concorsuali giudiziali. Si chiamano così perché coinvolgono l’autorità giudiziaria e hanno effetti coercitivi: una volta aperte, tutti i creditori sono vincolati dalle regole della procedura e dalle decisioni della maggioranza o del tribunale, anche contro la loro volontà individuale. Queste procedure servono a gestire la crisi o l’insolvenza in modo unitario e trasparente, tutelando la par condicio (eguaglianza tra creditori) e possibilmente conservando i valori aziendali.
Le principali procedure concorsuali previste dal Codice della Crisi (per le imprese soggette a fallimento) sono: (A) il Concordato Preventivo (nelle sue varianti, inclusi il concordato in continuità e liquidatorio, e il concordato “minore” per piccoli imprenditori); (B) la Liquidazione Giudiziale (il “fallimento” in senso classico); e, a margine, (C) il Concordato semplificato post-composizione negoziata (già accennato) e (D) la Liquidazione controllata (procedura liquidatoria per i debitori non fallibili). Esaminiamo ciascuno.
A. Concordato Preventivo (artt. 84-120 CCII)
Il concordato preventivo è la tradizionale procedura concorsuale di risanamento o liquidazione concordata dei debiti. Viene richiesto dall’imprenditore in stato di crisi o insolvenza per evitare la liquidazione giudiziale, proponendo ai creditori un piano che può prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione, anche parziale, dei crediti secondo certe modalità (ad es. in quota e/o dilazionato) . Se i creditori approvano la proposta a maggioranza e il tribunale la omologa, il concordato si perfeziona e vincola tutti i creditori anteriori.
Il concordato preventivo può avere due anime: in continuità aziendale oppure liquidatorio (o misto). Nel concordato in continuità, l’obiettivo è preservare la prosecuzione dell’attività d’impresa, in forma diretta (l’azienda resta al debitore e continua durante e dopo il concordato) o indiretta (l’azienda viene ceduta o conferita a un terzo, ma la gestione prosegue). Nel concordato liquidatorio, invece, l’impresa cessa l’attività e si punta a liquidare il patrimonio distribuendo il ricavato ai creditori. La distinzione è importante perché la legge prevede condizioni diverse a seconda del tipo di concordato.
Presupposti per l’ammissibilità: può proporre concordato l’imprenditore commerciale assoggettabile a liquidazione giudiziale, che si trovi in stato di crisi o insolvenza . Questo include anche insolvenza probabile in prospettiva (non serve attendere l’insolvenza conclamata). Il debitore presenta un ricorso al tribunale con la proposta di concordato, il piano e una serie di documenti (bilanci, elenco creditori, relazione di un esperto indipendente attestatore, ecc.). È possibile anche presentare un ricorso di concordato “con riserva” (o “in bianco”), ossia chiedere l’ammissione e ottenere protezione dai creditori riservandosi di presentare piano e proposta dettagliata entro un termine (di regola fino a 120 giorni) . Questa opzione serve a guadagnare tempo quando l’azienda è sull’orlo del baratro e va subito protetta dalle azioni esecutive: il tribunale concede le misure protettive e nomina un commissario giudiziale “in fase di prenotazione”, e il debitore poi completa la documentazione.
Effetti dell’ammissione: se la domanda non è manifestamente inammissibile, il tribunale apre la procedura di concordato preventivo (decreto di apertura). Da quel momento, scattano gli effetti tipici: il debitore mantiene l’amministrazione dell’impresa ma sotto la supervisione di un commissario giudiziale nominato dal tribunale; il patrimonio del debitore viene congelato (atti di straordinaria amministrazione richiedono autorizzazione del giudice delegato); le azioni esecutive individuali dei creditori restano sospese e non se ne possono iniziare di nuove; i contratti in corso possono proseguire (salvo possibilità di scioglimento o sospensione su autorizzazione se utile al piano, con eventuale indennizzo). Il commissario esamina la situazione e redige una relazione per i creditori.
Classi di creditori e proposta: il debitore nel piano di concordato può suddividere i creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei (solitamente separa chirografari da privilegiati, e magari ulteriormente fornitori, banche chirografarie, etc.). La suddivisione in classi è obbligatoria se le posizioni dei creditori non sono tra loro omogenee. Questo serve per gestire il voto per classi e, se necessario, il cram-down (omologa nonostante dissenso di classi, vedi oltre). La proposta concordataria deve indicare in modo chiaro quanto ogni classe (o creditore) riceverà e in che tempi. Nel concordato liquidatorio, per legge è richiesto che ai creditori chirografari sia garantito un pagamento minimo del 20% del loro credito (salvo alcune eccezioni); se il piano non assicura almeno il 20% ai chirografari e non c’è continuità, la proposta sarebbe inammissibile. Nel concordato in continuità, invece, non c’è una soglia minima di legge per i chirografari: si presuppone che la continuità offra prospettive migliori di soddisfo rispetto a una liquidazione. Tuttavia, è necessario che si tratti di vera continuità: come chiarito anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 17092/2023), l’azienda deve essere effettivamente in esercizio al momento della proposta e avere la capacità di produrre reddito . Non basta prospettare una “continuità” fittizia: ad esempio, se l’attività è ferma da tempo, tutti i dipendenti licenziati e non vi sono contratti in corso, non si può qualificare il piano come concordato in continuità, e quindi se offre meno del 20% ai chirografari sarà inammissibile . La Cassazione ha infatti confermato che una continuità “di facciata” non giustifica deroghe ai requisiti di legge . In pratica, prima di ammettere il concordato in continuità, il tribunale verifica che l’azienda sia realmente funzionante (o che riprenderà a funzionare con il piano) e non completamente cessata.
Votazione dei creditori: una volta ammesso il concordato, si apre la fase di voto. Ogni classe di creditori (o l’intero ceto se non ci sono classi) è chiamata ad esprimersi sulla proposta del debitore. Hanno diritto di voto i creditori chirografari per l’importo del credito degradato a chirografo (anche i privilegiati per l’eventuale parte non coperta dalla garanzia). I privilegiati per la parte coperta da privilegio generalmente non votano, a meno che rinuncino al privilegio o siano parzialmente non soddisfatti (allora votano per la parte in sofferenza). La proposta si considera approvata se ottiene il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolata come più della metà (>50%) del valore dei crediti votanti in ogni classe, salvo diverse maggioranze richieste dal piano. In un concordato con classi, serve che la maggioranza delle classi approvi (ovvero più del 50% delle classi, conteggiando come approvata una classe se i sì in quella classe superano metà dei crediti della classe stessa). Il Codice della Crisi ha snellito in parte le regole di voto rispetto alla vecchia legge. Inoltre, il correttivo 2024 ha abbassato dal 10% al 5% la percentuale di creditori necessaria per presentare una proposta concorrente : infatti, se il debitore propone un concordato liquidatorio che non paga almeno il 40% ai chirografari, i creditori (che rappresentino almeno il 5% dei crediti) possono presentare essi stessi un piano alternativo . Questa possibilità di “concordato alternativo” serve da pressione sul debitore per presentare piani non troppo penalizzanti; con la riforma, sarà più facile per piccoli gruppi di creditori proporre soluzioni concorrenti (prima serviva il 10%). Durante la fase di voto, vige una regola importante: i creditori non possono alterare i rapporti contrattuali in essere solo perché il debitore ha presentato domanda di concordato in continuità . Ad esempio, una banca non può revocare un fido o risolvere un contratto solo perché l’azienda è entrata in concordato preventivo (questo per evitare l’effetto domino di interruzione di forniture o finanziamenti essenziali) . Qualsiasi clausola contrattuale che permetta la risoluzione automatica per il solo fatto del concordato è inefficace per legge (clausole ipso facto vietate). I fornitori e partner devono continuare a rispettare i contratti pendenti, salvo diversa autorizzazione. Questo è un elemento di protezione cruciale per dare all’azienda in continuità una chance di sopravvivere durante la procedura.
Omologazione e cram-down: se i creditori approvano regolarmente la proposta, si passa alla fase di omologazione da parte del tribunale. Il tribunale verifica la legittimità e fattibilità del piano e può omologare anche contro l’opposizione di creditori dissenzienti, purché le maggioranze siano state rispettate. Ma cosa succede se la proposta non ottiene il voto favorevole delle maggioranze richieste? Qui entra in gioco il meccanismo del cram-down interclassi (omologazione forzata nonostante il voto contrario di una o più classi), introdotto su impulso della direttiva UE. L’art. 112, comma 2 CCII (come modificato nel 2022 e chiarito nel 2024) stabilisce che il tribunale può omologare ugualmente il concordato, anche se i creditori non l’hanno approvato, a condizione che sussistano quattro condizioni cumulative. In estrema sintesi tali condizioni sono: (a) ai creditori dissenzienti viene garantito un trattamento non inferiore a quello che otterrebbero in una liquidazione giudiziale (principio del “best interest test”) ; (b) il concordato non altera l’ordine delle cause di prelazione salvo quanto consentito (ad es. degradazione del privilegio se coperto dal going concern value); (c) se ci sono classi, almeno una classe di creditori ha votato a favore; (d) tale classe favorevole deve essere composta da creditori che riceveranno nel concordato meno di quanto spetterebbe loro in caso di liquidazione (cioè una classe “sacrificata” che però crede nel piano) . In particolare, l’ultima condizione (lett. d) è stata oggetto di interpretazione: significa che almeno una classe di creditori privilegiati, che subiscono una falcidia nel concordato rispetto ai loro diritti in liquidazione, deve aver approvato la proposta . Ad esempio, una classe di creditori ipotecari che nel concordato viene pagata al 80% anziché 100% (quindi subisce un pregiudizio) e che comunque ha votato sì. Ciò dimostra al giudice che c’è almeno un gruppo di creditori “di rango elevato” disposto ad accettare il piano pur perdendo qualcosa, segno della ragionevolezza della proposta . Se tutte le condizioni (a)-(d) sono rispettate congiuntamente, il tribunale può omologare d’ufficio il concordato nonostante il voto contrario di alcune classi (o della maggioranza nel conteggio globale) . Questo è un cambiamento epocale rispetto alla vecchia disciplina, e attua la direttiva UE: ora il concordato in continuità può essere approvato giudizialmente anche contro il parere di una parte rilevante dei creditori, purché sia equo e ci sia almeno una classe “sensibile” favorevole. La ratio è favorire il salvataggio dell’impresa quando il piano conviene oggettivamente (perché dà più della liquidazione) ma magari alcuni creditori cercano di opporsi in modo irragionevole . In ogni caso, il tribunale al momento dell’omologa svolge anche il controllo di fattibilità del piano e di legittimità. Non giudica la convenienza economica (quella spetta ai creditori, salvo contestazioni specifiche sollevate), ma deve verificare che il piano sia concretamente attuabile e non contrario a norme imperative. La Cassazione ha chiarito che il giudice deve controllare l’effettiva fattibilità giuridica e la presenza di risorse ragionevolmente idonee, non avventurarsi però in valutazioni economiche che spettano al voto dei creditori (salvo il caso di cram-down, in cui in via residuale se un creditore dissenziente lo chiede, il tribunale può valutare la convenienza rispetto alla liquidazione – convenience test – come da art. 112 co.4 CCII).
Una volta omologato, il concordato preventivo diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. I crediti restano cristallizzati secondo quanto previsto dal piano (ad esempio un chirografo prende il 30% a saldo e stralcio, un privilegiato degradato prende X, ecc.). Gli eventuali creditori che non avevano votato o erano contrari sono comunque obbligati dal decreto di omologazione. Da quel punto il debitore deve eseguire il piano sotto il controllo degli organi della procedura (commissario che diventa liquidatore nelle parti liquidatorie, o un fiduciario nominato per vigilare). Ad esecuzione completata, il tribunale dichiara chiuso il concordato. Se invece il debitore non rispetta il piano, il concordato può essere risolto o annullato e i creditori tornano liberi di agire (spesso si passa a fallimento a quel punto).
Trattamento di crediti particolari: nei concordati in continuità, come già accennato, vige la regola che fornitori e terze parti non possono risolvere contratti in corso solo per il concordato. Inoltre, il correttivo 2024 ha introdotto che la protezione dagli effetti negativi per l’impresa decorre già dal momento del deposito della domanda di concordato in continuità e non solo dall’ammissione e concessione delle misure protettive . Dunque, fin dalla domanda, i contratti vitali (leasing, forniture, locazioni) non possono essere interrotti unilateralmente dai creditori per il solo fatto dei mancati pagamenti precedenti la domanda . Questa tutela anticipata è cruciale per evitare che durante l’attesa dell’ammissione i partner rescindano accordi chiave. È stata prevista la nullità di ogni patto contrario a tale disciplina .
Per i crediti fiscali e contributivi nel concordato preventivo: la legge consente la loro falcidia, ma solo a certe condizioni. Occorre che l’Amministrazione finanziaria e gli enti previdenziali vengano messi in condizione di valutare una proposta di trattamento e di votare. Se essi votano a favore (accettando la falcidia), bene; se votano contro ma il concordato ottempera alle condizioni del cram-down, il tribunale può omologare lo stesso crammando il loro credito . La normativa attuale infatti consente, nel concordato omologato in liquidazione giudiziale (dopo il fallimento) e ora anche nel concordato preventivo in continuità, di omologare il piano anche senza il voto favorevole dei creditori pubblici se il loro voto è determinante e il piano offre comunque a questi ultimi non meno di quanto ricaverebbero in caso di liquidazione . Questa è una forma di cram-down fiscale: in passato, un NO del Fisco che deteneva più di un terzo dei crediti chirografari bloccava il concordato (perché serviva il 50% di sì), ora se la classe del Fisco è l’unica contraria ma la proposta è comunque conveniente rispetto al fallimento, il giudice può omologare forzosamente . Ciò evita che l’erario possa, da solo, far naufragare concordati che magari convengono a tutti. Ovviamente, per arrivare a ciò, il piano deve essere calibrato in modo da rispettare i parametri (ad esempio deve dare al Fisco almeno il valore di realizzo in fallimento, e comunque in continuità è più facile convincere che incasserà di più con azienda viva che col fallimento). Un’altra innovazione connessa: se nel concordato in continuità vengono presentate più proposte concorrenti (ad es. quella del debitore e quella di un terzo, come un investitore o i creditori stessi), il tribunale farà votare i creditori su tutte le proposte e omologherà quella che ottiene la maggior percentuale di consensi (o, in caso di parità, la proposta presentata per prima) . Ciò differisce dal vecchio sistema in cui il comitato dei creditori ne sceglieva una sola da mettere ai voti. Adesso, c’è una sorta di “asta competitiva” trasparente tra piani concorrenti: passa il più gradito dal monte crediti . Questo stimola offerte migliori. Inoltre, se un concordato viene omologato ma qualcuno propone reclamo in appello, la corte d’appello può sospendere temporaneamente l’esecuzione del piano o la liquidazione, per evitare effetti irreversibili fino alla decisione . Infine, il correttivo ha sancito che se un’omologazione viene poi revocata o cassata, gli atti compiuti in esecuzione del concordato omologato restano validi e fermi . Ciò per tutelare la stabilità delle operazioni fatte (vendite, pagamenti) in esecuzione di un concordato poi revocato successivamente: i terzi possono stare tranquilli che quelle operazioni non saranno annullate (salvo casi di dolo).
In definitiva, il concordato preventivo è lo strumento più articolato e “potente” per gestire la crisi in modo organizzato, ma anche il più complesso. Dal punto di vista del debitore, richiede preparazione (serve un piano robusto e un attestatore che lo avalli), comporta una certa perdita di autonomia (c’è un commissario che vigila) e pubblicità, e il risultato non è garantito (bisogna convincere i creditori o perlomeno il tribunale nel cram-down). Tuttavia, è spesso l’unica via per ridurre i debiti in modo significativo quando non c’è unanimità tra i creditori.
Esempio pratico: Delta S.p.A. è un’azienda industriale di medie dimensioni in grave crisi di liquidità. Ha 200 dipendenti e intende assolutamente evitare di chiudere. Il debito accumulato è 30 milioni (10 verso banche, 5 verso fisco, 15 verso fornitori e vari). Dopo tentativi falliti di accordo stragiudiziale, Delta decide per un concordato in continuità aziendale: presenta un ricorso con riserva in tribunale e ottiene il decreto di apertura. La produzione continua durante il concordato. Elabora un piano in cui un investitore terzo apporterà 5 milioni di nuova finanza per rilanciare l’attività (coperti da privilegio super-senior prededucibile), l’azienda cede un ramo d’azienda non core per 3 milioni, e prevede di pagare integralmente i debiti bancari (garantiti da ipoteche, quindi li paga con calma secondo accordo) e di pagare il 50% ai fornitori chirografari nell’arco di 4 anni, mantenendo però i contratti in essere con loro (così continuano a fornire, fidandosi di recuperare metà credito). Al Fisco offre il 30% dei debiti tributari chirografari (IVA e interessi) in 4 anni. Il piano ipotizza che, restando aperta, Delta genererà utili sufficienti a sostenere queste uscite oltre all’apporto esterno. Vengono create classi: Banche ipotecarie (classe A, soddisfatte 100% ma con dilazioni: queste non votano perché pagate integrali salvo consenso dilatorio, o se votano è quasi per formalità), Fornitori trade (classe B, chirografi 50%), Erario chirografo (classe C, 30%), Altri chirografi (classe D, 50%). Al voto: la classe B (fornitori) con credito complessivo 15 mln vota e, supponiamo, il 75% di loro per valore è favorevole (hanno interesse a far sopravvivere il cliente, anche se perdono 50%, meglio che fallimento dove prenderebbero forse 20%). La classe C (Erario 5 mln) – l’Agenzia Entrate vota no perché solo 30% offerto (in fallimento magari stimavano di ricavare 20%, però per policy spesso votano no a falcidie IVA se non ben giustificate). La classe D (altri chirografari 2 mln) vota sì all’unanimità (sono piccoli creditori come professionisti, interessati a mantenere rapporti). Dunque su 4 classi, 2 approvano (B e D) e 2 no (A non vota o è considerata approvata se paga 100%, C Fisco vota no). La maggioranza delle classi non c’è (su classi che votano, 2 su 3 dicono sì e 1 no: è maggioranza in numero ma classe C è contraria). Tuttavia, in questa situazione Delta invoca l’omologazione nonostante il dissenso del Fisco: dimostra che la classe C (Erario) nel piano prende 1.5 mln (30%) mentre in liquidazione fallimentare stimati avrebbe preso 0 (perché ipoteche delle banche saturano i beni) o comunque molto meno. Inoltre, la classe B (fornitori) – che è privilegiata solo in parte o chirografa – riceve 50% contro forse 10% in fallimento, quindi anche loro subiscono un sacrificio ma hanno aderito convinti del rilancio . Il tribunale applica il cram-down: accerta le condizioni dell’art. 112 co.2 CCII e omologa il concordato nonostante il voto contrario dell’Erario. Delta esce dalla procedura, riduce i debiti, e può continuare l’attività: i fornitori incassano 50% dei loro vecchi crediti (sperando in futuro ordini), lo Stato incasserà 30% (meglio di nulla in fallimento), i dipendenti mantengono il posto e l’investitore ha ora una partecipazione nell’azienda rilanciata.
Se, alternativamente, i creditori avessero bocciato il piano senza possibilità di cram-down (ad es. anche i fornitori classe B avessero detto no in massa), il concordato non sarebbe omologabile e il tribunale dichiarerebbe la liquidazione giudiziale (fallimento) di Delta.
B. Liquidazione Giudiziale (ex “Fallimento”)
La liquidazione giudiziale è la procedura concorsuale di natura liquidatoria, che interviene quando l’impresa è insolvente e non ci sono soluzioni concordate percorribili. È, in sostanza, il “fallimento” disciplinato dal nuovo Codice con nome diverso. Con la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale, l’autorità giudiziaria dichiara l’insolvenza del debitore e dispone la spossessamento: l’impresa viene affidata a un curatore nominato dal tribunale, il quale ha il compito di raccogliere e liquidare tutti i beni del debitore e distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione.
Quando si ricorre alla liquidazione giudiziale: tipicamente quando l’impresa è insolvente (incapace di pagare regolarmente i debiti) e nessun concordato è stato richiesto o fattibile. La liquidazione giudiziale può essere chiesta dal debitore stesso (quando riconosce di non poter proseguire), dai creditori o dal pubblico ministero. In alcuni casi arriva come esito di altre procedure (ad esempio, un concordato preventivo non approvato o annullato conduce all’apertura della liquidazione). Anche la liquidazione controllata (che vedremo per i non fallibili) può sfociare in liquidazione giudiziale se emergono requisiti.
Effetti per il debitore: la sentenza di apertura spossessa l’imprenditore dei beni: si crea un patrimonio separato gestito dal curatore per i creditori. Gli amministratori di una società fallita decadono dal potere di gestione; se il debitore è persona fisica, perde la disponibilità dei propri beni (che passano al curatore). Tutti i creditori chirografari e privilegiati devono presentare domanda di insinuazione al passivo e non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali. I debiti maturano solo fino alla data di apertura (poi non decorrono interessi per chirografi). I contratti pendenti possono essere sciolti o proseguiti dal curatore a seconda della convenienza per la procedura. Il tribunale nomina anche un giudice delegato per sovrintendere e un comitato dei creditori che rappresenta gli interessi del ceto creditorio assistendo il curatore.
Liquidazione dell’attivo: il curatore predispone un programma di liquidazione (che il giudice e il comitato approvano) e poi procede a vendere i beni dell’azienda: può vendere l’azienda in blocco, i singoli cespiti, le rimanenze, recuperare i crediti, ecc. Il tutto attraverso procedure trasparenti (aste, ecc.). Può anche esercitare azioni di responsabilità (ad es. contro amministratori colpevoli di mala gestio) o azioni revocatorie di atti compiuti prima del fallimento per reintegrare l’attivo (pagamenti preferenziali, atti di disposizione a titolo gratuito o a condizioni anomale nei periodi sospetti, salvo esenzioni come il piano attestato ).
Formazione del passivo e riparti: dal lato passivo, il curatore esamina le domande di insinuazione dei creditori e predispone lo stato passivo, che il giudice verifica. Ogni credito è riconosciuto come privilegiato, chirografo, subordinato, ecc. Una volta liquidati progressivamente i beni, il curatore effettua i riparti: distribuisce le somme seguendo l’ordine dei privilegi (prima creditori ipotecari e pignoratizi sui beni venduti fino a capienza, poi privilegi generali come dipendenti, Erario, ecc., poi eventualmente i chirografari in proporzione). Spesso si fanno riparti parziali man mano, e un riparto finale a conclusione.
Esdebitazione: storicamente, il fallimento lasciava il debitore persona fisica con i debiti non soddisfatti ancora pendenti (tranne casi di esdebitazione su istanza). Il Codice ha invece rafforzato l’istituto dell’esdebitazione: oggi, il debitore persona fisica, a certe condizioni, può essere liberato dai debiti residui dopo la chiusura della liquidazione giudiziale . In particolare, l’art. 278-279 CCII prevedono che il debitore meritevole (che ha cooperato, non ha frodato, ecc.) ottenga l’esdebitazione automaticamente al momento della chiusura della procedura, se è stato soddisfatto almeno il 10% dell’ammontare dei crediti chirografari, oppure entro 3 anni dall’apertura se ha soddisfatto meno del 10% (questo punto è un po’ tecnico, ma in sostanza c’è la possibilità di esdebitazione anche per il “debitore incapiente” che nulla ha potuto pagare, con un periodo di prova di 3 anni) . L’esdebitazione dell’incapiente è una novità per permettere anche all’ex fallito che non ha attivo di ripartire dopo un periodo: se il debitore persona fisica non è riuscito a dare nulla ai creditori, può chiedere comunque di essere liberato dai debiti decorsi tre anni dall’apertura della liquidazione, purché abbia rispettato gli obblighi di collaborazione e non abbia avuto condotte fraudolente . Questa è una forma di fresh start: trascorso il periodo, i creditori non possono più esigere i crediti non soddisfatti (tranne quelli esclusi per legge come alimenti, risarcimenti per danni da illecito, debiti da multe penali, ecc.). L’esdebitazione è concessa con decreto del tribunale. Nota: se il debitore è una società, non c’è esdebitazione perché la società, una volta liquidata, viene cancellata e cessa di esistere (i debiti eventualmente insoddisfatti restano inesigibili perché non c’è più soggetto). L’esdebitazione interessa il socio illimitatamente responsabile o l’imprenditore individuale. Anche il socio fideiussore di debiti sociali, se persona fisica, può cercare tutela attraverso procedure personali: la Cassazione ha chiarito ad esempio che un socio di S.r.l. che abbia garantito con fideiussione i debiti sociali, se la prestazione di garanzia aveva scopo estraneo alla sua attività personale, può essere considerato “consumatore” e dunque accedere alla ristrutturazione dei debiti del consumatore (procedura di sovraindebitamento) . Questo per dire che chi rimane esposto personalmente, fuori dalla società, ha anch’egli strumenti per liberarsene, se rientra nelle categorie protette.
Durata e chiusura: la liquidazione giudiziale può durare anni, a seconda della complessità. Quando il curatore ha liquidato tutto l’attivo e ripartito il realizzo, presenta un conto finale e il giudice dichiara chiusa la procedura. Da quel momento, se il debitore è persona fisica, come detto può ottenere l’esdebitazione (la liberazione dai debiti residui) , voltando pagina.
Effetti per gli amministratori: per i gestori di società dichiarate in liquidazione giudiziale, possono seguire azioni di responsabilità (il curatore spesso agisce contro gli amministratori se hanno compiuto atti di mala gestione che hanno aggravato la situazione, per rifondere i creditori) e possibili conseguenze penali (se emergono fatti di bancarotta fraudolenta, documentale, preferenziale, ecc. saranno perseguiti penalmente). Inoltre, gli amministratori di società fallite incorrono in interdizioni (non possono assumere cariche per un certo periodo, ecc.). Per l’imprenditore individuale, resta la stigma ma mitigata dall’esdebitazione.
In sintesi, la liquidazione giudiziale è la soluzione estrema: distrugge l’impresa (che viene smembrata e venduta) per pagare i debiti il più possibile. Dal punto di vista del debitore è il peggiore degli scenari, ma talvolta inevitabile. Il Codice della Crisi cerca di evitare che si arrivi a questo, promuovendo soluzioni negoziali o concordatarie anticipate. Tuttavia, se l’insolvenza è conclamata e nessuno interviene, la liquidazione è necessaria per tutelare i creditori e l’ordine economico.
C. Concordato Preventivo Minore e altre procedure di sovraindebitamento
Accenniamo brevemente alle procedure riservate ai debitore non fallibili (consumatori, professionisti, piccole imprese sotto soglia). Questi soggetti, secondo la definizione di legge, non possono accedere a concordato preventivo o essere soggetti a liquidazione giudiziale, ma hanno procedure ad hoc nel Capo dedicato alla Composizione delle crisi da sovraindebitamento (artt. 65-91 CCII). Dal punto di vista pratico, se l’imprenditore è una micro-impresa che non supera i parametri di fallibilità (attivi inferiori a ~300k €, debiti sotto ~500k, ecc.), oppure è un professionista o una startup innovativa “non fallibile”, potrà utilizzare:
– il Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (se persona fisica che ha contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale, ad es. privato cittadino sovraindebitato) – questa è l’evoluzione del vecchio “piano del consumatore”;
– il Concordato minore (se imprenditore minore o agricolo, o professionista, quindi soggetto non fallibile ma con debiti da attività economica) – simile al concordato preventivo ma con qualche semplificazione;
– la Liquidazione controllata (corrispondente alla vecchia liquidazione del patrimonio ex L.3/2012) – procedura concorsuale liquidatoria per i non fallibili, gestita anch’essa da un liquidatore nominato dal giudice.
Queste procedure sono pensate per offrire anche ai piccoli debitori la possibilità di esdebitarsi e ripartire. Ad esempio, nel concordato minore non è richiesto il raggiungimento di percentuali minime di pagamento dei chirografari (è ammessa la falcidia anche integrale purché il debitore destini tutte le sue utilità disponibili) e il voto dei creditori c’è ma con regole semplificate. Nel piano del consumatore addirittura i creditori non votano: il giudice può omologare il piano se ritiene che sia fattibile e conveniente per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria, valutando anche la meritevolezza del consumatore. L’idea è che un privato o piccolo imprenditore onesto ma sfortunato possa ridurre i suoi debiti ad un importo pagabile, evitando al contempo abusi.
Un caso interessante di giurisprudenza recente: la Cassazione Sez. I n. 29746/2025 ha confermato l’orientamento per cui un socio di S.r.l. che abbia prestato fideiussione per debiti sociali può essere qualificato “consumatore” se la garanzia era estranea alla sua attività professionale . In tal caso, quel socio-fideiussore può accedere alle procedure da sovraindebitamento per ristrutturare il debito di regresso, venendo trattato alla stregua di un consumatore . Questo mostra la flessibilità del sistema nel fornire sollievo anche a figure ibride (il socio garantisce, formalmente debito d’impresa, ma se lo ha fatto al di fuori della sua attività personale, viene visto come meritevole della procedura di consumo).
Le procedure di sovraindebitamento prevedono anch’esse l’esdebitazione finale. In particolare, per il debitore incapiente (che non ha nulla da dare ai creditori) c’è la possibilità di ottenere l’esdebitazione addirittura senza offrire nulla, purché dimostri di aver meritato l’esdebitazione (non deve aver commesso atti in frode, deve aver cercato di trovare soluzione, ecc.) . Questa novità (detta “esdebitazione del debitore incapiente”) è stata introdotta per dare una seconda chance anche a chi è nullatenente: il beneficio può essere concesso una volta sola, e i creditori entro 4 anni se scoprono che il debitore ha migliorato la sua situazione possono chiedere la revoca . Ma in linea generale, dopo la chiusura della liquidazione controllata, la persona fisica può essere liberata dal residuo dei debiti.
Profili fiscali, previdenziali e bancari nella gestione della crisi
Un’efficace gestione della crisi d’impresa richiede particolare attenzione ad alcuni tipi di debiti e rapporti specifici: i debiti fiscali (verso Erario), quelli previdenziali (verso enti come INPS) e i rapporti con il sistema bancario e finanziario. Questi crediti infatti godono spesso di privilegi e regole proprie, e i creditori in questione (Stato, enti pubblici, banche) hanno comportamenti e poteri particolari. Affrontiamo separatamente questi aspetti, evidenziando come i diversi strumenti di crisi interagiscono con essi.
1. Aspetti fiscali (debiti tributari)
I debiti verso il Fisco – tipicamente IVA, ritenute, imposte sui redditi, IRAP, accertamenti – rappresentano spesso una parte consistente del passivo delle imprese in crisi. La normativa italiana consente di trattare i crediti tributari nelle procedure di crisi, ma con alcuni limiti derivanti sia da politiche interne sia da vincoli europei (sulle risorse proprie UE come l’IVA).
Fuori dalle procedure concorsuali, i margini per “ridurre” il debito fiscale sono limitati: l’Agenzia delle Entrate può concedere rateizzazioni (piani di dilazione fino a 6 anni, o 10 anni in casi eccezionali) su somme iscritte a ruolo, e lo Stato periodicamente vara misure di definizione agevolata (ad es. “rottamazione” delle cartelle, con stralcio di interessi e sanzioni, o “saldo e stralcio” per contribuenti in difficoltà). Tuttavia, salvo queste misure straordinarie di legge, l’impresa che voglia ridurre la quota capitale dei tributi dovuti (ad es. tagliare l’IVA dovuta) non può farlo unilateralmente: occorre passare tramite una procedura concorsuale o un accordo omologato che includa la cosiddetta transazione fiscale. La transazione fiscale è un istituto previsto inizialmente nella legge fallimentare (art. 182-ter L.F.) e ora confluito negli artt. 63, 88 CCII: in sostanza, l’Erario (Agenzia Entrate e Agenzia Riscossione per cartelle) può aderire a un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione accettando una falcidia (pagamento parziale) o una dilazione dei tributi (anche IVA e ritenute) e relativi accessori, a patto che la proposta del debitore non sia inferiore al valore di realizzo in caso di liquidazione giudiziale e sia conveniente. La legge infatti impone al debitore che vuole falcidiare IVA o ritenute di indicare alternativamente che pagherà almeno il 20% oppure, se offre meno, di dimostrare che in liquidazione quel credito sarebbe chirografario e prenderebbe zero (norma un po’ tecnica, ma la sostanza: devi dare al Fisco almeno quanto prenderebbe nel worst case). L’Agenzia delle Entrate, dal canto suo, decide se accettare (votando sì in concordato, o aderendo nell’accordo di ristrutturazione). Ha linee guida interne: di solito approva se la proposta offre un pagamento non inferiore a quanto stimabile in caso di fallimento e se percepisce concretezza nel piano. Dal 2021, la legge ha previsto che se il Fisco non risponde a una proposta di transazione fiscale entro 90 giorni, il silenzio vale come assenso (norma per evitare meline dall’Agenzia). Dunque il debitore conviene sempre presentare formalmente la proposta all’Erario per attivare questo meccanismo.
Nei concordati preventivi, come abbiamo visto, con le novità del CCII l’Agenzia Entrate non ha più un potere di veto assoluto: se il suo voto contrario fosse determinante ma il piano garantisce al Fisco il best interest (quindi almeno il valore di liquidazione), il tribunale può omologare comunque . Questo è un cambio di paradigma: prima, l’IVA doveva essere pagata al 100% salvo consenso, ora si può costringere l’erario ad accettare meno via cram-down se le condizioni sono rispettate . Ad esempio, se un concordato paga l’IVA al 30% e l’Agenzia vota no, ma in fallimento quell’IVA avrebbe preso 10%, il giudice può tirare dritto omologando e l’Erario sarà falcidiato comunque .
Negli accordi di ristrutturazione dei debiti, invece, non è possibile il cram-down: lì l’adesione del Fisco è necessaria se li vuoi falcidiare (perciò o li paghi integrali in 120 giorni come creditori estranei, oppure li convinci a firmare l’accordo). Proprio per facilitare questo, nel 2024 come detto si è introdotto l’accordo transattivo fiscale utilizzabile già in composizione negoziata . Questo permette di negoziare con l’Agenzia fuori dalle aule di tribunale: se l’Agenzia accetta una certa riduzione, la formalizzi e ottieni un decreto di efficacia dal giudice . Un aspetto importante è l’inclusione dell’IVA: in passato c’erano dubbi sulla falcidia dell’IVA per normative UE, ma la Decisione UE 2020/2053 e la direttiva hanno chiarito che fa parte dei sistemi nazionali di ristrutturazione includerla . Quindi oggi anche l’IVA può essere trattata come gli altri tributi (non è più intoccabile). Unica eccezione: i dazi doganali (risorse UE) che restano esclusi da transazioni (vanno pagati integralmente) .
Pagamento dell’IVA corrente e compensazioni: Un problema pratico: se l’impresa è in concordato, come gestisce l’IVA che matura durante la procedura? La legge oggi consente che l’IVA post-domanda sia considerata debito di massa prededucibile (cioè va pagata man mano, come costo della procedura). L’azienda in continuità deve dunque continuare a versare l’IVA corrente, pena decadenza da benefici. Non può invece compensare crediti fiscali pregressi con debiti concorsuali salvo autorizzazione. In un accordo di ristrutturazione, l’IVA corrente va pagata regolarmente altrimenti i fornitori e il fisco perdono fiducia.
Certificati fiscali (Durc e regolarità): Un’impresa in crisi spesso perde il Durc (documento regolarità contributiva) e il certificato di regolarità fiscale. Questo la esclude da appalti pubblici. La legge tuttavia prevede che l’azienda ammessa a concordato con continuità o che abbia un accordo omologato possa ottenere un Durc “provvisorio” se rispetta gli obblighi del piano verso Inps e Inail. Inoltre, col DL 73/2021 è stato previsto che chi presenta domanda di concordato in continuità può ottenere il DURC regolare purché rispetti il piano di versamenti contributivi inserito in concordato. Ciò per non tagliare fuori le imprese dalle gare proprio quando cercano di risalire.
Crisi e reati tributari: Un tema delicato: i debiti IVA e ritenute non versate oltre certe soglie sono di rilievo penale (omesso versamento IVA sopra 250k € è reato). Spesso un imprenditore in crisi si preoccupa: se faccio concordato e ammetto che non pagherò l’IVA per intero, rischio il penale? Ebbene, la giurisprudenza ha stabilito che l’omologazione del concordato preventivo con integrale pagamento dell’IVA entro il piano può escludere il dolo per il reato di omesso versamento, ma se prevede un pagamento parziale c’è la problematica di come conciliare con il reato. Nel 2022 però è stato introdotto che la presentazione di una domanda di composizione negoziata o concordato impedisce misure cautelari penali per reati tributari (fino a esito). E se il concordato viene omologato, in alcuni casi la punibilità può essere esclusa per particolare tenuità o mancanza di dolo (l’imprenditore confidava nel concordato). Insomma, la questione è complessa ma la legge tende a favorire chi cerca di risolvere il debito fiscale in modo concordato piuttosto che punirlo ciecamente.
In sintesi consigli per il debitore: affrontare i debiti tributari richiede trasparenza con l’Agenzia Entrate. Mai nascondere la testa sotto la sabbia: se esistono cartelle esattoriali, è utile valutare se si può aderire a definizioni agevolate (rottamazione) per ridurne l’importo, oppure inserirle subito in un piano concordatario. L’Agenzia ha oggi un approccio più collaborativo in sede di ristrutturazione: vede caso per caso. Ad esempio, se l’impresa offre di pagare l’IVA al 40% subito e il resto in 5 anni, e dimostra che fallendo il fisco prenderebbe 10%, con buone probabilità l’Agenzia accetta (anche per evitare di passare a un lungo fallimento). Dialogare tramite istituti formali (istanza di transazione fiscale) è cruciale. Ora con la composizione negoziata, c’è un tavolo dedicato: l’imprenditore con l’esperto presenta all’Agenzia la proposta, l’Agenzia valuterà (coinvolgendo probabilmente una commissione interna) e se c’è fattibilità aderirà volentieri, perché l’obiettivo è incassare il possibile senza uccidere l’azienda.
2. Aspetti previdenziali (debiti verso INPS e altri enti)
I debiti previdenziali (contributi INPS, premi INAIL, casse professionali) hanno natura in parte simile ai tributi: spesso godono di privilegio generale sui mobili (ex art. 2753 c.c. per 2 anni di contributi) e per la parte privilegiata vanno normalmente soddisfatti per intero nelle procedure, mentre per la parte chirografaria (contributi più vecchi, sanzioni) si possono proporre falcidie. Esiste la transazione previdenziale (art. 63 CCII insieme alla fiscale) che permette di includere i crediti contributivi in concordati e accordi con lo stesso criterio di convenienza. L’INPS e gli altri enti, come creditori pubblici qualificati, hanno l’obbligo di valutare le proposte. Storicamente, l’INPS è stata un interlocutore un po’ rigido nelle ristrutturazioni, ma con la riforma si cerca di uniformare il comportamento ai principi del Fisco.
Novità significativa: il decreto correttivo ter del 2024 ha ridefinito le competenze decisionali all’interno dell’INPS sulle proposte transattive in concordati e accordi . Prima, c’era un’incertezza su chi dovesse approvare per l’INPS (direzione regionale? sede locale? cda centrale?), mentre per il Fisco la legge già indicava commissioni ad hoc al MEF oltre certe soglie. Con la modifica, l’INPS ha emanato il messaggio n. 3553 del 25/10/2024 che attribuisce la competenza a decidere sulle transazioni al livello centrale dell’Istituto, uniformando la prassi . Ciò significa che se un’azienda propone in concordato di pagare il 50% dei contributi chirografari, la valutazione verrà fatta seguendo le nuove regole interne, presumibilmente velocizzando e rendendo più prevedibile la risposta. L’INPS sta per pubblicare (o ha pubblicato) anche una circolare esplicativa, come anticipato nel messaggio .
Nella composizione negoziata, come notato, c’è un peculiare squilibrio: il decreto 136/2024 non ha incluso i debiti contributivi nell’accordo transattivo semplificato . Quindi, durante la fase negoziale, l’INPS non può formalmente accordare uno stralcio come l’Agenzia delle Entrate; al massimo può concedere una rateazione ordinaria (fino 24 mesi) se ne esistono i presupposti di legge. Questo aspetto è stato criticato perché lascia fuori un pezzo (forse per timore di violare normative di bilancio pensionistico). Di conseguenza, se l’impresa ha ingenti debiti INPS e vuole ridurli, probabilmente dovrà passare da un concordato preventivo o accordo di ristrutturazione con omologa. Comunque, anche nel concordato, per falcidiare i contributi serve l’adesione INPS (o ora il cram-down se fanno la classe pubblici dissenziente).
DURC e continuità: come anticipato prima, il Durc (Documento Unico Regolarità Contributiva) è fondamentale per le aziende che lavorano con la PA o in edilizia. L’apertura di un concordato preventivo non esonera dal Durc, ma con normative recenti si consente un Durc provvisorio se l’azienda sta rispettando il piano concordatario. Ad esempio, un’azienda edile in concordato in continuità può ottenere un Durc regolare presentando copia del decreto di ammissione e del piano di pagamento dei contributi nel concordato. L’INPS ha recepito ciò e rilascia Durc con validità condizionata. Nella composizione negoziata, invece, se l’azienda è solo in trattativa senza accordo, in teoria il Durc rimane irregolare finché non paga gli arretrati o entra in procedura. Tuttavia, il decreto 118/2021 introdusse (in conversione) l’obbligo per l’INPS di segnalare l’azienda con ritardo contributivo all’organo amministrativo (allerta esterna) ma contestualmente di invitarla ad attivare la composizione negoziata . Quindi l’INPS ha un ruolo duplice: creditore duro ma anche attore di sistema.
Responsabilità personali: i contributi hanno la particolarità che, per le società, gli amministratori possono incorrere in responsabilità personali per mancato versamento di contributi previdenziali. In particolare, il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali (quando l’azienda trattiene in busta paga contributi dei dipendenti e non li versa all’INPS) scatta sopra una soglia (non elevatissima) ed è punito penalmente. Dunque, se un’azienda entra in crisi e sceglie di non pagare contributi per pagare altri debiti, l’amministratore rischia sanzioni penali. Questo va tenuto a mente: nelle crisi, spesso gli imprenditori smettono di pagare INPS e IVA perché “nessuno bussa subito”, ma accumulano problemi penali. Meglio sarebbe tutelarsi facendoli rientrare in un contesto concordatario. Va detto che la giurisprudenza talvolta esclude il dolo di questi reati se l’imprenditore prova che non aveva liquidità per cause indipendenti dalla sua volontà e che poi ha cercato di rimediare (ad es. presentando un concordato). Ma non è garantito.
In un concordato liquidatorio, i crediti contributivi privileggiati devono essere pagati al 100% per legge (al pari di privilegi ex art. 2778 c.c.), salvo che rinuncino pro quota. Quelli chirografari prendono ciò che prendono gli altri chirografi in percentuale.
In sintesi per il debitore: il consiglio è simile al Fisco: non trascurare l’INPS. Appena si delinea la crisi, è opportuno contattare l’ente (anche tramite i consulenti del lavoro) per spiegare che si sta predisponendo un piano. L’INPS in certe situazioni preferisce persino la liquidazione fallimentare (dove i suoi crediti privilegiati hanno prelazione su quasi tutti) piuttosto che un concordato che li decurti. Ma se le circostanze dimostrano che col concordato prendono di più, allora conviene convincere l’ente su quel tavolo. Con le nuove regole, l’INPS deciderà con criteri più chiari, quindi presentare documentazione comparativa (quanto prenderebbero in fallimento vs in concordato) è fondamentale. Inoltre, l’amministratore che vuole evitare guai deve cercare di non accumulare troppi mesi di contributi non pagati: meglio pagare quelli correnti e semmai inserire in piano le esposizioni pregresse.
3. Aspetti bancari e finanziari
I rapporti con le banche e gli altri finanziatori (leasing, factor, obbligazionisti) sono cruciali in qualsiasi crisi d’impresa. Le banche spesso detengono crediti significativi, talora garantiti da pegni o ipoteche, e forniscono servizi essenziali (conto corrente, affidamenti per cassa, anticipi). Quando un’azienda entra in difficoltà, tipicamente le banche reagiscono riducendo l’esposizione: possono revocare linee di credito autoliquidanti (fidi su sbf, anticipo fatture), chiedere rientro da fidi di cassa, segnalare in Centrale Rischi lo status di “inadempienza” o “sofferenza” del credito, ecc. Queste azioni possono aggravare la crisi (se la banca chiude i rubinetti, l’impresa perde liquidità e collassa). La riforma ha cercato di temperare queste reazioni, almeno nella fase di composizione negoziata e concordato:
- Come visto, in composizione negoziata le banche non possono riclassificare automaticamente a sofferenza il credito solo perché l’azienda avvia la procedura . Possono farlo solo se obiettivamente la rischiosità lo impone, e devono motivare la revoca di affidamenti documentando ragioni prudenziali reali . Questa è una norma innovativa: in pratica Bankitalia/legislatore dicono alle banche “date una chance, non segate il ramo appena l’impresa chiede aiuto”. Anche i provvedimenti di Basilea recepiti dall’EBA danno un po’ di flessibilità se c’è un processo di risanamento credibile in corso (possono classificare come forborne un credito ristrutturato invece che default, se c’è adesione a certe misure).
- In concordato preventivo, come già accennato, vige il divieto di attivare clausole risolutive sui contratti di finanziamento per il solo deposito della domanda . Quindi la banca non può chiudere unilateralmente il rapporto di conto o revocare un prestito per quell’unica ragione. Può farlo se, ad esempio, la controparte non paga le rate e non ci sono misure protettive ad impedirlo, ma comunque l’apertura del concordato impedisce di iniziare/continuare azioni esecutive.
- Durante le misure protettive (stay), i finanziatori non possono opporsi all’uso di linee autoliquidanti ancora in essere per crediti anteriori. Ad esempio, se l’impresa aveva anticipi su fatture già erogati, la banca non può “stornare” i bonifici dei clienti futuri. Inoltre, misure cautelari possono impedire a una banca con pegno su conto di incamerare il saldo immediatamente.
- Un istituto rilevante nel rapporto con banche è il “finanziamento interinale” e i “nuovi finanziamenti” in procedura. Spesso un’impresa in concordato o in composizione negoziata ha bisogno di nuova finanza per stare a galla (pagare fornitori, stipendi). La legge consente: in composizione negoziata, di contrarre finanziamenti prededucibili se l’esperto vi consente e il tribunale li autorizza (se sono funzionali a migliorare prospettive di risanamento); in concordato preventivo, previa autorizzazione del tribunale, l’impresa può contrarre finanziamenti in prededuzione o con privilegio speciale, che saranno rimborsati con priorità . Questo serve a convincere banche o soci a mettere liquidità fresca: sanno che quei soldi, se il concordato va a buon fine, saranno rimborsati prima di tutti gli altri debiti (e se il concordato fallisce e si va a fallimento, comunque le somme autorizzate restano prededucibili, salvo mala fede). Tali finanziamenti possono essere anche garantiti da pegno o ipoteca di grado super privilegiato (se autorizzati ex art. 99 CCII).
- Le banche come creditrici partecipano al voto: di solito le loro posizioni sono privilegiate (mutuo ipotecario) e se il piano le paga integralmente su quel mutuo, non votano; se invece c’è sofferenza oltre l’importo di garanzia, la parte chirografaria vota. Oppure se il concordato li obbliga a rifinanziare/convertire parte credito in capitale, allora votano come chirografari per quella parte. Le banche tendono a fare credit management attivo in crisi: spesso vendono i crediti deteriorati (NPL) a società specializzate. Ciò significa che il debitore potrebbe trovarsi a trattare, in sede di concordato, non con la banca originaria ma con un fondo (SPV) che ha comprato il credito scontato. Questi fondi a volte sono più disponibili ad accordi di stralcio (perché magari han comprato a 20 e sono felici di prendere 30) oppure più aggressivi (puntano al pieno valore e pressano per fallimento per tentare azioni su garanti). Dipende.
- Molte imprese hanno esposizioni bancarie garantite da fideiussioni personali dei soci o degli amministratori. È importante sottolineare che il concordato dell’azienda non libera i fideiussori (salvo che il piano preveda espressamente il beneficio anche per loro e i creditori vi acconsentano, ma spesso non accade). Dunque, se Tizio, socio di Delta S.p.A., ha garantito con patrimonio personale un mutuo bancario e Delta fa concordato pagando la banca al 80%, la banca potrebbe comunque agire contro Tizio per il restante 20% (la banca di solito ottiene dai garanti una rinuncia al “beneficio del concordato” – art. 184 L.F. previgente, ora rimodulato). Tizio a quel punto per tutelarsi dovrebbe magari anch’egli accedere a una procedura di sovraindebitamento o trovare un accordo personale con la banca. Questo meccanismo comporta che spesso nelle crisi, i garanti (soci) hanno un forte incentivo a pagare di tasca propria più dei creditori chirografari normali, per evitare di essere escussi successivamente. Infatti nei concordati spesso vediamo i soci offrire apporti (c.d. finanza esterna) destinati a pagare una percentuale migliorativa ai creditori, proprio per ridurre il rischio di escussione personale e chiudere il debito.
- Garanzie bancarie e bonding: se l’impresa ha emesso fideiussioni a favore di clienti (ad es. polizze fideiussorie per appalti) o ricevuto avalli per crediti (confidi, ecc.), l’apertura di una procedura può farle escutere. Ad esempio, se l’impresa ha una polizza cauzionale verso un committente e chiede concordato, il committente a volte incamera la cauzione per tutelarsi. L’assicurazione poi si insinua al posto suo. Non c’è divieto in questi casi se quell’escussione è contrattualmente libera; però, se il concordato va avanti, quell’assicurazione creditrice sarà trattata come gli altri chirografari.
- Effetti su linee di credito: in concordato, i contratti bancari come mutui possono proseguire o essere sciolti a seconda. Spesso il debitore chiede la sospensione delle rate mutuo pregresso durante la procedura (moratoria) – può essere concessa. Le linee autoliquidanti (anticipi fatture) di solito vengono chiuse dalle banche appena possibile, perché l’azienda non può contrarre nuovo debito concorsuale senza autorizzazione. Però il debitore in continuità può chiedere alla banca di mantenere l’operatività almeno su nuove fatture (post apertura) – se la banca confida di essere prededucibile su nuovi anticipi può farlo, altrimenti tendenzialmente no.
- Centrale Rischi: Finire in procedura concorsuale comporta segnalazioni negative in Centrale Rischi Banca d’Italia e sistemi SIC. Questo incide sulla reputazione creditizia dell’azienda e dei garanti. Una volta omologato il concordato e attuato, la posizione viene aggiornata (es: debito stralciato, magari segnalato come sofferenza chiusa a saldo e stralcio). Ci vogliono anni perché l’impresa riacquisti pieno merito creditizio. Ecco perché a volte i debitori preferiscono accordi stragiudiziali riservati: per non venire etichettati come insolventi ufficialmente.
- Usura e anomalie nei rapporti bancari: a margine, nelle crisi spesso emergono contestazioni del debitore sui conti (anatocismo, usura su interessi). Queste questioni possono generare cause. In concordato, se il debitore ritiene di avere cause risarcitorie contro la banca, può farle valutare come attivo eventuale. Ma raramente risolvono la crisi e anzi complicano i rapporti. In pratica, in trattativa a volte il debitore usa l’argomento “non vi ho fatto causa per usura, quindi voi accettate stralcio”, funzionando come leva negoziale. È un azzardo e va gestito con dati tecnici.
In sintesi per i rapporti finanziari: dal lato del debitore, è vitale coinvolgere presto le banche nel piano di risanamento. Le banche, se vedono trasparenza e un piano credibile, possono supportare anche con nuova finanza o almeno congelare le pretese. Spesso costituiranno la classe dominante in qualsiasi votazione, quindi bisogna ottenere il loro assenso. Utilizzare lo strumento della moratoria bancaria (ci sono accordi ABI per la sospensione rate in presenza di piani di risanamento, come l’Accordo ABI per il credito) può dare respiro. Anche il ricorso a garanzie pubbliche (es. Fondo di Garanzia PMI, o Garanzia SACE, sui nuovi finanziamenti in concordato) può convincere banche a erogare prestiti in prededuzione.
Va ricordato che nel 2020-2021 per pandemia c’è stata moratoria generale e prestiti garantiti dallo Stato: ora molte imprese faticano a restituirli. Il legislatore consente di includerli nei piani di ristrutturazione, previa autorizzazione del MEF se c’è da prorogare oltre 10 anni i finanziamenti garantiti. Questa è un’area in evoluzione.
Dal lato delle banche, oggi esistono team dedicati alle UTP (Unlikely To Pay) che lavorano con aziende in pre-crisi per ristrutturare il credito (recapitalizzazioni, accordi 67 LF, ecc.). C’è consapevolezza che a volte è meglio ristrutturare e tenere in vita l’azienda (così la banca recupera di più col tempo) che spingerla al fallimento incassando poco. La disciplina IFRS9 spinge le banche a classificare i crediti ristrutturati come Stage 3 ma se c’è buon fine possono risalire.
In conclusione, l’imprenditore in crisi deve comunicare con trasparenza con i finanziatori, preferibilmente prima di saltare i pagamenti. Un accordo bilaterale di standstill con le banche (magari con l’intervento di un consulente CRO) può preludere a un workout ordinato, evitando strappi unilaterali. Gli strumenti giuridici (misure protettive, prededuzione, ecc.) servono a creare un contesto protetto per queste negoziazioni.
Esempi pratici di scelta dello strumento di crisi
Di seguito presentiamo alcune simulazioni semplificate per illustrare come un imprenditore debitore può scegliere tra i vari strumenti a disposizione e quali risultati può attendersi.
- Caso 1: PMI commerciale con squilibrio temporaneo – Situazione: Alfa S.r.l., 40 dipendenti, settore commercio all’ingrosso. A causa di un calo di mercato e di ritardi nei pagamenti dei clienti, Alfa accumula €800.000 di debiti scaduti (fornitori €300k, banca €200k su fido scoperto, debiti IVA/INPS €150k, altri €150k). Tuttavia, gli ordini iniziano a riprendersi e la crisi appare temporanea, servono però dilazioni. Scelta: Alfa tenta prima la Composizione negoziata con un esperto: l’obiettivo è ottenere tempo dai creditori mentre arrivano i pagamenti dei clienti. L’esperto aiuta Alfa a stilare un piano di tesoreria: in 18 mesi, incassi previsti €1 mln, a fronte di costi operativi €900k più gli €800k arretrati – chiaramente non si riesce a pagare tutto. Si propone quindi a banche e fornitori di spalmare i debiti: la banca converte il fido in mutuo 5 anni (e Alfa trova un garante), i fornitori accettano il 70% del loro credito dilazionato in 1 anno (preferiscono tagliare 30% ma non perdere il cliente). L’Agenzia Entrate, contattata, propone la rateazione standard (non una falcidia). L’esperto monitora le trattative. Dopo 3 mesi, Alfa ottiene accordi scritti individuali con 80% dei fornitori (il restante 20% viene pagato integralmente grazie a un piccolo prestito dei soci) e con la banca. Formalizza il tutto – è di fatto un piano attestato di risanamento (viene anche fatto attestare da un professionista per sicurezza). La composizione negoziata si chiude con esito positivo e senza necessità di concordato. Esito: Alfa evita procedure concorsuali, in 1 anno torna in bonis pagando i debiti ridotti. Ha salvato reputazione e relazioni. Nota: in questo caso la prevenzione è stata decisiva: Alfa è intervenuta prima di accumulare insolvenza grave, quindi i creditori hanno collaborato.
- Caso 2: Azienda manifatturiera sovraindebitata ma ancora redditizia – Situazione: Beta S.p.A., 100 dipendenti, produce macchinari. Debiti totali €10 milioni (banche 5 mln, fornitori 3 mln, Fisco/INPS 1 mln, altro 1 mln). La crisi è dovuta a un investimento sbagliato e calo temporaneo di vendite, ma il portafoglio ordini sta tornando positivo. Beta è insolvente perché non riesce a rimborsare le rate bancarie né a pagare i fornitori scaduti, ma ha prospettive. Scelta: Beta opta per un Concordato preventivo in continuità. Previa consulenza, prepara un piano: un investitore terzo è disposto a mettere 2 milioni freschi per rilanciare (in cambio del 30% delle quote); i soci accettano di essere diluiti. Con questi soldi, Beta propone di pagare integralmente le banche ipotecarie (per non perdere gli immobili dati in garanzia) ma con estensione dei piani a 8 anni; di pagare fornitori al 50% in 2 anni; e di pagare Fisco/INPS al 40% in 2 anni. Si attende che l’azienda, una volta risanata, generi utili per finanziare questi pagamenti. Il tribunale ammette Beta al concordato. Durante la procedura, Beta conserva la gestione (sotto controllo del commissario) e porta avanti gli ordini in produzione. I creditori votano: le banche (classe garantiti) votano sì perché vengono sostanzialmente soddisfatte, i fornitori (classe chirografa) all’80% dicono sì, alcuni erano scettici ma preferiscono il 50% alla prospettiva incerta di un fallimento; il Fisco (classe privilegiata parzialmente, l’IVA è chirografa) vota no su quella parte, ma come visto questo non blocca. Il concordato viene omologato – addirittura i creditori chirografi approvano con oltre il 60%, quindi non serve nemmeno cram-down forzato. Esito: Beta esce dall’insolvenza: i debiti finanziari sono ristrutturati sul lungo termine, i fornitori incassano metà e continuano a lavorare con Beta (che per di più paga regolarmente il nuovo forniture), il Fisco incassa di più di quanto avrebbe ricavato dalla chiusura. I dipendenti mantengono il posto. L’investitore che ha messo 2 milioni ora possiede 30% di Beta e può guadagnare se Beta torna prospera. Beta nei due anni successivi rispetta il piano e nel frattempo riduce costi e migliora margini – la crisi è risolta. Nota: i soci originari hanno perso parte del controllo cedendolo all’investitore (ma era l’unica via), inoltre hanno dovuto rinunciare ai crediti soci (postergati, di fatto azzerati nel concordato). Beta ha sofferto il “marchio” del concordato sul mercato, ma essendo in continuità e fornendo garanzie di affidabilità, ha mantenuto i contratti con clienti.
- Caso 3: Piccola impresa artigiana senza prospettive di risanamento – Situazione: Gamma SNC, azienda familiare edile, 10 addetti. A causa di errori di gestione e crisi del settore, Gamma accumula debiti per €500.000, principalmente verso fornitori e fisco. L’attività è ormai ferma, i titolari (padre e figlio) hanno anche ipotecato la casa per ottenere prestiti, ormai esauriti. Non ci sono lavori futuri in vista. Scelta: La situazione appare compromessa e non c’è continuità da salvare. Gamma valuta che l’unica soluzione è liquidare quel poco che resta e cercare di azzerare i debiti residui per permettere ai soci di ripartire individualmente altrove. Invece di aspettare il fallimento su istanza di creditori, Gamma decide volontariamente di presentare istanza di Liquidazione giudiziale. Essendo una SNC, i soci sono illimitatamente responsabili, quindi la procedura coinvolgerà anche loro patrimoni. Il tribunale dichiara l’insolvenza e apre la liquidazione giudiziale. Un curatore prende in mano la società: vende gli ultimi attrezzi e furgoni ricavando €50k, riscuote un paio di crediti per altri €20k. I crediti privilegiati (dipendenti, pochini, e un po’ di Inps) assorbono quasi tutto. Ai fornitori chirografari va solo un dividendo del 5%. Dopo 2 anni la procedura si chiude. I soci, avendo la SNC beni nulli, vedono aggredito il loro patrimonio personale (la casa ipotecata viene venduta dalla banca, che però non si soddisfa per intero). Esito: Dal punto di vista dell’azienda, essa viene liquidata e cessa di esistere. I soci restano con debiti personali (perché i creditori non pagati della SNC possono rivalersi su di loro). Tuttavia, essendo persone fisiche, i soci chiedono l’esdebitazione: il giudice gliela concede, liberandoli dai debiti residui verso i creditori concorsuali . La banca che aveva ipoteca invece avendo escusso l’immobile e residuato un’insolvenza per €50k, tecnicamente potrebbe chiedere di mantenere l’ipoteca su eventuali altri beni, ma i soci non ne hanno. In definitiva, i soci hanno perso la casa e l’azienda, ma dopo la chiusura e l’esdebitazione possono ricominciare da zero (ad esempio il figlio può aprire una nuova attività, senza la zavorra di €200k di debiti pregressi). Nota: avrebbero potuto anche percorrere la via del concordato semplificato se avessero provato la composizione negoziata e trovato un acquirente per la casa di valore migliore, ma vista la semplicità è andato il fallimento. Si noti come la scelta volontaria di liquidazione abbia evitato ai soci possibili accuse di ritardo nel fallimento e aggravamento del dissesto: anzi, hanno collaborato col curatore, e dunque sono stati liberati più facilmente dai debiti.
- Caso 4: Ditta individuale sovraindebitata (esempio di concordato minore) – Situazione: Mario, titolare di una ditta individuale di trasporti (impresa “minore” non fallibile), ha debiti per €300.000 (leasing per camion €100k, banche €50k, fornitori carburante €50k, fisco €50k, altro €50k). Purtroppo è costretto a cessare l’attività per problemi di salute, vende i camion ricavando €80k ma non bastano a pagare tutti. Scelta: Mario può accedere alle procedure di sovraindebitamento. Nel suo caso, essendo imprenditore, la procedura adatta è il concordato minore: propone di usare gli €80k ricavati dalla vendita beni per pagare parzialmente i debiti. Propone ad esempio di pagare i creditori privilegiati (leasing aveva garanzia sui camion, ma quei beni venduti hanno generato 80k che bastano a coprire il loro credito in buona parte) e di dare ai chirografari (fornitori, parte residua di banca e fisco) un 30%. I creditori votano su questa proposta semplificata (non c’è percentuale minima di legge da rispettare, basta la convenienza). Approvano perché sanno che altrimenti Mario non ha altri beni (è un concordato liquidatorio di fatto). Il tribunale omologa il concordato minore. Esito: Mario paga i 80k come stabilito e ottiene la esdebitazione immediata per la parte di debito non pagata. I creditori non soddisfatti non possono più pretendere nulla da lui. Mario, se volesse in futuro, potrebbe aprire un’attività differente senza l’assillo del passato (anche se l’esperienza lo renderà forse più cauto nel prendere debiti). Nota: se Mario non avesse avuto proprio nulla da offrire, avrebbe potuto optare per la liquidazione controllata, e chiedere l’esdebitazione del debitore incapiente dopo 3 anni . Con 80k in mano ha preferito il concordato, risolvendo prima.
Questi esempi, pur semplificati, mostrano che la scelta dello strumento dipende da: a) gravità dell’insolvenza, b) prospettive di continuare l’attività, c) composizione del debito (quali creditori e privilegi), d) disponibilità di risorse esterne o accordi parziali. Un buon consulente valuterà con l’imprenditore tali fattori e indicherà la strada meno traumatica e più efficace.
Domande Frequenti (FAQ) sulla crisi d’impresa
D: La mia azienda ha troppi debiti ma sta ancora lavorando: come capisco se è meglio un accordo stragiudiziale o un concordato?
R: Dipende da quanta adesione pensi di ottenere spontaneamente dai creditori e da quanto tempo hai. Se prevedi che la maggior parte dei creditori chiave collaborerà e ti serve evitare la pubblicità di una procedura formale, prova prima con un piano attestato o una composizione negoziata (strumenti stragiudiziali). Se invece hai già creditori aggressivi o hai bisogno di imporre sacrifici anche ai dissenzienti (tagli di credito a chi non accetta), allora dovrai usare un concordato preventivo, perché solo così potrai vincolare tutti con l’omologazione del tribunale. In pratica: accordo stragiudiziale se la situazione è gestibile con il consenso (magari pochi creditori e interlocutori ragionevoli); concordato se l’insolvenza è più grave e diffusa, o serve la protezione immediata del tribunale. Spesso si tenta in via riservata e, se non funziona, si ripiega sul concordato. Tieni presente anche i costi: un concordato ha costi legali, del commissario, ecc., maggiori di un workout privato.
D: Quando è opportuno richiedere la composizione negoziata della crisi?
R: Il prima possibile appena percepisci segnali di squilibrio finanziario. La composizione negoziata è pensata proprio per affrontare tempestivamente la crisi . Se vedi che la tua azienda rischia insolvenza entro 12 mesi (flussi di cassa inadeguati), conviene attivarla. Ad esempio, se hai debiti scaduti con banche o fisco che non riesci a saldare ma credi che con un po’ di respiro l’azienda sia recuperabile, non aspettare che un creditore chieda il fallimento: chiedi la composizione negoziata. Avrai un esperto che ti aiuta e l’ombrello protettivo per qualche mese, evitando azioni esecutive mentre cerchi soluzioni. Ricorda: non devi per forza essere già insolvente; basta lo “squilibrio” (difficoltà prospettica) . Se invece la crisi è già acuta (pignoramenti in corso, ecc.), puoi comunque tentarla, purché nessuno abbia ancora portato i libri in tribunale. In sintesi: precoce è meglio – gli strumenti di allerta servono proprio a evitare di agire troppo tardi.
D: Ho debiti con Equitalia/Agenzia Entrate per IVA e INPS molto alti: posso tagliarli?
R: Sì, ma solo attraverso un percorso formale. Puoi proporre un piano di ristrutturazione che includa una transazione fiscale e contributiva . Ciò significa offrire di pagare una parte di quei debiti e chiedere all’Agenzia Entrate/INPS di aderire. Questo può avvenire in un accordo di ristrutturazione omologato o in un concordato preventivo. Fuori da queste procedure, non puoi unilateralmente ridurre l’importo (salvo aderire a eventuali rottamazioni se ne hai i requisiti e sono aperte). Attenzione all’IVA: oggi è ammessa la falcidia, ma devi comunque offrire al Fisco almeno quanto ricaverebbe se fallissi . Ad esempio, se devi €100k di IVA e in caso di fallimento stima che incasserebbe 20k, nel piano dovrai proporre non meno di 20k (20%). In generale, l’Erario difficilmente accetta meno del 20-30% salvo situazioni disperate. Dunque, sì, li puoi ridurre significativamente, ma serve la “benedizione” del giudice (omologa) e il calcolo preciso di convenienza. Da ottobre 2024, se attivi la composizione negoziata, puoi anche chiudere un accordo fiscale prima del concordato , cosa che velocizza il processo. Per i contributi INPS, analogamente, puoi chiederne la falcidia in concordato o ADR, ma l’INPS dovrà approvare (o essere cram-downata).
D: Se faccio il concordato preventivo, potrò continuare a fare contratti con la Pubblica Amministrazione?
R: Sì, a certe condizioni. Normalmente un’impresa in concordato preventivo non liquidatorio (cioè in continuità) può partecipare a gare pubbliche se il tribunale autorizza la continuità e se presenta un certificato attestante la propria situazione. Deve anche essere in regola con il DURC. La legge (art. 94 CCII) prevede che l’ammissione a concordato in continuità non esclude la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici, purché l’impresa dimostri che il piano assicura la piena esecuzione del contratto e l’attestatore confermi che ne deriva utilità ai creditori. In pratica, serve una autorizzazione del tribunale per partecipare a nuove gare in concordato. Inoltre, devi avere un Durc regolare: come detto, se sei in concordato e stai rispettando il piano per pagare contributi, l’INPS ti rilascia un Durc provvisorio. Dunque, se hai in corso appalti, puoi mantenerli (il committente pubblico non può risolvere solo perché sei in concordato, ai sensi dell’art. 95 CCII). Per partecipare a nuove, devi un po’ dimostrare di avere le carte in regola e che il concordato non compromette l’esecuzione. Molte PA chiedono un certificato del tribunale che attesti la continuità e l’assenza di effetti pregiudizievoli. In generale, non sei automaticamente escluso dalle gare per il solo concordato (a differenza del fallimento che esclude), grazie alle norme pro-continuità.
D: Posso liberarmi dei debiti personali facendo fallire la mia S.r.l.?
R: Attenzione: la S.r.l. è una persona giuridica distinta da te. Se la S.r.l. va in liquidazione giudiziale (fallimento), i suoi debiti non passano automaticamente a te, però i creditori sociali possono rifarsi su di te solo se hai prestato garanzie personali o se hai commesso irregolarità (ad es. pagamenti preferenziali a te stesso). In generale, i soci di S.r.l. non rispondono dei debiti sociali, quindi fallendo la S.r.l. i debiti restano con la società (che poi viene cancellata) e tu come socio sei salvo – salvi eventuali garanzie date. Tuttavia, se sei anche amministratore, potresti essere chiamato a rispondere con azione di responsabilità se hai aggravato i debiti con mala gestione. E se hai fideiussioni su mutui aziendali, la banca verrà da te dopo il fallimento per chiederne il pagamento integrale (il fallimento della società non ti libera dalla garanzia). In quel caso, tu personalmente dovresti magari valutare le procedure da sovraindebitamento. Quindi, non è che far fallire la S.r.l. ti liberi magicamente dai debiti se li hai garantiti: dovrai affrontare quelli magari con un concordato minore tuo o una liquidazione personale. In sintesi: la S.r.l. fallisce e muore con i propri debiti; i soci perdono l’investimento ma di norma non pagano i debiti sociali, a meno di garanzie. Se come socio hai solo debiti per aver magari dato finanziamenti soci poi non restituiti, quelli sono postergati e di fatto li perdi ma non devi pagar nulla. Se invece hai intrecci di debiti personali (garanzie, anticipazioni con firma tua), devi gestirli a parte. Quindi la risposta: sì, la S.r.l. può liquidarsi e i suoi debiti svaniscono con essa (tranne quelli verso Stato se hai responsabilità fiscali come amministratore per non aver versato IVA ritenute, occhio a quelli!), ma se tu personalmente hai posizioni collegate (garanzie, debiti da amministratore), dovrai comunque agire per liberartene (es. chiedere esdebitazione, ecc.). Non fare l’errore di usare la S.r.l. per fare debiti personali: il fisco ad esempio può chiedere a te amministratore i debiti IVA non pagati (reato tributario), oppure in caso di bancarotta possono coinvolgerti penalmente. Quindi “far fallire la S.r.l.” non è una via per fuggire dai debiti in maniera irresponsabile: è una procedura ordinata che se ben gestita ti permette di chiudere l’attività senza strascichi, ma devi aver agito correttamente. Se invece intendevi chiedere: posso trasferire i debiti personali sulla srl e poi farla fallire? Quello sarebbe fraudolento e può portare a guai penali, da evitare.
D: Le procedure concorsuali sono pubbliche? I miei clienti lo verranno a sapere?
R: Sì, le procedure come il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale sono pubbliche. La loro apertura viene iscritta al Registro delle Imprese e comunicata ufficialmente. Inoltre, i fornitori e tutti i creditori vengono informati. Quindi, è molto probabile che i tuoi partner commerciali lo sappiano (spesso esce anche sui quotidiani economici locali). Questo può avere impatto sulla reputazione e sulla fiducia, specie per chi non conosce la differenza tra concordato e fallimento. La composizione negoziata invece è riservata nella fase iniziale: la nomina dell’esperto non è pubblica, e le trattative sono coperte da riservatezza. Diventa pubblico solo se chiedi misure protettive (allora l’istanza e il provvedimento del tribunale vengono resi noti con iscrizione). Ma il fatto di star trattando con i creditori di solito trapela ugualmente nel settore. Il piano attestato di risanamento può restare confidenziale (non c’è albo pubblico), benché spesso di fatto i principali stakeholders lo vengano a sapere. In generale, preparati: se entri in una procedura formale, la notizia circolerà. Questo è uno dei motivi per cui molti imprenditori provano prima soluzioni “private”. Va anche detto che ormai la stigmatizzazione è minore di un tempo: un concordato ben riuscito può essere visto come un atto di gestione responsabile. E la legge protegge il know-how: ad esempio, in composizione negoziata le parti devono mantenere segreti i dati appresi sulla situazione dell’azienda, per evitare fughe di notizie dannose. Comunque, devi mettere in conto un po’ di pubblicità negativa a breve termine.
D: Cosa succede ai contratti in corso (locazione, forniture, leasing) se apro il concordato?
R: In concordato preventivo, i contratti in corso di esecuzione non si risolvono automaticamente. Puoi chiedere al tribunale di autorizzare la continuazione dei contratti necessari alla continuità aziendale, e i contraenti non possono rifiutare la prestazione adducendo i crediti pregressi non pagati . Ad esempio: hai un contratto di affitto del capannone; col concordato, continui a pagare i canoni correnti come debiti prededucibili, e il locatore non può sfrattarti per i canoni arretrati (quegli arretrati diventeranno credito concorsuale da soddisfare come da piano) . Oppure: hai un leasing su un macchinario, puoi chiedere di sospendere le rate arretrate e continuare ad usarlo, pagando le rate correnti regolarmente; il leasing non può riprendersi la macchina per i mancati pagamenti pre-concordato. Viceversa, se un contratto è oneroso o inutile, puoi chiederne lo scioglimento al giudice (es: un contratto di affitto di ramo d’azienda non più utile, chiedi di scioglierlo; l’altra parte avrà indennizzo pari al danno subito come credito concorsuale). Quindi hai una certa flessibilità: continuare i contratti vitali e sciogliere quelli svantaggiosi, con l’autorizzazione del tribunale (art. 100 CCII). In liquidazione giudiziale, invece, il curatore può sciogliere i contratti in corso se non gli conviene eseguirli, e i fornitori devono consegnare eventuali beni ordinati prima con prededuzione (per ciò consegnato dopo l’apertura). Ma nel tuo caso di concordato, l’obiettivo è mantenere la continuità: dunque i contratti di fornitura restano validi, e anzi i fornitori non possono sospendere le forniture contrattualmente dovute (tipo fornitura di energia) con la scusa del mancato pagamento di pregresse fatture . È fatto salvo il diritto di sospendere se proprio il contratto glielo consentirebbe in base a regole generali (ad es. consegna contro pagamento, se non paghi la rata successiva possono sospendere, ma non possono risolvere soltanto per l’insolvenza dichiarata). La legge invalida i patti contrari (clausole ipso facto risolutive) . Quindi, rassicura i partner: se stai in concordato, continuerai a pagare il corrente (canoni, fatture consegna post domanda) regolarmente e loro devono continuare a onorare il contratto.
D: Se la mia azienda è troppo indebitata e la chiudo, i debiti con fornitori e banche restano per sempre?
R: Se chiudi semplicemente l’attività e la liquidi volontariamente senza attivare procedure concorsuali, i debiti residui della società rimangono in capo alla società finché questa esiste; quando la società viene cancellata, i crediti non soddisfatti si estinguono solo se la società aveva personalità limitata (S.r.l., S.p.a.) e non c’è malafede (ma attenzione: i creditori insoddisfatti potrebbero far riaprire la liquidazione entro l’anno dalla cancellazione se scoprono attivi non liquidati o irregolarità). Se sei impresa individuale o socio illimitatamente responsabile, i debiti restano tuoi personalmente anche dopo la cessazione. In ogni caso, esiste l’esdebitazione per liberartene: devi però passare per una procedura di liquidazione giudiziale (fallimento) o liquidazione controllata dei beni. La legge prevede che dopo la chiusura del fallimento, il debitore persona fisica ottiene la cancellazione di tutti i debiti residui non pagati . Quindi se vuoi una pulizia completa, la strada più sicura è fare una procedura concorsuale e chiedere l’esdebitazione. Ad esempio, se sei ditta individuale e hai €500k di debiti, liquidi i beni che hai e su 500k magari ne paghi 100k; i restanti 400k il tribunale te li cancella (esdebitazione) e i creditori non potranno più pretendere nulla da te . Se invece semplicemente chiudi l’attività e i creditori rimangono insoddisfatti, quelli continueranno a poterti inseguire legalmente per sempre (fino a prescrizione, che per debiti contrattuali è 10 anni rinnovabili con atti interruttivi). Quindi non spariranno magicamente. Dunque: chiusura “soft” non risolve, anzi, se sei amministratore di società potresti avere seccature successive se non sistemi le cose. Molto meglio utilizzare gli strumenti legali per ottenere l’esdebitazione e chiudere in modo definitivo.
D: Quanto costa e quanto dura di solito un concordato preventivo?
R: I costi variano in base alla dimensione dell’azienda ma tieni conto di diverse voci: le spese legali del tuo avvocato/consulenti per predisporre la domanda, la relazione dell’attestatore (che ha un compenso da concordare, spesso qualche decina di migliaia di euro a seconda del lavoro), e poi durante la procedura le spese del commissario giudiziale (fissate dal tribunale in base a parametri di legge proporzionali all’attivo e passivo) e eventuali altri ausiliari. Nei concordati medi, le spese commissariali e giustizia possono essere qualche punto percentuale del passivo. Ad esempio, per un’azienda con passivo €5 milioni, il compenso del commissario può essere sui €30-50k (stima generica). Più fondo spese giustizia e spese vive (pubblicazioni, ecc.). Di solito il tribunale chiede al momento dell’ammissione di accantonare una percentuale (es. 1-2%) del passivo a garanzia delle spese. Questi costi sono prededucibili, cioè li paghi prima di pagare i creditori (quindi i creditori di fatto li sopportano riducendo quel che ricevono). Quanto a tempi: un concordato preventivo di media complessità dura circa 6-12 mesi per arrivare all’omologa. La fase di ammissione è rapida (entro 2-3 mesi dal deposito, se tutto in ordine, viene convocata l’adunanza dei creditori attorno al 4°-5° mese). Il voto e omologa prendono altri 2-3 mesi. Quindi direi un anno è un buon benchmark. Poi c’è la fase esecutiva: se il piano prevede pagamenti dilazionati su 5 anni, quella è la durata effettiva fino a chiusura definitiva. La procedura però formalmente può chiudersi con decreto di adempimento una volta che hai fatto ciò che dovevi secondo il piano. Se il piano è liquidatorio (tutto subito o in poco tempo), la procedura finisce prima (poi c’è solo da vigilare sui pagamenti). Diciamo che entro 2 anni la maggior parte dei concordati o viene eseguito o, se qualcosa va male, convertito in fallimento. Il tribunale comunque esercita controllo e può revocare se vede inadempimenti. Per paragone: un fallimento può durare anche 5-7 anni. Un accordo di ristrutturazione, invece, è più veloce: puoi ottenere omologa in 4-6 mesi e poi l’accordo si esegue secondo i termini (che possono essere anni ma senza controllo del tribunale se non in caso di inadempimento grave che porti a risoluzione). Dunque il concordato è impegnativo, ma consideralo un investimento per salvare l’impresa: se funziona, ne esci alleggerito.
D: Ho sentito parlare di “piani di allerta” e OCRI. Devo preoccuparmi?
R: Quelle erano misure previste nella prima versione del Codice (gli Organismi di Composizione della Crisi delle Camere di Commercio e obblighi di segnalazione interna), ma hanno avuto vicende alterne. L’OCRI in realtà non è mai entrato a regime: con la pandemia il legislatore l’ha sospeso e poi di fatto abrogato . Al suo posto è stata introdotta la composizione negoziata volontaria. Quindi oggi non c’è un sistema pubblico di allerta attiva con sanzioni, a parte i creditori pubblici qualificati (Fisco, INPS, Agenzia riscossione) che devono inviarti segnali se hai certi arretrati . Ma non c’è più l’obbligo per te di segnalare a un organismo. Tuttavia, gli organi di controllo interni (collegio sindacale, revisore) se esistenti devono avvisare gli amministratori appena vedono indizi di crisi e sollecitare azioni . E i tuoi commercialisti, avvocati, consulenti ti ricorderanno dell’opportunità di attivarti. Quindi, preoccupati nel senso costruttivo: usa questi allerta come campanello, ma non temere che esista un ente che d’ufficio ti imporrà misure. Se tieni la contabilità in ordine, tu stesso vedrai gli indicatori (ad es. indice di liquidità, sostenibilità del debito, ecc.). La legge suggerisce parametri ma li ha resi strumenti interni. Ad esempio, vedere che i debiti verso fornitori > debiti non scaduti è uno dei segnali . In sostanza: non c’è OCRI, devi essere tu l’allerta di te stesso. Il vantaggio è che puoi muoverti con la composizione negoziata, che è su tua iniziativa, quindi più flessibile e meno stigmatizzante di un allerta esterno imposto.
D: In una liquidazione giudiziale, i dipendenti e il TFR sono pagati prima degli altri?
R: Sì. I crediti di lavoro dei dipendenti (retribuzioni degli ultimi mesi, ferie, trattamento di fine rapporto) hanno un privilegio speciale altissimo (art. 2751-bis c.c.) che li fa soddisfare subito dopo le spese di giustizia. E inoltre c’è il Fondo di Garanzia INPS che interviene a pagare TFR e stipendi arretrati se la procedura non ha abbastanza attivo. Quindi in caso di fallimento, i dipendenti tipicamente recuperano integralmente o quasi i loro crediti, spesso in tempi rapidi (il Fondo INPS paga il TFR entro qualche mese dall’ammissione allo stato passivo, e poi l’INPS subentra come creditore in quella misura). Nel concordato preventivo, in genere il piano prevede il pagamento integrale dei dipendenti (è difficilissimo far accettare un taglio sul dovuto ai lavoratori, e sarebbe ingiustificabile verso il tribunale). Dunque, i dipendenti sono tutelati. Se la tua domanda era: devo pagare i dipendenti prima di proporre un piano? – Non necessariamente pagare prima, ma nel piano devi prevedere il loro pagamento preferenziale. Ad esempio, puoi chiedere la Cassa Integrazione durante il concordato per alleggerire il costo, ma i crediti pregressi di salario li includi tra i privilegiati da soddisfare 100%. Il TFR maturato sarà anch’esso privilegiato e pagato integralmente, di solito subito dopo l’omologazione (anche con supporto Fondo INPS come detto). Quindi sì, lavoratori e relativi enti (INPS per contributi dovuti sui loro stipendi) vengono prima di banche, fornitori ecc.
D: I soci devono necessariamente perdere la loro partecipazione nel risanamento?
R: Non necessariamente “perdere”, ma spesso devono sacrificare valore. In un concordato, vige la regola che i soci non possono conservare un valore se i creditori non sono pagati integralmente (“absolute priority rule”, se vogliamo) – a meno che apportino essi stessi risorse aggiuntive. Quindi, se l’azienda è insolvente, la partecipazione dei soci è di fatto azzerata economicamente: i soci potrebbero mantenere le quote solo se la procedura prevede di soddisfare i creditori al 100% (quindi l’insolvenza era solo temporanea di liquidità). Se invece c’è stralcio di debiti, vuol dire che i creditori rinunciano a parte del loro credito: in teoria, perché i soci dovrebbero mantenere proprietà mentre i creditori ci rimettono? Quindi spesso nei piani di concordato o accordi profondi si prevede che i soci vengano diluiti o eliminati. Ad esempio con un aumento di capitale di terzi (soci perdono la maggioranza), oppure con la cessione azienda a un nuovo soggetto (la vecchia società poi liquida i creditori col ricavato e i soci vecchi restano senza asset). Tuttavia, i soci possono concordare di restare se ciò non danneggia i creditori: ad esempio, i soci attuali mettono soldi freschi tanto quanto servirebbe comunque, allora possono mantenere una quota. La legge non impone obbligatoriamente l’azzeramento dei soci, ma prevede che se un creditore ne fa opposizione, il tribunale può imporre modifiche se i soci conservassero vantaggi ingiustificati. Diciamo che in ogni ristrutturazione seria c’è un contributo significativo dei soci: o perdono le quote, o immettono capitale/garanzie/finanziamenti per far accettare il piano. Nei piccoli accordi stragiudiziali, la questione è meno formale: i soci restano proprietari, però spesso rinunciano ai crediti verso la società (postergati) e magari mettono nuovi fondi. Nei concordati, talvolta i soci offrono ai creditori un “bonus” per tenersi la società: es. versano un tot destinato interamente ai creditori chirografari (finanza esterna), cosicché i creditori prendono più e accettano che i soci rimangano al timone. Insomma, i soci non sono obbligati a lasciare l’azienda, ma per equità e per approvazione del piano di solito devono contribuire al sacrificio. Se non lo fanno e cercano di salvare capitale a scapito dei creditori, il piano potrebbe non passare (i creditori votano contro, o il tribunale non omologa per mancanza di equilibrio).
Tabelle riepilogative
Di seguito proponiamo alcune tabelle riassuntive che mettono a confronto i principali strumenti di regolazione della crisi d’impresa e ne evidenziano le caratteristiche salienti, i requisiti e gli effetti, dal punto di vista del debitore.
Tabella 1 – Confronto tra strumenti stragiudiziali e giudiziali di soluzione della crisi
| Strumento | Tipo | Normativa | Chi può accedervi | Percentuale di consenso | Coinvolgimento del tribunale | Vantaggi | Svantaggi |
|---|---|---|---|---|---|---|---|
| Piano attestato di risanamento | Stragiudiziale (privato) | Art. 56 CCII (ex art. 67 L.F.) | Imprese fallibili in crisi/insolvenza reversibile | Nessuna soglia formale (accordo libero con chi necessario) | Nessuno (solo deposito eventuale) – No omologa, solo attestazione di un professionista | – Flessibilità totale nei contenuti<br/>– Nessuna pubblicità ufficiale (se non volontaria) <br/>– Esonero da revocatorie e reati fallimentari per atti esecutivi <br/>– Debitore resta in pieno controllo | – Non vincola i creditori dissenzienti (nessun effetto coercitivo)<br/>– Nessuna protezione automatica contro azioni esecutive (se non concordata privatamente)<br/>– Credibilità del piano legata alla qualità dell’attestazione e fiducia creditori<br/>– Necessita adesione volontaria dei principali creditori |
| Accordo di ristrutturazione (ordinario) | Stragiudiziale con omologa | Art. 57 CCII (ex art. 182-bis L.F.) | Imprese fallibili (anche non insolventi, stato di crisi sufficiente) | 60% dei crediti totali | Sì, richiesta omologazione tribunale (controllo merito limitato) | – Maggioranza vincola la minoranza aderente (dissenzienti estranei vanno pagati ma sono soggetti a standstill) <br/>– Possibilità di misure protettive durante trattative<br/>– Riservatezza in fase negoziale; pubblicità solo da omologa | – Necessario alto quorum di consenso (60%) <br/>– I creditori estranei devono essere pagati per intero entro 120 giorni <br/>– Se un creditore chiave non aderisce, non è vincolato (salvo efficacia estesa)<br/>– Richiede attestazione di fattibilità e controllo in omologa |
| Accordo di ristrutturazione “agevolato” | Stragiudiziale con omologa | Art. 60 CCII | Imprese fallibili (in crisi/insolvenza) | 30% dei crediti totali (condizionato a pagamento integrale estranei senza moratoria) | Sì (come sopra) | – Quorum ridotto (30%) facilita la conclusione <br/>– Meno consenso richiesto => più rapido<br/>– Stesse tutele dell’accordo ordinario in omologa | – Applicabile solo se creditori estranei pagati subito al 100% <br/>– Non si possono chiedere moratorie ai non aderenti (pagamento entro 120g)<br/>– Limitazioni: non deve esservi già pendente altra procedura concorsuale (no concordato “in bianco” parallelo) |
| Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa | Stragiudiziale con omologa | Art. 61 CCII | Imprese fallibili con debiti finanziari o altre categorie omogenee rilevanti | 75% (ora 60%) dei crediti in quella categoria omogenea | Sì (omologa + estensione effetti ai dissenzienti) | – Consente di vincolare anche creditori non aderenti di una certa categoria (es. banche) <br/>– Utile per superare opposizioni isolate in categorie chiave (finanziarie) | – Condizioni rigorose: continuità aziendale nel piano , informazione completa a tutti , rispetto del “best interest” per dissenzienti <br/>– Richiede comunque elevato consenso interno (60-75%) nella categoria target |
| Composizione negoziata | Stragiudiziale assistito | D.L. 118/2021 conv. L. 147/2021 (artt. 12-25 CCII) | Tutti gli imprenditori (anche piccoli o agricoli) in squilibrio o crisi | Nessun voto (non è un accordo di per sé; può portare ad accordi vari) | Intervento tribunale solo se richieste misure protettive o in caso di concordato finale | – Percorso riservato (nessuna pubblicità iniziale) <br/>– Nomina di un esperto indipendente che facilita trattative<br/>– Possibilità di stay temporaneo su azioni dei creditori <br/>– Possibile accesso a finanza ponte prededucibile autorizzata<br/>– Strumento flessibile: esito può essere accordo, piano attestato, concordato, ecc. | – Non produce effetti vincolanti sui creditori se non tramite accordi raggiunti<br/>– Successo dipende dalla disponibilità dei creditori a trattare<br/>– Misure protettive limitate nel tempo (fino 12 mesi) e mirate <br/>– Esclude al momento transazioni su debiti previdenziali (solo fiscali) |
| Concordato Preventivo (in continuità o liquidatorio) | Giudiziale concorsuale | Artt. 84-120 CCII | Imprenditori assoggettabili a fallimento in stato di crisi o insolvenza | Maggioranza dei crediti ammessi al voto (>50%), calcolata per classi se previste . Se classi: serve maggioranza delle classi o cram-down | Sì: provvedimento di apertura, nomina commissario, voto creditori, omologazione tribunale | – Stay automatico delle azioni esecutive dal decreto di apertura<br/>– Possibilità di sciogliere o sospendere contratti sfavorevoli (con ok del GD)<br/>– Cram-down: omologabile anche senza consenso unanime (vincola tutti creditori anteriori) <br/>– Debitore in continuità mantiene gestione (sorvegliata) <br/>– Debiti possono essere ristrutturati con falcidie e/o dilazioni; possibile anche soddisfare creditori in natura (es. attribuendo beni)<br/>– Prevede esdebitazione per il debitore persona fisica a fine procedura | – Procedura pubblica e complessa (costi procedurali, durata circa 1 anno per omologa)<br/>– Necessaria relazione di attestatore e verifiche di fattibilità rigorose<br/>– Rischio di non approvazione al voto (se piano non convince creditori) e conseguente fallimento immediato (salvo 7gg per nuova domanda migliorativa) <br/>– Limitazioni su decisioni di straordinaria amministrazione (richiedono autorizzazione) |
| Concordato Semplificato (post composizione negoziata) | Giudiziale concorsuale (speciale) | Art. 25-sexies CCII (D.L. 118/2021) | Imprenditore che ha tentato la composizione negoziata senza successo | Nessun voto dei creditori (proposta liquidativa sottoposta direttamente a giudice) | Sì: il tribunale valuta e omologa se condizioni rispettate (creditori possono fare osservazioni) | – Rapido e senza votazione (utile se accordo con creditori non raggiunto)<br/>– Permette di chiudere la crisi liquidando il patrimonio sotto controllo del debitore invece che in fallimento<br/>– I creditori sono vincolati dall’omologa anche se contrari (purché trattamento >= liqu. giud.) | – Ammesso solo in esito a composizione negoziata fallita <br/>– Procedura liquidatoria pura: l’azienda cessa attività (salvo vendere a terzi in blocco)<br/>– Creditori possono opporsi in sede di omologa (il giudice però decide) |
| Liquidazione Giudiziale (fallimento) | Giudiziale concorsuale | Artt. 121-270 CCII | Imprenditore insolvente assoggettabile a fallimento (su ricorso proprio o di terzi) | N/A (non c’è consenso: è una procedura coattiva) | Sì: sentenza dichiarativa, giudice delegato, curatore nominato, controllo tribunale | – Permette la tutela paritaria dei creditori con regole chiare di graduazione<br/>– Gestione affidata a professionista (curatore) esperto<br/>– Debitore sollevato dall’onere di gestione e ripartizione<br/>– Possibile esdebitazione finale per il debitore persona fisica <br/>– Eventuali atti dannosi pregressi possono essere revocati (vantaggio per massa creditoria) | – Perdita totale del controllo dell’impresa da parte del debitore (spossessamento)<br/>– Procedura pubblica, con effetti di sfiducia elevati<br/>– Liquidazione spesso comporta minor realizzo dei valori aziendali (disgregazione)<br/>– Tempi lunghi (anni) per definizione e chiusura<br/>– Conseguenze negative: possibili azioni di responsabilità contro amministratori, interdizioni, rischio di bancarotta per irregolarità |
Tabella 2 – Trattamento dei debiti fiscali e contributivi nei vari strumenti
| Procedura/Strumento | Trattamento debiti fiscali (Erario) | Trattamento debiti contributivi (INPS/enti) | Riferimenti |
|---|---|---|---|
| Piano attestato | – Debiti fiscali da pagare integralmente secondo le normali norme (possibili rateazioni ordinarie o adesione a definizioni agevolate se vigenti).<br/>– Nessuna deroga o falcidia possibile senza accordo specifico col Fisco.<br/>– L’Agenzia può valutare transazioni bilaterali informali, ma non c’è efficacia generale. | – Simile ai fiscali: si possono ottenere dilazioni amministrative (24-36 mesi) per contributi se in regola con requisiti.<br/>– Nessuna falcidia unilaterale; eventuali arretrati vanno saldati (anche tramite accordi con Inps se disponibili). | (Nessuna norma specifica perché strumento privatistico: si applicano regole generali; art. 56 CCII conferma che effetti su crediti pubblici = ordinari) |
| Accordo ristrutturazione | – Transazione fiscale facoltativa: si può prevedere pagamento parziale/dilazionato di imposte, incl. IVA, ma serve adesione formale Agenzia Entrate. <br/>– Richiesto che la proposta sia conveniente rispetto a fallimento (Agenzia approva se > realizzo in liquidazione).<br/>– Se Agenzia non risponde in 90 gg, silenzio-assenso .<br/>– Senza adesione, i crediti Erario vanno pagati per intero entro 120 gg dall’omologa (per essere “estranei”). | – Transazione contributiva similare: possibile falcidia/rateazione contributi (INPS, ecc.) con adesione degli enti.<br/>– Norme parallele a quelle fiscali (art. 63 CCII).<br/>– L’INPS valuta secondo convenienza (dal 2024 competenza decisione accentrata ).<br/>– Se ente non aderisce, va soddisfatto interamente come estraneo entro 120 gg. | Art. 63 CCII disciplina transazione fiscale e contributiva negli accordi; Messaggio INPS 3553/2024 su nuove competenze . Silenzio-assenso Agenzia: DL 125/2020 conv. L.159/2020. |
| Composizione negoziata | – Novità 2024: introduzione accordo transattivo fiscale durante le trattative .<br/>– L’imprenditore può proporre a Agenzia Entrate pagamento parziale/dilazionato di tributi (IVA inclusa) ; se Agenzia accetta, accordo omologato con decreto (senza voto creditori generali) .<br/>– Divieto di includere debiti per dazi UE (no falcidia su risorse UE, mentre IVA sì) .<br/>– Se niente accordo transattivo, si possono comunque chiedere sospensioni di pagamenti fiscali al tribunale come misure protettive (es. sospendere pagamento cartelle per la durata negoziazione). | – Nessun accordo transattivo previsto per contributi nella composizione (il correttivo 2024 non ha incluso questa facoltà) .<br/>– I debiti INPS quindi possono solo essere oggetto di rateazione secondo normative ordinarie (max 24 mesi salvo casi speciali) oppure rinviati con consenso INPS.<br/>– L’INPS, come creditore pubblico qualificato, può inviare segnalazioni di allerta se superi soglie (ad es. debiti contributivi > certa soglia) , ma in negoziazione dovrebbe astenersi da iniziative aggressive e valutare soluzioni nel concordato eventuale. | Art. 23 co. 2-bis CCII (introdotto da D.Lgs. 83/2022, poi modificato da D.Lgs. 136/2024) – Accordo transattivo fiscale . Valido dal 28/09/2024. Nessuna norma simile per INPS: silenzio del correttivo sul punto evidenziato. |
| Concordato Preventivo | – Possibile falcidia di imposte anche privilegiate (IVA, ritenute) con transazione fiscale inserita nel piano .<br/>– Necessario offrire almeno quanto il credito avrebbe in liquidazione (best interest test) .<br/>– Il Fisco vota sul piano: se vota sì, ok; se vota no ma il piano comunque rispetta condizioni di legge, il tribunale può omologare anche senza adesione Erario (cram-down pubblico) .<br/>– Quindi l’opposizione dell’Erario non può bloccare l’omologa se almeno una classe ha detto sì e Fisco è trattato non inferiore al fallimento .<br/>– Crediti IVA di massa (post domanda) prededucibili e da pagare regolarmente.<br/>– Eventuali riscossioni coattive in corso (pignoramenti da Agenzia Riscossione) sospese ex lege dal concordato. | – Falcidia contributi possibile, analogamente, tramite transazione previdenziale nel piano (inclusa nel voto).<br/>– INPS ed enti votano nella classe creditori pubblici. Se votano no ma piano è conveniente, possibile cram-down (post correttivo 2024) in sede di omologa di concordato liquidatorio (nel concordato preventivo in continuità già previsto dal 2022).<br/>– In pratica, il tribunale può omologare anche senza sì di INPS se ritiene il piano equo e c’è almeno una classe consenziente privilegiata. <br/>– Debiti INPS per contributi lavoratori: privilegio altissimo, di solito pagati 100% in prededuzione (per far avere DURC regolare). Parte eccedente privilegio trattata come sopra. | Art. 88 CCII disciplina trattamento crediti tributari e contributivi in concordato. Prevede obbligo di allegare proposta transattiva per falcidia IVA/ritenute. Cram-down pubblico introdotto da D.Lgs. 83/2022 e chiarito da giurisprudenza . Sentenza Trib. Bergamo 65/2023 su art.112 CCII . |
| Liquidazione Giudiziale | – Crediti fiscali privilegiati (es. IVA anno in corso, imposte con privilegio su beni) soddisfatti secondo rango (dopo crediti lavoro e costi procedura).<br/>– Crediti chirografari (multe, sanzioni, interessi, imposte senza privilegio) spesso prendono poco o nulla.<br/>– L’Erario partecipa al riparto come gli altri creditori. Non c’è transazione: il curatore paga fin dove arrivano i fondi.<br/>– Dopo chiusura, salvo riaperture, il debitore persona fisica ottiene esdebitazione quindi Fisco non può più esigere residuo (tranne debiti esclusi ex lege, ad es. sanzioni penali, ma tributi ordinari rientrano nell’esdebitazione). | – Crediti contributivi privilegiati (ultimi 2 anni) pagati dopo lavoratori ma prima di banche chirografarie.<br/>– Crediti contributivi chirografari (sanzioni civili, contributi più vecchi) vengono pagati pro quota con altri se avanza qualcosa.<br/>– INPS può insinuare contributi non versati e viene soddisfatta in graduatoria.<br/>– Anche qui, dopo chiusura liquidazione, debitore persona fisica esdebitato e INPS non può perseguire oltre (con eccezioni per debiti per cui il debitore ha commesso reati, ma in genere contributi rientrano nell’esdebitazione anch’essi). | Artt. 221-236 CCII sul riparto. Privilegi: art. 2752 c.c. (imposte dirette Stato), 2778 c.c. ordini privilegi. Esdebitazione: artt. 278-279 CCII (anche tributi e contributi esdebitabili, salvo dolo). |
Conclusioni
Affrontare una situazione di crisi d’impresa con troppi debiti è un compito arduo, ma la legge mette a disposizione dell’imprenditore, soprattutto se onesto e collaborativo, una serie di strumenti efficaci per evitare gli esiti peggiori e cercare la continuità aziendale o, nei casi estremi, una liquidazione ordinata e la liberazione dai debiti residui. La chiave del successo sta nella tempestività e nella professionalità con cui si affronta la crisi: è fondamentale monitorare costantemente gli indici finanziari dell’azienda, cogliere i segnali precoci di difficoltà e non esitare a coinvolgere esperti (commercialisti, legali, consulenti della crisi) per scegliere la strada giusta.
Come abbiamo visto, esistono soluzioni negoziali che permettono al debitore di mantenere il controllo e trovare accordi su misura con i creditori (piani attestati, accordi di ristrutturazione, composizione assistita), e soluzioni concorsuali in cui entra in gioco il tribunale per assicurare il rispetto delle regole e l’equilibrio dei sacrifici (concordati, ecc.). La riforma del Codice della Crisi (aggiornata dalle novelle del 2022 e 2024) tende a privilegiare il risanamento rispetto alla mera liquidazione: strumenti come il concordato in continuità, la composizione negoziata e le nuove possibilità di cram-down dei creditori pubblici vanno proprio nella direzione di dare alle imprese sane ma indebitate una seconda chance di stare sul mercato . D’altro canto, quando non sussistono più le condizioni per proseguire l’attività, le norme mirano a garantire una liquidazione trasparente e rapida, con la possibilità per l’imprenditore individuale o il piccolo imprenditore di ottenere l’esdebitazione e ripartire senza restare schiacciato a vita dai debiti passati .
Dal punto di vista giuridico avanzato, abbiamo toccato aspetti complessi quali le classi di creditori, le transazioni fiscali, gli accordi ad efficacia estesa, le interazioni tra procedure e normative europee. Ogni crisi ha le sue peculiarità: ad esempio, le PMI innovative potrebbero coinvolgere investitori in equity, un gruppo di imprese può sfruttare strumenti di regolazione di gruppo (disciplinati anch’essi nel CCII), un’impresa sottoposta a sequestro penale avrà limitazioni ulteriori, e così via. Pertanto, è sempre raccomandabile farsi assistere da professionisti specializzati, anche per ottemperare ai tanti obblighi formali (si pensi alla documentazione da produrre per un concordato o alle attestazioni da rendere). La presente guida ha fornito un quadro avanzato e aggiornato a ottobre 2025, con riferimenti normativi e giurisprudenziali autorevoli, destinato a lettori (avvocati, imprenditori, creditori interessati) che necessitano di una comprensione approfondita ma pratica degli strumenti di gestione della crisi d’impresa in Italia.
In conclusione, se la tua azienda ha accumulato troppi debiti, non disperare e non procrastinare: valuta la situazione con lucidità, scegli lo strumento più adatto alla tua casistica (con l’aiuto di consulenti fidati) e agisci per tempo. Che sia un accordo stragiudiziale ben congegnato o un concordato preventivo in continuità, l’importante è perseguire un obiettivo realistico di risanamento, comunicando in buona fede con i creditori e rispettando le regole. La legge e i tribunali, oggi più che mai, sono orientati ad agevolare chi, da debitore, prende l’iniziativa per risolvere la crisi, mentre non tollerano più l’immobilismo colposo che conduce a dissesti irreversibili. Con questa guida hai a disposizione gli elementi per capire “come” risolvere la crisi d’impresa dovuta a troppi debiti: il prossimo passo è valutare “quando” (spoiler: subito!) e “con chi” intraprendere il percorso di risanamento. Il futuro della tua impresa (o una dignitosa chiusura senza strascichi) dipende dalle scelte informate che farai oggi. Buon risanamento o, se necessario, buona ripartenza dopo una coraggiosa ristrutturazione!
Fonti e riferimenti normativi e giurisprudenziali
- Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, come modificato dai D.Lgs. 83/2022 e 136/2024) – artt. 2, 12-25, 56-64, 84-120, 121-270 (definizioni di crisi e insolvenza, composizione negoziata, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo, liquidazione giudiziale) . Testo normativo aggiornato su Normattiva.
- D.L. 118/2021 conv. in L. 147/2021 – Introduzione della composizione negoziata della crisi e del concordato semplificato (parti ora integrate nel CCII).
- Decreto Legislativo 17 giugno 2022 n. 83 – Attuazione Direttiva UE 2019/1023 (c.d. “Correttivo bis” al CCII): ha introdotto novità su transazione fiscale, cram-down, esdebitazione. Vedi in particolare art. 112 CCII novellato (omologazione concordato senza voto favorevole di tutte le classi) , art. 48 co.5 (silenzio-assenso Fisco in accordi).
- Decreto Legislativo 13 settembre 2024 n. 136 (c.d. “Correttivo ter”) – Ulteriori disposizioni integrative al CCII: estensione accordo fiscale in composizione negoziata , nuove competenze INPS sulle transazioni , riduzione soglia proposte concorrenti (10%→5%) , modifiche concordato semplificato , ecc. (entrato in vigore 28/09/2024).
- Cassazione Civile Sez. I, 11/11/2025 n. 29746 – In tema di sovraindebitamento, ha qualificato “consumatore” il socio fideiussore persona fisica che garantì debiti sociali per scopi estranei alla sua attività: definizione di consumatore ex art. 2 CCII coerente con Codice del Consumo . Conferma orientamenti precedenti (Cass. 742/2020; Cass. Sez. Un. 5868/2023 citati in massima) sulla distinzione tra fideiussore consumatore vs professionale.
- Cassazione Civile Sez. I, 15/06/2023 n. 17092 – Concordato preventivo in continuità aziendale: ribadito che il requisito della continuità ex art. 186-bis L.F. (oggi art. 84 CCII) richiede azienda in esercizio al momento della proposta; se l’attività era cessata, il piano non può qualificarsi in continuità e va garantito almeno il 20% ai chirografari . Caso Market S.r.l. (concordato respinto perché impresa ferma da tempo, dunque piano considerato liquidatorio e inammissibile per mancato 20%).
- Tribunale di Bergamo, 11/04/2023 n. 65/2023 – (Concordato preventivo in continuità, omologazione senza maggioranza classi): ha applicato l’art. 112 co.2 CCII e la Direttiva UE, affermando che il concordato può essere omologato nonostante dissenso maggioranza classi se almeno una classe di creditori privilegiati “maltrattati” (degradati) ha votato sì e le altre condizioni (a-d) sono congiuntamente presenti . Non omologato in caso concreto per mancanza di tutte le condizioni. (Sentenza citata in Officium UTP 02/05/2023) .
- Morri Rossetti Officium – art. 02/05/2023: “Concordato preventivo in continuità: condizioni per l’omologa in mancanza di approvazione dei creditori” – commento alla sentenza Trib. Bergamo 65/2023 con spiegazione delle 4 condizioni art. 112 CCII e principio di cram-down interclassi secondo Dir. 2019/1023 (classe privilegiata consenziente e pregiudicata, tutela dei dissenzienti con valore di liquidazione).
- Diritto Bancario, articolo 2024: “Il correttivo al Codice della crisi: principali novità” – panoramica delle modifiche introdotte dallo schema di D.Lgs. 136/2024, tra cui: ampliamento composizione negoziata (accesso anche per semplice squilibrio) , scelta esperto e compenso, accordo transattivo con Erario , concordato semplificato post-neg. (rimozione requisito esito “non positivo”) , early warning (segnalazioni anche da revisori) , modifiche concordato preventivo (riduzione soglia proposte concorrenti al 5%, protezione contratti dalla domanda) , modifiche concordato fallimentare, ecc.
- Studio commerciale Valente, news 27/11/2025: “Transazione fiscale parziale nella composizione negoziata” – illustra le novità del D.Lgs. 136/2024: accordo transattivo fiscale in comp. negoziata (pagamento parziale/dilazionato debiti fiscali, incluso IVA, esclusi dazi) , iter di autorizzazione giudice , esclusione contributi INPS da tale accordo .
- Dottrina Per il Lavoro (Roberto Camera), nota 28/10/2024: commento al Messaggio INPS n. 3553/2024 – spiega le modifiche al CCII su competenze decisionali INPS in concordati/accordi: ora centralizzate (non più sedi locali), completando disciplina che prima esisteva solo per Agenzia Entrate.
- Studio professionale Euroexecutive, FAQ: “Differenze accordo ristrutturazione ordinario vs agevolato” – chiarisce: quorum 60% vs 30%, condizioni per accordo agevolato (niente concordato pendente, niente misure protettive pregresse, pagamento tempestivo estranei) , efficacia estesa ex art.61 (condizioni riportate con 60% categoria) . Utile per tabella comparativa.
- Studio Commercialisti Modena, articolo 2022: “Crisi d’impresa – novità CCII” – evidenzia definizione di crisi (“probabilità di insolvenza” con flussi cassa < 12 mesi) , abrogazione indici di allerta e obbligo adeguati assetti per rilevare crisi , segnali di allarme quantitativi (retribuzioni scadute > metà mensili, fornitori scaduti > non scaduti, esposizioni bancarie > 60gg >5%, segnalazioni creditori pubblici) , e descrive lettera-compliance Agenzia Entrate per IVA >5k come strumento di allerta soft . Approfondisce anche ruolo di amministratori e revisori in allerta .
- IlCaso.it – massimario ristrutturazioni aziendali: vari articoli citati in note, es. Michele Bana su piano attestato nel CCII ; articolo su accordi efficacia estesa (nota: art.61 original come da G.U. 2019, 75% soglia) .
- Cassazione Civile Sez. I, 25/08/2025 n. 23834 – (cenno): ha affrontato onere probatorio titolarità credito in cessioni in blocco (questione attinente cessionari di NPL, rilevante per eccezioni nei passivi fallimentari). Non direttamente usata, ma segnala aggiornamento scenario crediti bancari ceduti. (Cit. in Officium snippet) .
- Cassazione Sez. Un. 08/11/2023 n. 31107 – (cenno, tratta concordato fallimentare). Non citata nel testo per estensione, ma conferma orientamenti su concorrenza proposte in fallimento, coerenti col correttivo ter.
- Cassazione Sez. Un. 05/05/2023 n. 5868 – definizione consumatore sovraindebitamento (richiamata in Cass. 29746/2025 massima) .
- Cassazione 25/08/2025 n. 23835 – (non citata, ipotetica contigua a 23834; ev. su sovraindebitamento o gruppi, oltre scopo).
- Direttiva (UE) 2019/1023 del 20/06/2019 – sui quadri di ristrutturazione preventiva: principi del cross-class cram-down (art. 11) recepiti in art.112 CCII , focus su continuità aziendale e fresh start (esdebitazione entro 3 anni). Influenza su D.Lgs. 83/2022.
- Decisione (UE) 2020/135 e 2020/2053 – (accennata) consente falcidia IVA come non risorsa propria per ristrutturazioni (citata nel correttivo ter) .
- Documentazione e prassi: Linee Guida CNDCEC per composizione negoziata; Messaggio INPS 25/10/2024 n. 3553 ; Circolare Agenzia Entrate n.34/E 2020 su transazione fiscale post DL 125/2020. (Non dettagliata nel testo per brevità, ma rilevante in applicazione).
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La verità è che la crisi d’impresa si può affrontare e risolvere, a condizione di intervenire con competenza e rapidità.
Esistono strumenti legali molto potenti che permettono di bloccare i creditori, ridurre i debiti e salvare l’azienda.
Perché un’Azienda Finisce in Troppi Debiti
Le cause più comuni:
- calo degli incassi
- aumento dei costi di materie prime, energia e personale
- pagamenti in ritardo da parte dei clienti
- revoca o riduzione dei fidi bancari
- esposizioni fiscali e contributive crescenti
- investimenti non rientrati
- cattiva gestione della liquidità
- crisi settoriali o di mercato
Quasi sempre il problema non è la mancanza di lavoro, ma la mancanza di liquidità immediata per far fronte alle spese correnti.
I Rischi di una Crisi d’Impresa Non Gestita
Se non intervieni rapidamente, i rischi aumentano giorno dopo giorno:
- pignoramento dei conti correnti
- blocco dei fidi bancari
- pignoramento presso terzi (clienti)
- fermo amministrativo dei mezzi
- decreti ingiuntivi e atti esecutivi
- perdita di fornitori strategici
- interruzione dell’attività
- rischio concreto di chiusura o procedura concorsuale forzata
Come Risolvere la Crisi d’Impresa: Le Strategie Efficaci
1. Bloccare Subito i Creditori
È il primo passo fondamentale.
Un avvocato specializzato può:
- sospendere pignoramenti e atti esecutivi
- fermare richieste di rientro
- impedire blocchi di conti e forniture
- bloccare azioni dell’Agenzia Riscossione
Serve “fermare l’emorragia” per poter lavorare alla soluzione.
2. Analizzare i Debiti ed Eliminare Quelli Non Dovuti
Molte aziende scoprono debiti illegittimi o riducibili, come:
- interessi non dovuti
- sanzioni sbagliate
- importi duplicati
- debiti prescritti
- errori della Riscossione
- commissioni bancarie anomale o illegittime
Una parte significativa dell’esposizione può essere cancellata o ridotta.
3. Ristrutturare i Debiti in Modo Sostenibile
Una volta bloccati i creditori, si costruisce un piano di rientro sostenibile.
Strumenti utili:
- rateizzazioni fiscali fino a 120 rate
- accordi di rientro con fornitori
- rinegoziazione dei finanziamenti
- sospensioni temporanee dei pagamenti
- utilizzo delle definizioni agevolate
L’obiettivo è riportare respirabilità finanziaria all’azienda.
Le Soluzioni Più Potenti del Codice della Crisi
Quando i debiti sono troppo alti, entrano in gioco le procedure più forti e protettive.
✔ PRO – Piano di Ristrutturazione dei Debiti
Permette di:
- congelare TUTTI i creditori
- pagare solo una parte del debito
- salvare l’azienda anche contro il parere dei creditori
- sospendere pignoramenti e azioni aggressive
✔ Accordi di Ristrutturazione
Soluzione negoziata con protezione giudiziale per aziende ancora strutturate.
✔ Concordato Minore
Perfetto per PMI e microimprese con debiti elevati:
- blocca ogni azione esecutiva
- consente la continuità aziendale
- permette di pagare solo una quota del debito complessivo
✔ Liquidazione Controllata del Sovraindebitato
La soluzione estrema ma risolutiva quando i debiti sono ingestibili.
Consente:
- la cancellazione totale del debito residuo,
- tutela del minimo vitale,
- ripartenza da zero in modo legale.
Le Specializzazioni dell’Avv. Giuseppe Monardo
Gestire una crisi d’impresa richiede competenze elevate.
L’Avv. Giuseppe Monardo è:
- Avvocato Cassazionista
- Coordinatore nazionale di una rete di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012) – negli elenchi del Ministero della Giustizia
- Professionista fiduciario di un OCC
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021)
Il professionista ideale per bloccare creditori, ridurre debiti e salvare aziende in crisi.
Come Può Aiutarti l’Avv. Monardo
- analisi immediata della situazione debitoria
- blocco urgente di pignoramenti e decreti ingiuntivi
- riduzione dei debiti non dovuti
- definizione della migliore strategia (PRO, accordo, concordato, rateizzazioni)
- trattative con banche, fornitori e Agenzia Riscossione
- tutela completa dell’imprenditore e dell’impresa
Conclusione
Avere troppi debiti aziendali non significa che la tua impresa sia destinata a fallire.
Con una strategia rapida, mirata e completamente legale, puoi:
- fermare subito i creditori,
- ridurre drasticamente i debiti,
- salvare attività e posti di lavoro,
- ricominciare con un’azienda finalmente libera dalla pressione finanziaria.
Il momento per intervenire è adesso.
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